
di Erving Goffman
[da Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, Einaudi, 1968, con introduzione di Franco Basaglia]. 
I.
  Le organizzazioni sociali – o istituzioni nel senso comune del termine – sono
  luoghi, locali o insiemi di locali, edifici, costruzioni, dove si svolge con
  regolarità una certa attività. In sociologia non esiste un modo
  particolare di classificarle. Alcune istituzioni, come la stazione centrale,
  sono accessibili a chiunque si comporti in modo decente; altre, come l’Union
  Club di New York, o i laboratori di Los Alamos sembrano più esclusive
  e rigorose circa il livello dei loro partecipanti; altre ancora, come negozi
  o uffici postali, sono costituite da alcuni membri fissi che vi svolgono un
  certo servizio, e da un continuo fluire di persone che lo richiedono. Altre,
  come case e fabbriche, coinvolgono un gruppo meno fluttuante di partecipanti.
  In alcune istituzioni si svolgono attività dalle quali viene sancita
  la condizione sociale di coloro che ne fanno parte, il che può essere
  più o meno gradito. Altre invece consentono il raggrupparsi di persone
  allo scopo di svolgere un tipo di attività ricreative da loro scelte,
  sfruttando il tempo rimasto libero da attività impegnative. In questo
  saggio viene isolata e riconosciuta come naturale e ricca di possibilità
  di indagine, un’altra categoria di istituzioni, i cui membri sembrano avere
  tanti elementi in comune con quelli delle altre che, per studiarne una, risulterebbe
  utile esaminarle tutte.
II
    Ogni istituzione si impadronisce di parte del tempo e degli interessi di coloro
    che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di mondo: il
    che significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione
    inglobante. Nella nostra società occidentale ci sono tipi diversi di
    istituzioni, alcune delle quali agiscono con un potere inglobante – seppur
    discontinuo – piu penetrante di altre. Questo carattere inglobante o totale
    è simbolizzato nell’impedimento allo scambio sociale e all’uscita verso
    il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche
    dell’istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d’acqua,
    foreste o brughiere. Questo tipo di istituzioni io lo chiamo "istituzioni
    totali" ed è appunto il loro carattere generale che intendo qui
    analizzare. (1)
  Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate
  – grosso modo – in cinque categorie. Primo, le istituzioni nate a tutela di
  incapaci non pericolosi (istituti per ciechi, vecchi, orfani o indigenti). Secondo,
  luoghi istituiti a tutela di coloro che, incapaci di badare a se stessi, rappresentano
  un pericolo – anche se non intenzionale – per la comunità (sanatori per
  tubercolotici, ospedali psichiatrici e lebbrosari). Il terzo tipo di istituzioni
  totali serve a proteggere la società da ciò che si rivela come
  un pericolo intenzionale nei suoi confronti, nel qual caso il benessere delle
  persone segregate non risulta la finalità immediata dell’istituzione
  che li segrega (prigioni, penitenziari, campi per prigionieri di guerra, campi
  di concentramento). Quarto, le istituzioni create al solo scopo di svolgervi
  una certa attività, che trovano la loro giustificazione sul piano strumentale
  (furerie militari, navi, collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali e grandi
  fattorie, queste ultime guardate naturalmente dalla parte di coloro che vivono
  nello spazio riservato ai servi). Infine vi sono le organizzazioni definite
  come "staccate dal mondo" che però hanno anche la funzione
  di servire come luoghi di preparazione per religiosi (abbazie, monasteri, conventi
  ed altri tipi di chiostri). Una suddivisione delle istituzioni totali così
  formulata non è né chiara, né esauriente, né può
  servire di base per uno studio analitico dell’argomento. Essa risulta tuttavia
  capace di darci una definizione significativa della categoria, come punto di
  partenza concreto. Fissando in tal senso la definizione iniziale delle istituzioni
  totali, spero di riuscire ad analizzarne le caratteristiche, senza cadere nel
  pericolo di essere tautologico.
  Prima di tracciare un profilo generale da questo insieme di organizzazioni istituzionali,
  vorrei qui fare una precisazione di carattere concettuale: nessuno degli elementi
  che descriverò sembra tipicamente peculiare delle istituzioni totali,
  né può essere condiviso da tutte. Ciò che è tipico
  nelle istituzioni totali è che ciascuna di esse rivela, ad un altissimo
  grado, molti elementi in comune in questo tipo di caratteristiche. Parlando
  di "caratteristiche" userò dunque il termine in senso piuttosto
  restrittivo ma, penso, logicamente comprensibile. Ciò mi consente – contemporaneamente
  – di seguire il metodo della tipologia ideale, stabilendone i fattori comuni,
  con la speranza di poter evidenziare in seguito differenze significative.
