di Domenico Gallo

“Felice il tempo nel quale la volta stellata
è la mappa dei sentieri praticabili e da percorrere,
che il fulgore delle stelle rischiara”
György Lukács, 1920

“Quando si soffre per qualche cosa, vale la pena”
Corrado Alvaro, 1938

Corrado Alvaro è stato un intellettuale in cui la narrativa, declinata nei canoni classici del romanzo e del racconto, è solo un aspetto della ricerca espressiva che ha caratterizzato la sua vita. Alvaro, infatti, è stato un giornalista importante, a cui dobbiamo reportage del periodo tra le due guerre mondiali dalla Germania, dalla Turchia e dall’Unione Sovietica, e ha fatto parte della generazione di scrittori che, caduto il fascismo, hanno tentato di costruire una cultura autonoma e democratica, che tenesse conto dei complessi stimoli che giungevano dalle altre nazioni senza ignorare la tradizione italiana che era stata soffocata dalla dittatura. Le sue pagine pubblicate su La Stampa, L’Italia letteraria e Omnibus, dove pubblica i resoconti dei suoi viaggi, interviste e recensioni, sono ancora oggi fonte di sorpresa per la lucida capacità di leggere le società straniere e le loro trasformazioni.
La guerra civile italiana non lo trova schierato con le truppe partigiane, a combattere, come Italo Calvino, Giorgio Caproni, Vasco Pratolini, Beppe Fenoglio e molti altri intellettuali, ma, come era accaduto a Cesare Pavese, tenta di sfuggire alla morsa della guerra nascondendosi. Corrado Alvaro fuggirà da Roma sotto falso nome, nonostante avesse coraggiosamente firmato, nel 1925, Il Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce, in risposta all’iniziativa di Giovanni Gentile a favore del fascismo, e che vantava le firme di Gabriele D’Annunzio, Giuseppe Ungaretti, Luigi Pirandello e Curzio Malaparte e altri1.

Se si riporta, seppure brevemente, alcuni episodi della storia personale di questo scrittore è per collocare la sua opera all’interno del sistema della letteratura di regime e della censura fascista, che fu di particolare importanza per Alvaro, e, soprattutto, per comprendere la natura delle sue opere del Dopoguerra, che sembrano sottrarsi al modello della letteratura della Resistenza che si dispiega a lungo dopo la fine del conflitto. Quella della Resistenza è un tentativo di letteratura corale, come è chiaro a Italo Calvino quando, a proposito de Il sentiero dei nidi di ragno, sostiene che si tratti di “un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca” (Pedullà, pag V). Calvino, almeno quando, vent’anni dopo la pubblicazione del suo romanzo d’esordio, scrive questa frase, ritiene ancora che un’opera sulla Resistenza italiana debba essere un elemento di una complessa e poliedrica opera letteraria in grado “di parlare a nome di tutti coloro che avevano preso parte alla lotta” (Pedullà, pag. V). Un’idea che richiama, forse, alcuni modelli letterari marxisti e le parole di Maksimin Gor’kij che, definendo le caratteristiche dello scrittore proletario, cita “la poetizzazione del lavoro collettivo, il cui scopo consiste nella creazione di nuove forme di vita, forme tali che escludano completamente ogni dominio dell’uomo sull’uomo, nonché l’assurdo sfruttamento delle sue forze” (Gor’kij, pag. 55). Tuttavia a Calvino sono estremamente chiari i meccanismi strutturali della letteratura e il gioco di modello retorico che le scritture della Resistenza assumono man mano che si allontanano dalle valorose giornate dei combattimenti in montagna. Al di fuori di questo modello, destinato a spegnersi all’interno del mito della Resistenza tradita, altri scrittori, tra cui spicca Corrado Alvaro, percorrono itinerari molto differenti ma non meno radicali e innovativi. In questo contesto voglio approfondire come, per Alvaro, il racconto fantastico e di fantascienza abbia costituito un elemento di rottura verso le letterature ufficiali prima del fascismo e, successivamente, del Dopoguerra. Soprattutto per Alvaro la scrittura di fantascienza si realizza non per assimilazione e imitazione dei modelli anglosassoni, ma come inevitabile punto di arrivo della ricerca di una forma capace di rappresentare una critica sociale e politica altrimenti inesprimibile. La sua fantascienza è quindi il superamento del metro del realismo, la constatazione che la complessità del contemporaneo è tale che, per superare l’inganno della propaganda e del consenso, è necessario trascendere un linguaggio che, inevitabilmente, è diventato lo strumento della dittatura.

