di Luca Baiada

Com’è andata? Mi chiedi com’è andata? Tieniti forte. Non ci volevo credere nemmeno io. Allora, prima di tutto: me l’hanno fatta sentire che stava dietro una tenda, sul palco, al solito posto. Con la scusa che non si era rifatta il trucco e cazzate varie. E anche che non si potevano accendere i riflettori, perché poi il contatore gira, e insomma non abbiamo ancora un produttore con la grana, lo sai.

Ma che, potevo rinunciare a sentire le prove? Per come siamo messi da due mesi? No, tre mesi, quasi, accidenti! Barbara che si è tirata indietro perché voleva soldi e non ci sono, Debora la ficona che è rimasta incinta, e altre non se ne trovano. E lo sai, che senza la vocalist non si va da nessuna parte. E bisogna iscriversi agli eventi, alle anteprime; e farlo per tempo. E bisogna provare bene, ma bene bene, e ci vuole una col repertorio, una con la voce che non se la mangia il sassofono, e che sta sul ritmo. E poi diciamocelo. Un produttore coi coglioni, lo vogliamo trovare o no? Deve finire così, per i Crazy Fuck Devils? Proprio adesso?

Dopo tre anni che ci smazziamo, e le prove, e suonare anche quando non si alza un euro, e quella volta che Danilo ha esagerato e abbiamo chiamato il medico che quasi coma, e poi nascondere tutto. Adesso ci arrendiamo? I Crazy Fuck Devils non devono andare nella merda. Vuoi tornare a pedalare con le pizze sulla schiena? E io, io devo tornare in carrozzeria da mio cugino, pagato a calci in culo? Beh, stai a sentire.

Penombra, tenda chiusa, mi metto in mezzo alla sala, voglio il sound pieno, corposo. Parte la base con la tastiera, poi chitarra e basso. Una cosa soul, una tirata di heavy, due pezzi progressive e altro: il meglio, per i Crazy Fuck Devils. Quando entra il sassofono credo di svenire, ma dopo è ancora meglio. La sezione ritmica stringe, poi smorza, fa spazio a lei, la invita, la chiama. E succede il finimondo. Una voce che è uno schianto, una cannonata. Aprono la tenda e la vedo, mi viene un accidente. Allora chiedo chi l’ha chiamata, e senti il bello.

Dice Danilo che era lì perché c’erano le prove di un coro del cazzo che non sapeva quale, che era entrata e si erano messi a ridere. Dico: «Danilo, che sei matto?» Dice: «No, guarda eccetera»; doveva cantare le sue robe là, poi lui e Nelson l’hanno guardata, l’hanno sfidata, per prenderla per il culo, no? Quella invece di scappare via, dice, prima guarda il pavimento, si stira in giù la gonna con le mani, si schiarisce la voce. Capito? Si stira in giù la gonna! Che Debora ficona portava la minigonna ascellare, e sul palco se la tirava su fino al naso.

Poi si guarda intorno, chiede se quelli del suo coro proprio non sono venuti, vuole essere sicura. Quando proprio è sicura che non ci sono, accetta. E Danilo fa: ma è uno scherzo, dai verginella fila via. E quella tutta rossa fa: almeno provare. Insomma, va al microfono, che è più grosso di lei. Ed è una botta pazzesca: una vocalist col dark nell’anima, anche di più. E poi, di suo, prova in rap e va giù duro: una trap della madonna, un flow che non perde un pelo.

E lo vuoi sapere, chi è, vero? Beh, pensa che la conosci già. Ti do un paio di tracce: catechismo, sempre alla messa, mai una bestemmia, sempre a struscio coi preti. Il sabato un gelato con la mamma, se si parla di sesso cambia discorso, fino a un anno fa portava il cerchietto nei capelli, coi cuoricini. Ne vuoi ancora? Quando vedeva i film in parrocchia li raccontava a tutti, come una paperella, e voleva far sapere che aveva pianto mangiando le patatine, e che la carta del pacchetto l’aveva portata a casa per ricordo. Ci sei arrivato? Beh, ma allora sei proprio tonto.

Ti aiuto ancora. Non l’hai mai vista coi tacchi, perché a casa dicono che non sta bene. Non ha un tatuaggio perché è roba da «sporcaccioni», dice proprio così. Vestiti che non si vede niente, gonne sempre sotto il ginocchio, braccialettini quelli delle sorprese nell’uovo di pasqua. Cammina tutta precisa, le spalle un po’ curve perché si vergogna del seno. Ancora al buio? Beh, sei proprio cieco. Ma che ti devo dire? Ero cieco pure io. Assuntina!

Ecco, lo sapevo che ridevi. Sì, lei, quella che non la volevano neanche per un picnic. Quella dei compiti fatti bene a scuola, dei voti buoni, quella che a danza classica da quando aveva sei anni, quella col barboncino che quando morì lo mise nell’aiuola e pianse una settimana. Quella che portava l’apparecchio ai denti e domenica pomeriggio diceva: «Fono ftata alla fanta meffa». Assuntina, detta «dammela dammela, ma solo la mano».

Ha una voce da schianto, sa tutto il repertorio, non perde una battuta, non la ferma neanche la polizia, neanche un blackout, se sale di un’ottava fa tremare i muri. Ha detto che viene coi Crazy Fuck Devils, perché basta che c’è da cantare. Ha detto che era venuta in sala per il coro della parrocchia, che ha tirato fuori la voce e adesso non se la rimette in gola neanche se paghiamo, neanche se lo dice il vescovo. E ha accettato. Canta con noi.

E lo vuoi sapere? Adesso devo chiudere la chiamata, ho un appuntamento. Con Assuntina. Vado a prenderla sotto casa. Beh, sotto casa per dire; dietro l’angolo, altrimenti non scende. Succo di frutta, passeggiata. No, dico passeggiata con la mia macchina, fino a un posticino. Ci siamo già stati. La riporto dai suoi in tempo per il cenone. Oggi pomeriggio lei non canta e io non suono. Ciao ciao. E buon anno nuovo!