III
  Uno degli assetti sociali fondamentali nella società moderna è
  che l’uomo tende a dormire, a divertirsi e a lavorare in luoghi diversi, con
  compagni diversi, sotto diverse autorità o senza alcuno schema razionale
  di carattere globale. Caratteristica principale delle istituzioni totali può
  essere appunto ritenuta la rottura delle barriere che abitualmente separano
  queste tre sfere di vita. Primo, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello
  stesso luogo e sotto la stessa, unica autorità. Secondo, ogni fase delle
  attività giornaliere si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo
  di persone, trattate tutte allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime
  cose. Terzo, le diverse fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente
  schedate secondo un ritmo prestabilito che le porta dall’una all’altra, dato
  che il complesso di attività è imposto dall’alto da un sistema
  di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione. Per
  ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano
  razionale, appositamente designato al fine di adempiere allo scopo ufficiale
  dell ‘istituzione.
  Queste caratteristiche possono essere riscontrate, isolatamente, anche in luoghi
  che non hanno niente a che fare con le istituzioni totali. Ad es. le nostre
  grandi organizzazioni commerciali, industriali e culturali vanno sempre più
  fornendo luoghi di ristoro e svaghi ricreativi per il tempo libero dei loro
  dipendenti. Tuttavia il fatto di poter godere di una più vasta gamma
  di possibilità, conserva – sotto molti aspetti – un carattere volontario
  e ci si preoccupa, anzi, di non far estendere il potere usuale dell’autorità
  fino a questo territorio. Analogamente le "casalinghe" o le famiglie
  che vivono nelle fattorie di campagna possono svolgere le loro attività
  vitali più importanti all’interno di una medesima area recintata, senza
  tuttavia essere irreggimentate collettivamente, dato che non svolgono le loro
  attività giornaliere a stretto contatto di gruppi di persone nelle loro
  medesime condizioni.
  Il fatto cruciale delle istituzioni totali è dunque il dover "manipolare"
  molti bisogni umani per mezzo dell’organizzazione burocratica di intere masse
  di persone – sia che si tratti di un fatto necessario o di mezzi efficaci cui
  l’organizzazione sociale ricorre in particolari circostanze. Ne conseguono alcune
  importanti implicazioni.
  Quando si agisce su gruppi di individui, accade che essi siano controllati da
  un personale la cui principale attività non risulta la guida o il controllo
  periodico (come può essere in molti rapporti fra datore di lavoro e lavoratore),
  quanto piuttosto un tipo di sorveglianza particolare, quale quella di chi controlla
  che ciascun membro faccia ciò che gli è stato chiesto di fare,
  in una situazione dove si tenderà a puntualizzare l’infrazione dell’uno
  contrapponendola all’evidente zelo dell’altro che, per questo, verrà
  costantemente messo in evidenza. Che sia il gruppo di persone controllate a
  precedere il costituirsi del piccolo staff controllore o viceversa, non è
  questo il problema; ciò che conta è che l’uno è fatto per
  l’altro.
    Nelle istituzioni totali c’è una distinzione fondamentale fra un grande
    gruppo di persone controllate, chiamate opportunamente "internati",
    e un piccolo staff che controlla. Gli internati vivono generalmente nell’istituzione
    con limitati contatti con il mondo da cui sono separati, mentre lo staff presta
    un servizio giornaliero di otto ore ed è socialmente integrato nel
    mondo esterno. (2)
    Ogni gruppo tende a farsi un’immagine dell’altro secondo stereotipi limitati
    e ostili: lo staff spesso giudica gli internati malevoli, diffidenti e non
    degni di fiducia; mentre gli internati ritengono spesso che il personale si
    conceda dall’alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo stafI tende a sentirsi
    superiore e a pensare di aver sempre ragione; mentre gli internati, almeno
    in parte, tendono a ritenersi inferiori, deboli, degni di biasimo e colpevoli.