Alvaro, dopo l’episodio de Il Manifesto degli intellettuali antifascisti, su consiglio di Luigi Pirandello, abbandona l’Italia. Si tratta, probabilmente, di una misura precauzionale, e il suo arrivo a Berlino è più da viaggiatore che da esule politico. Si tratterrà in Germania per sei mesi, e da quel soggiorno nascerà il reportage ora raccolto in Colore di Berlino, una ventina di articoli giornalistici e nove racconti in cui serpeggiano le molte tensioni che stanno portando la Repubblica di Weimar alla tragica dissoluzione. Non è difficile leggere nel dramma tedesco che ha davanti, nell’aggravarsi dell’antisemitismo come fenomeno politico e pubblico, negli strascichi del fallimento della Rivoluzione spartachista e nelle tentazioni autoritarie della scuola bolscevica, gli elementi fondamentali che consentiranno l’ascesa del nazismo in un’atmosfera di generalizzato e inquietante consenso. Nel 1931 Alvaro è in Turchia, alla scoperta di una nazione ancora in bilico tra Occidente e Oriente, che descrive attraverso racconti e riflessioni. Il fascino che Mustafa Kemal Atatürk esercita sullo scrittore italiano in cerca di aspetti utopistici è evidente. Viaggio in Turchia, pubblicato da Treves nel 1932, è ancora una raccolta di articoli e racconti capace di svelare al lettore la magia di un mondo che, per alcuni aspetti, ricorda ad Alvaro la sua Calabria, ma che, contemporaneamente, è mosso da spinte di modernizzazione e di tensione verso l’Europa. Ma i viaggi più importanti sono quelli in Unione Sovietica. La fascistissima Fiat ha costruito in Unione Sovietica un importante stabilimento automobilistico, così Corrado Alvaro, che è inviato de La Stampa, ottiene i permessi per visitare il paese del nemico comunista grazie alle intercessioni della famiglia Agnelli che controlla il quotidiano torinese. Dal 13 giugno al 23 luglio del 1934 raccoglie la straordinaria documentazione destinata a costituire I maestri del diluvio- Viaggio nella Russia sovietica, pubblicato da Mondadori nel 1935. Il resoconto di questo lungo viaggio nella prima fase della dittatura stalinista, oltre a rendere una lucida e penetrante descrizione della vita a quindici anni dalla Rivoluzione, costituisce la base per la scrittura de L’uomo è forte, assieme a L’età breve la sua opera più riuscita. L’uomo è forte, pubblicato nel 1938, viene proposto alla censura fascista con il titolo Paura sul mondo, ma il titolo non piace e viene richiesta una modifica. Inoltre i funzionari della censura chiedono la soppressione di una ventina di pagine e l’inserimento di una premessa in cui l’autore doveva dichiarare che la storia si svolgeva in Unione Sovietica. Come vedremo, il viaggio in Russia del 1934 è sicuramente la base per la stesura del romanzo, ma, come molti critici hanno sottolineato, il libro sfugge costantemente a una rappresentazione diretta dell’Unione Sovietica per diventare un paradigma della vita sotto i regimi totalitari che, in quel periodo, opprimevano molti stati europei, in particolare l’Italia e la Germania. Un particolare che sembra non essere sfuggito alla più attenta lettura della censura nazista che, infatti, ne vieta la traduzione e la pubblicazione in Germania.

