di Geraldina Colotti

Più di un secolo fa, il sociologo Max Weber spiegò con autorevolezza come l’individuo moderno fosse destinato al cosiddetto «politeismo dei valori». Queste riflessioni famose, anche se non necessariamente persuasive, servivano a delineare la situazione nuova di società disincantate, costrette a convivere con l’assenza di baricentri ideologici assoluti e col proliferare di dilemmi etici e normativi inevitabilmente drammatici.

Nessun dramma, però, sembra affliggere l’odierno politeismo italiano, che nel 2025 ha segnato un notevole salto di qualità con la morte e la santificazione di Pippo Baudo e di Giorgio Armani.
«Santo subito!», gridavano i più sfrenati fedeli cattolici, dopo la morte di Karol Wojtyla, papa scenografico e reazionario. Come possiamo constatare, l’esperienza non è andata perduta, vista l’ondata di selvaggio conformismo che si è scatenata all’indomani della scomparsa del «re» della televisione e del «re» della moda.
Notiamo che questi «re» sono monarchi dell’apparenza. Baudo «scopriva» i cantanti, facendoli apparire a Sanremo per dischiudere loro le porte del successo. Armani «copriva» attori e politici, facendoli apparire nella miscela di stile e originalità che conferiva loro eleganza e sicurezza.

Notiamo anche un’altra cosa. Questi sovrani dell’esteriorità hanno imposto la loro supremazia solo a partire dagli anni Ottanta. Anni di simulazione portata all’eccesso, anni di narcisismo compulsivo, anni (bisogna dirlo) di controrivoluzione.
E qui viene in mente Leopardi: il Leopardi del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, dove i comportamenti dei suoi contemporanei gli apparivano determinati «quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall’aver sempre fatta quella tal cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall’averla veduta fare ai maggiori, dall’essere sempre stata fatta, dal vederla fare agli altri, dal non curarsi o non pensare di fare altrimenti».

Questo è il quadro. La maggioranza degli italiani ha bisogno di idoli, e, a dispetto delle austere considerazioni di Weber, è disposta ad accogliere nel proprio pantheon Baudo e Armani, e a mescolarli senza difficoltà con Carlo Acutis, ricchissimo e sfortunato figlio di finanzieri, dedito alla beneficenza e santo molto opportuno di Internet.
Sono le divinità del nostro tempo. La gente le acclama. Le piange e le rimpiange. Le commemora (notiamo infine questo) ricorrendo se necessario alle parole e alle sfumature della cultura alta, e attingendo se utile al linguaggio e alle emozioni della cultura popolare. Un conformismo selvaggio, abbiamo detto. Un piattume ubriaco, cieco, da gregge, che contrasta in modo osceno con la realtà: quella delle cassiere imprigionate nei supermercati, dei sikh vampirizzati nelle campagne, dei morti sul lavoro, della mattanza genocida di Gaza.