    (3)
  La mobilità sociale fra le due classi è molto limitata: la distanza
  sociale è generalmente notevole e spesso formalmente prescritta. Perfino
  il colloquio fra l’una e l’altra "sfera " può svolgersi con
  un tono particolare di voce, così come risulta dal racconto romanzato
  di un’esperienza reale, vissuta durante un soggiorno in un ospedale psichiatrico:
  "Stammi bene a sentire, – disse la signorina Hart mentre attraversavano
  la sala di soggiorno – cerca di fare quello che ti dice la signorina Davis.
  Non pensarci, fallo soltanto. Vedrai che andrà tutto bene".
  Non appena ne sentì pronunciare il nome, Virginia capi ciò che
  vi era di terribile al reparto Uno. La signorina Davis. "È la capo-infermiera?"
  "Certo!" mormorò la signorina Hart. Fu allora che alzò
  la voce. Le infermiere si comportavano con le pazienti come se non fossero in
  grado di sentire se non si rivolgevano loro urlando. Spesso parlavano fra loro
  con voce normale per dirsi cose che le "ammalate" non dovevano sentire;
  se non fossero state infermiere, avresti detto che parlassero sole. "Una
  persona molto competente ed efficiente, la signorina Davis", annunciò
  la signorina Hart. (4)
  Benché un certo grado di comunicazione fra i ricoverati e lo staff che
  li sorveglia sia necessario, una delle funzioni del sorvegliante è il
  controllo del rapporto fra ricoverati e lo staff più qualificato. Uno
  studioso di problemi di ospedali psichiatrici ne dà un esempio:
  Dato che molti pazienti sono ansiosi di vedere il medico nel suo giro di visita,
  gli infermieri devono agire da mediatori fra i pazienti e il medico, qualora
  quest’ultimo non voglia farsi sopraffare da loro. Al reparto n. 30, sembra che
  al paziente senza sintomi fisici particolari che fosse caduto tanto in basso
  da non godere più alcun privilegio, non venisse mai permesso di rivolgere
  la parola al medico, se non era lo stesso dottor Baker a chiedere di lui. Il
  gruppo insistente, brontolone e delirante – che nel gergo degli infermieri era
  definito come "gli scocciatori", "le seccature" o "i
  cani da punta" – spesso tentava di passare oltre il sorvegliante-mediatore,
  ma quando qualcuno riusciva a farlo, veniva trattato piuttosto male. (5)
  Così com’è ridotta la possibilità di comunicare fra un
  livello e l’altro, è altrettanto limitato il passaggio di informazioni,
  in particolare quelle che riguardano i piani dello staff nei confronti dei ricoverati.
  Il ricoverato è escluso, in particolare, dalla possibilità di
  conoscere le decisioni prese nei riguardi del suo destino. Che ciò accada
  nel campo militare (viene allora nascosta agli arruolati la destinazione del
  loro viaggio) o medico (si nasconde la diagnosi, il trattamento e la lunghezza
  della degenza prevista per i pazienti tubercolotici) (6) questa esclusione pone
  lo staff ad un particolare punto di distanza dagli internati, conservando una
  possibilità di controllo su di loro.
  Queste limitazioni di rapporto è probabile contribuiscano a mantenere
  gli stereotipi di tipo antagonistico. (7) Due mondi sociali e culturali diversi
  procedono fianco a fianco, urtandosi l’un l’altro con qualche punto di contatto
  di carattere ufficiale, ma con ben poche possibilità di penetrazione
  reciproca. Inoltre l’ordinamento e l’istituzione stessa vengono identificati,
  in modo significativo, sia dallo staff che dagli internati come appartenenti
  in qualche modo allo staff, tanto che qualora l’uno o l’altro gruppo si riferisca
  alla finalità o agli interessi della "istituzione", risulta
  implicito che si stanno riferendo (come del resto io stesso farò) alla
  finalità e agli interessi dello staff.
  La frattura fra staff e internati è una delle più gravi implicazioni
  della manipolazione burocratica di grandi gruppi di persone; una seconda implicazione
  concerne il problema del lavoro.
  Negli ordinamenti usuali del vivere sociale, l’autorità del posto di
  lavoro si arresta nel momento in cui il lavoratore riceve il compenso per la
  propria attività svolta; il fatto di spenderlo nell’ambiente familiare
  e in occasioni ricreative, resta una sua questione privata, il che costituisce
  un mezzo per circoscrivere e delimitare l’autorità del luogo di lavoro.