Il protagonista de L’uomo è forte è Roberto Dale, un ingegnere che rientra nella propria nazione dopo che è avvenuta una rivoluzione. Roberto è stanco della corruzione che ha trovato nello stato in cui è emigrato, dominato da un’economia senza regole e caratterizzato da uno sfrenato individualismo. Animato da sinceri ideali, Dale pensa di poter mettere le sue capacità al servizio del nuovo stato rivoluzionario, ma, gradualmente, si rende conto che gli anni trascorsi all’estero lo rendono un individuo sospetto, forse una spia. Ma lo stato rivoluzionario è ancora lontano da una pacificazione e dalla realizzazione degli ideali in cui Roberto crede. La città in cui abita è teatro di guerriglia tra i partigiani, fedeli alla Rivoluzione, e le bande, truppe controrivoluzionarie che ricordano le armate bianche che si opposero al governo bolscevico.
Anche la relazione che inizia con Barbara, un amore giovanile che Dale rincontra al suo ritorno, non riesce a svilupparsi a causa delle interferenze sempre più opprimenti del potere che non rispetta la vita privata e li spia costantemente. Lentamente in Roberto cresce la consapevolezza che uno stato totalitario intenda impiantare un sistema di collettivizzazione che, al di là delle strutture economiche, si infiltra nell’intimità e nell’individualità delle persone. Si viene a creare un sistema di potere basato sul controllo costante della vita quotidiana che determina, inevitabilmente un senso diffuso di colpevolizzazione. Sulla coppia incombe una figura chiamata “l’inquisitore”, una sorta di commissario politico che si insinua nella loro vita di coppia. Barbara, che inizialmente si abbandona all’amore verso Roberto, è vittima del progressivo senso di paranoia che si sta impossessando dell’intera popolazione e, impaurita da quella che inizia a essere concepita come una trasgressione sociale, confessa colpe mai commesse, coinvolgendo Robert Dale, lo straniero contaminato dall’individualismo. Roberto stesso finisce per interpretare il ruolo che l’Inquisitore ha disegnato per lui, uccide il direttore dell’ufficio in cui è impiegato e fugge lontano dalla città, dove è in corso la guerra civile. I Partigiani lo catturato e la condanna a morte viene eseguita, ma, per una fatalità, il colpo non è mortale, e Roberto viene portato in ospedale dove, per errore, viene scambiato per una vittima delle Bande. Creduto un eroe, Roberto, sdraiato sul letto dell’ospedale, medita un nuovo piano di fuga.
L’uomo è forte è certamente da annoverare tra i romanzi di fantascienza italiani, anzi è uno dei primi che, assieme a Emilio Salgari e altri autori della narrativa popolare, concepisce un modello di letteratura che utilizza la delocalizzazione, temporale e spaziale, della fantascienza. Ma a differenza degli autori di narrativa popolare che vivono all’interno dell’immaginario e quindi hanno facilità ad acquisire le tecniche di scrittura, Corrado Alvaro scopre la fantascienza per necessità letteraria, schiacciato dalla censura, come limite politico, e dalla letteratura realista, che costituisce il limite letterario a descrivere l’enormità della sua esperienza nel contemporaneo. Alcuni critici hanno sottolineato l’eccesiva prontezza di Alvaro nel negare il contenuto esplicitamente anti-sovietico che aveva caratterizzato “l’avvertenza” firmata nel 1938, quando, nella prima edizione dell’Italia liberata, reinterpreta il proprio romanzo come una metafora della vita sotto una qualsiasi dittatura, ma è chiaro al lettore che se la sua intenzione originale fosse stata quella di descrivere esplicitamente la dittatura sovietica come evento peculiare, allora la caratterizzazione sarebbe stata enormemente più evidente ed esplicita. Il romanzo infatti è costantemente in bilico tra le esperienze italiane, quelle di viaggio e la tradizione letteraria. Alvaro era un discreto esperto di letteratura e teatro russo; infatti, pur non conoscendo la lingua, con l’aiuto di Tatiana Tolstoj, figlia del grande scrittore, curò l’edizione italiana di opere di Dostoevskij, Sologub, Tolstoj e altri. Aveva