di Gioacchino Toni

Jeffrey Schnapp, Storia rapida della velocità, il Saggiatore, Milano 2025, pp. 280, € 18,00

Sin dai tempi antichi si è teso a sovrapporre l’idea di vita a quella di movimento, tanto da condurre al convincimento, scrive Jeffrey Schnapp nella sua Storia rapida della velocità (il Saggiatore, 2025), che “più movimento” significhi “più vita”, pensando al “più” in senso qualitativo o quantitativo, momentaneo o durevole, mentale o fisico. Il diffondersi dei mezzi di locomozione, siano essi di tipo animale o meccanico, hanno di fatto contribuito a riplasmare l’esperienza umana dello spazio, del tempo e della società, modificando radicalmente tanto il paesaggio esterno quanto la mente degli individui.

A Schnapp non interessa tratteggiare l’ennesima storia della tecnica o dei trasporti, quanto piuttosto indagare la relazione profonda tra velocità e civiltà che si è data nel corso del tempo, proponendo un viaggio nell’immaginario e nella sensibilità dell’essere umano moderno costantemente in bilico tra desiderio di trascendenza e limiti del corpo, dalle corse dello spartano Lada alla ruota cosmica che avvolge Dante nel Paradiso, dalla carrozza postale di Thomas de Quincey alle macchine da corsa futuriste, dal treno dipinto da William Turner ai microchip della Nvidia.

Ogni forma di accelerazione racconta una metamorfosi che se da un lato promette all’essere umano di superarsi, dall’altro lo pone di fronte al rischio di smarrirsi in un mondo che corre troppo in fretta. Ogni esperienza di una nuova velocità che determina un’accelerazione del ritmo umano rispetto a quello naturale – destinata ad essere presto naturalizzata nella quotidianità – ha dato luogo a “racconti di trasformazione”, «racconti che sostengono la premessa che l’equazione più movimento = più vita implichi un terzo termine: un passaggio dall’umano al più che umano, inteso come conquista di poteri sovrumani tramite mezzi animali, meccanici, elettronici, chimici o spirituali» (p. 17). È ripercorrendo alcuni di questi racconti che Schnapp struttura il suo libro.

Nei racconti di movimento e metamorfosi selezionati, l’autore individua due principali tipologie di trasformazione. Una di “trascendenza forte” (“trascendenza” in quanto l’accelerazione produce sul soggetto un veloce passaggio dallo status umano a quello più che umano, in un contesto in cui la velocità è concepita come qualità divina, “forte” in quanto si tratta di una trasformazione irreversibile in cui l’incidente rappresenta l’eccezione, anziché la norma). Una trasformazione che si determina alla velocità dei fenomeni più celeri in natura che avvicina l’umano al divino.

Il secondo tipo di trasformazione interpreta invece gli effetti della velocità come una forma di “trascendenza debole” (“debole” per la transitorietà dei momenti di eccitazione sensoriale e per l’inevitabilità dell’incidente che riconduce il soggetto alla situazione precedente il movimento). Si tratta di un tipo di trascendenza che, per quanto conduca temporaneamente l’umano verso il più che umano, manifesta il corpo carnale suggerendo l’inevitabile mortalità a cui va incontro. Questo tipo di trascendenza debole, nota Schnapp, tende a prevalere su quella forte nel corso delle ere industriali e postindustriali, anche se alcuni guru della Silicon Valley hanno rivitalizzato la tipologia forte «in una veste tecnocentrica, avvolgendo nel mantello delle nuove tecnologie il linguaggio della fede religiosa» (p. 19). Secondo costoro, grazie allo sviluppo tecnologico, la vita umana potrà presto trasformarsi oltrepassando i limiti dei corpi e dei cervelli biologici mentre le macchine diventeranno sempre più intelligenti, senzienti e autocoscienti.

Schnapp ricostruisce un’antropologia della velocità fatta di corpi, macchine, estasi e schianti a partire da alcuni punti fermi: la grande importanza che ha sempre avuto la velocità (reale e immaginata, somatica e mentale) nella storia della civiltà umana; il fatto che la cultura e le tecnologie si plasmino vicendevolmente; la constatazione di come i movimenti fisici e mentali determinino dinamiche di potere e gerarchie sociali; il fatto che la consapevolezza sempre più diffusa delle catastrofiche conseguenze climatiche determinate dal modello di sviluppo illimitato abbia fatto crollare la longeva fede nel progresso, nella crescita e nell’industrializzazione; la pressa d’atto che, con il passaggio dall’era industriale a quella dell’informazione, «le storie esterne e interne della velocità si sono scisse l’una dall’altra. Oggi si richiede alle menti di muoversi con sempre maggiore rapidità mentre i corpi si spostano tanto quanto, se non meno, rispetto a mezzo secolo fa. Decenni di accelerazione nei ritmi di produzione, circolazione e consumo delle informazioni sui dispositivi connessi hanno attuato una frattura tra le forme di mobilità mentale e corporea senza precedenti negli annali della civiltà» (p. 54).

Schnapp guarda ai mutamenti culturali, sociali e cognitivi che si sono manifestati nel passaggio dall’homo sapiens all’homo digitalis evitando di esprimere giudizi sommari, analizzando le nuove forme di mobilità che emergono in un’epoca caratterizzata da enormi flussi di dati e dallo spettro di un’imminente catastrofe climatica. Tale passaggio epocale ha fatto emergere nuovi modelli di comunità, di interazione sociale, di ordine istituzionale e di scambio economico, così come di nuove forme di libertà e creatività e di ansie e sociopatologie. L’enorme ed insinuante flusso di dati che caratterizza la contemporaneità incide fortemente sui movimenti del capitale globale, sulla gestione urbana, sui principali parametri che regolano il funzionamento del corpo umano (sonno, temperatura corporea, pressione sanguigna, battito cardiaco ecc.), sulle modalità di attenzione, sui modelli di costruzione del sé, sulla concezione che si ha divertimento e dello stesso tempo libero.

La diffusione di sistemi di intelligenza artificiale sempre più sofisticati e performanti con cui l’homo digitalis si trova a convivere ed a confrontarsi lo obbligherà, prima o poi, a fare i conti con i suoi limiti neurocognitivi o biologici. Mentre i futuristi dei nostri giorni, come i loro predecessori primonovecenteschi, restano fiduciosi del fatto che l’umanità saprà governare ogni trovata avveniristica che riuscirà a presentare, traendo da essa enormi benefici, dunque insistano nel sovrastimare le possibilità umane e nel sottovalutare quanto l’umanità sia radicata nel mondo naturale, scrive Schnapp, gli antropologi della velocità «scrutano l’anthropos e la sua storia con millenni di dati a portata di mano, cercando di articolare risposte che possano stimolare una riflessione critica e forse resistere all’ennesima prova del tempo» (p. 58).