  Ma affermare che agli internati delle istituzioni totali viene pianificata l’intera
  giornata, significa riconoscere che si dovrà organizzare la soddisfazione
  di tutti i loro bisogni primari. Qualunque sia l’incentivo al lavoro, esso non
  avrà il significato strutturale che ha nel mondo esterno. Ci saranno
  motivazioni diverse e diversi modi di considerarlo. Questo è un adattamento
  basilare richiesto agli internati e a coloro che devono indurli a lavorare.
    Talvolta viene loro richiesta un’attività così limitata che
    gli internati, non abituati a lavori tanto leggeri, si annoiano enormemente.
    Il lavoro richiesto potrebbe essere svolto ad un ritmo molto lento o essere
    inserito in un sistema di pagamento che non corrisponde al valore dell’attività
    prestata ed è spesso di natura rituale, come la razione settimanale
    di tabacco e i regali di Natale che stimolano alcuni pazienti mentali a dedicarsi
    a certe attività. Naturalmente accade che, in altri casi, venga invece
    richiesto un orario di lavoro che supera quello di una normale giornata lavorativa;
    il che viene ottenuto, non tanto attraverso l’incentivo al guadagno, quanto
    piuttosto per la paura di una punizione fisica. In alcune istituzioni totali,
    come ad esempio campi per lavori stagionali e navi mercantili, la pratica
    del risparmio forzato pospone l’usuale rapporto con ciò che il denaro
    può acquistare; l’istituzione si occupa di tutti i bisogni di coloro
    che ne fanno parte ed il pagamento è effettuato soltanto quando il
    periodo di lavoro è finito ed i lavoratori se ne vanno. In alcune istituzioni
    vige una sorta di schiavismo, nel senso che tutto il tempo dell’internato
    viene messo a completa disposizione dello staff; qui il senso del sé
    dell’internato e del suo possesso possono venirgli alienati dalla sua stessa
    capacità lavorativa. T. E. Lawrence ne dà un esempio nel suo
    racconto sul servizio prestato in un centro addestramento della RAP.
  I militari con un’anzianità di sei settimane che incontriamo sul lavoro
  feriscono il nostro senso morale incitandoci al menefreghismo: "Siete dei
  cretini, voi reclute, a scannarvi così", ci dicono. Che dipenda
  dal nostro entusiasmo per un’esperienza nuova, o è da ritenersi un residuo
  di civiltà che si conserva in noi? La RAF ci pagherà tutte le
  ventiquattre ore del giorno a tre mezzi penny all’ora; pagati per lavorare,
  per mangiare, per dormire: quei mezzi penny continuano ad accumularsi. È
  dunque impossibile nobilitare una attività facendola bene. Bisogna perdere
  quanto piu tempo possibile, dato che, alla fine del lavoro, non c’è ad
  aspettarci la casa e la famiglia, ma un altro lavoro. (8)
    Che ci sia troppo da fare o troppo poco, colui che, nel mondo esterno, era
    un buon lavoratore, nell’istituzione totale viene corrotto a causa del sistema
    lavorativo vigente. Un esempio di un tal tipo di scadimento morale è
    la pratica, in uso in ospedali psichiatrici di stato, di "mendicare"
    o di "lavorarsi qualcuno" per un soldo da spendere al bar. Ciò
    viene fatto – seppure spesso con qualche riluttanza – da persone che nel mondo
    esterno lo considererebbero un comportamento al di sotto del loro rispetto
    di sé. (I membri dello staff, interpretando l’accattonaggio
    secondo i loro stereotipi civili nei confronti del guadagno, tendono a vederlo
    come un sintomo di malattia mentale e come un’ulteriore prova che li conferma
    nella convinzione che i ricoverati sono malati).
  Vi è, dunque, un’incompatibilità fra le istituzioni totali e la
  struttura di base del pagamento del lavoro così com’è inteso nella
  nostra società. Le istituzioni totali sono incompatibili anche con un
  altro elemento fondamentale nella nostra società, la famiglia. La vita
  familiare è talvolta in contrasto con la vita del singolo; tuttavia i
  conflitti piu reali si evidenziano nella vita di gruppo, dato che coloro che
  vivono, mangiano e dormono nel luogo di lavoro con un gruppo di compagni, difficilmente
  possono avere una vita familiare particolarmente significativa. (9) Al contrario,
  invece, il fatto di avere la famiglia separata dal luogo di lavoro, consente
  ai membri dello staff di mantenersi integrati nella comunità esterna
  e di sfuggire alla tendenza inglobante della istituzione totale.