quindi, oltre ai viaggi, fonti imponenti sulla vita russa prima e dopo la Rivoluzione di Ottobre. L’ambientazione ambigua de L’uomo è forte è quindi una scelta stilistica la cui origine può essere trovata ne Il processo di Franz Kafka, nell’opera di Dostoevskij, in Noi di Evgénij Zamjàtin e, solo in parte, ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley. Una lettura comparata tra Il processo è L’uomo è forte è sicuramente ricchissima di ispirazioni, similitudini, disallineamenti, e, sinteticamente, è in grado di stabilire una consapevole e chiara relazione tra i due romanzi. Infatti, oltre alla sincera critica del regime sovietico (che lo accomuna alle ragioni dell’esilio di Tatiana Tolstoj), troviamo preponderante la situazione “kafkiana” di Roberto Dale. Per inciso, Il processo di Kafka, anche se spesso viene dimenticato, è sicuramente uno dei capostipiti del romanzo distopico, grazie alla descrizione del rapporto tra individuo e potere, all’intuizione della progressiva scomparsa del diritto dei singoli, all’avviarsi di una società totalizzante basata sulla repressione poliziesca delle idee e alla delazione, e alla scientifica installazione di un senso di colpa con cui potere e collettività aggrediscono l’individuo.
Dopo la pubblicazione del romanzo di Alvaro troveremo un proliferare di scritti romanzeschi sul totalitarismo, come 1984 di George Orwell e Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler, altre due opere nate dall’incontro tragico tra antifascismo e stalinismo, e sarebbe interessante sapere se, in particolare George Orwell, questi scrittori avessero avuto conoscenza de L’uomo è forte e se abbia ispirato qualche elemento della loro scrittura. Ma Alvaro gioca nel suo romanzo una sua specifica sensibilità, destinata a diventare l’elemento fondamentale della sua critica alle dittature europee. Per il suo modo di vedere, un cosmopolita che aveva vissuto nell’arretrata terra calabrese profonde esperienze sulla natura umana, e che ritroviamo in particolare in Gente in Aspromonte e ne L’età breve, Alvaro constata che le nuove dittature basano il loro potere sul predominio della tecnica. Si tratta di un’impostazione sociale che stravolge il rapporto tradizionale del contadino con i suoi attrezzi e il complesso dei suoi saperi, come lui stesso aveva visto nella dura vita calabrese, e che istituisce la tecnica come strumento di una disumanizzazione che, brutalmente, riorganizza il corpo sociale. Questa esaltazione della tecnica, forse associata al progressivo aumentare di importanza di una burocrazia poliziesca, e finalizzata a controllo e repressione con la gestione di archivi e dossier, è la causa di quel disorientamento dell’uomo che abbiamo letto in Kafka e che, certamente, configura l’incubo mediatico di Wiston Smith di Orwell. In questo senso Germania e Unione Sovietica, con differenti premesse, stanno percorrendo lo stesso cammino. E non è un caso che il protagonista de L’uomo è forte sia un ingegnere, un tecnico assoluto che si considera svincolato da un ruolo politico e morale, un genio di un fare che assurge in queste dittature a mezzo che diventa fine, e fine che si diffonde nella società come ideologia. Non si approfondisce, ma sarebbe molto interessante, vedere come la scuola filosofica italiana, sostanzialmente Benedetto Croce e Antonio Gramsci, ha letto il sottile evolversi del concetto marxiano di ideologia, partendo dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 e da L’ideologia tedesca, e se Alvaro fosse a conoscenza di un dibattito che arriverà fino a Marcuse, ma ne L’uomo è forte rinveniamo una profonda critica del lavoro e della sua organizzazione, troviamo la consapevolezza di come società fondate su un concetto di produzione (come la nostra di oggi) costruiscano inevitabilmente alienazione e disumanizzazione. Per Alvaro, spesso favorevole all’impeto rivoluzionario delle origini, non sfugge la rapida involuzione di un regime che ha fatto dell’industrializzazione la sua chiave di esistenza e il suo meccanismo di produzione del potere.