  Che una particolare istituzione totale agisca nella società civile come
  una forza positiva o negativa, si tratta sempre di una "forza" che
  si avvalorerà, in parte, della soppressione di un intero cerchio di gruppi
  familiari, attuali o potenziali. Al contrario, l’esistenza di nuclei familiari
  offre la garanzia strutturale che le istituzioni totali troveranno qualche resistenza.
  L’incompatibilità di queste due forme di organizzazione sociale dovrebbe
  quindi dirci qualcosa sulle loro piu ampie funzioni sociali.
    L’istituzione totale è un ibrido sociale, in parte comunità
    residenziale, in parte organizzazione formale; qui sta appunto il suo particolare
    interesse sociologico. Inoltre vi sono altre ragioni di interesse in questo
    tipo di organizzazioni. Nella nostra società esse sono luoghi in cui
    si forzano alcune persone a diventare diverse: si tratta di un esperimento
    naturale su ciò che può essere fatto del sé.
  Sono state qui proposte alcune caratteristiche cruciali delle istituzioni totali.
  Ora vorrei prendere in esame queste organizzazioni da due prospettive diverse:
  primo, il mondo dell’internato; secondo, il mondo dello staff. Per poi parlare
  sui contatti fra l’uno e l’altro.
Note:
- La categoria delle istituzioni totali è stata indicata, di volta
in volta, nella letteratura sociologica sotto denominazioni diverse, ed
alcune loro caratteristiche sono state segnalate, in particolare, in un
lavoro trascurato di HOWARD ROWLAND, Segregated Communities and Mental
Health, in F. R. MOULTON (a cura di), Mental Health Publication of
tbe American Association for tbe Advancement of Science, n. 9, 1939.
Un’esposizione preliminare di questo saggio è riportata in BERTRAM
SCHAFFNER (a cura di), Group Processes, Transactions of the Third
(1956) Conference, Josiah Macy jr Foundation, New York 1957. Il termine
"totale" è stato anche usato nel suo significato attuale
in AMITAI ETZIONI, The Organizational Structure of "Closed"
Educational Institutions in Israel, in "Harvard Educational Review",
XXVII, 1957, p. 115.
Torna su - Il duplice carattere delle istituzioni totali mi fu segnalato da Gregory
Bateson ed è stato osservato nella letteratura. Cfr. LLOYD E. OHLIN,
Sociology and the Field of Corrections, Russell Sage Foundation, New
York 1956, pp. 14-20. Nelle situazioni in cui si richiede allo staff di vivere
nell’istituzione, è presumibile che esso avverta di essere sottoposto
ad una particolare privazione, oltre al fatto di essere soggetto ad una condizione
di dipendenza che supera ogni aspettativa. Cfr. JANE CASSELS RECORD, The
Marine Radioman’s Struggle for Status, in "American Journal of Sociology",
LXII, 1957, p. 359.
Torna su - Per la versione carceraria cfr. S. KIRSON WEINBERG, Aspects of the Prison’s
Social Structure, in "American Journal of Sociology", XLVII,
1942, pp. 717-26.
Torna su - MARY JANE WARD, The Snake Pit, New American Library, New York 1955,
p. 72.
Torna su - IVAN BELKNAP, Human Problems of a State Mental Hospital, McGraw-Hill,
New York 1956, p. 177.
Torna su - Un rapporto completo al proposito ci è dato nel capitolo Information
and the Control of Treatment nella monografia di prossima pubblicazione
di Julius A. Roth sui sanatori per tubercolotici. Il suo lavoro promette di
essere un modello di studio di un’istituzione totale. Cenni preliminari possono
essere individuati nei suoi articoli What is an Activity?, in "Etc.",
XIV, autunno 1956, pp. 54-56, e Ritual and Magic in the Control of Contagion,
in "American Sociological Review, XXII, 1957, pp. 310-14.
Torna su - Proposto da OHLIN, Sociology ecc. cit., p. 20.
Torna su - T. E. LAWRENCE, The Mint, Jonathan Cape, London 1955. p. 40.
Torna su - Un caso marginale interessante è, a questo proposito, il kibbutz
israeliano. Cfr. MELFORD E. SPIRO, Kibbutz, Venture in Utopia, Harvard
University Press, Cambridge 1956; e ETZIONI, The Organizational Structure
of "Closed" Educational Institutions in Israel cit.
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