L’uomo è forte non è l’unico ricorso alla fantascienza di Corrado Alvaro. Nel 1953, in una lettera del 18 settembre a Valentino Bompiani, Alvaro scrive che ha terminato 200 pagine di un nuovo romanzo e che contra di concluderlo per la fine dell’anno. Purtroppo, in quel periodo, si manifesta la malattia che lo condurrà, l’11 giugno del 1956, alla morte. Il nuovo romanzo di cui parla con Bompiani è Belmoro, e verrà pubblicato incompiuto nel 1957.
Descrivendo lo stato della cultura nelle nazioni in cui si è sviluppata la fantascienza, Carlo Pagetti, nell’introduzione al saggio di Vittorio Curtoni sulla fantascienza italiana Le frontiere dell’ignoto, dopo avere citato l’influenza de I viaggi di Gulliver di Johnatan Swift, scrive: “Questa tradizione, purtroppo trascurata dalla nostra critica, ha avuto qualche buon esempio anche nel ‘900, soprattutto con un romanzo che, se fosse stato terminato, avrebbe certamente dato un contributo rilevante all’affermazione del «genere» in Italia, Belmoro di Corrado Alvaro, pubblicato incompiuto, per la morte del suo autore, nel 1957. Belmoro precipita «da una stella» in Italia e visita un paese a noi noto, eppure cambiato perché sconvolto da una catastrofica guerra avveniristica, una «esplosione stellare», visto da occhi primordiali, che non conoscono la storia” (Pagetti, pag. 2).
Belmoro è un romanzo in bilico tra utopia e distopia, il grottesco e l’immaginazione sfrenata si sostituiscono alla tragedia delle nazioni, il registro del tono polemico è costantemente elevato e, ancora una volta, si rivolge verso il mondo della tecnica e della scienza. Dopo l’esperienza che risiede alla base di L’uomo è forte, la fantasia sfrenata di Belmoro è un’avventura che lascia alle spalle eventi come l’Olocausto e la bomba atomica e che, ancora una volta, si pone una serie di interrogativiv relativi al presente. Domande e questioni talmente radicali che non riescono a trovare una via speculativa nei canoni del realismo e finiscono nella fantascienza e nell’utopia.
Nel 1954 lo stesso Alvaro descrive con queste parole il libro che intende terminare. “Sarebbe un libro utopistico, e nello stesso tempo reale, una specie di fantasia degli anni del Dopoguerra con le sue speranze e le sue paure, con uno sguardo spinto nell’avvenire. Noi abbiamo veduto il mondo mutare da dieci anni a questa parte: il principio del nuovo secolo. Di questi mutamenti, Belmoro dovrebbe essere una visione.” (Palermo, pag. 33).
Una nuova guerra mondiale ha sconvolto la Terra. Il risultato è stato la creazione di uno stato tecnocratico planetario chiamato Opera Mundi. Le strutture organizzative di questo Stato si chiamano Opera Nazionale Malvagi, Impresa Emozioni, Unione Igiene e Bellezza, Lega per la Persecuzione dei Poveri e dei Sofferenti, Polizia Biologica. Belmoro è una meravigliosa creatura caduta sulla Terra dallo spazio, che non ricorda nulla della sua origine e della vita precedente, e che si ritrova in campagna, dove è scambiato per una sorta di animale; “uomini bestia” destinati al lavoro e prodotti geneticamente. Ma Belmoro inizia a comprendere il linguaggio e a parlare. Irmene, una giovane contadina attratta da Belmoro, fa l’amore con lui. Un atto semplice e naturale che segna l’esperienza anche fisica di quella vita terrestre. Dopo la campagna, con i suoi riti contadini destinati a dissolversi nel progresso, e dove la vita della città è letta come una sorta di mito e raccontata in un cinematografo, che offre le visioni delle grandi metropoli come Magnitudo ed Energheiton, inizia la comprensione dell’esistenza, a tratti grottesca, da parte di Belmoro. Saranno le tipiche disavventure che discendono dalla lezione di Swift e de Il barone di Münchhausen di Rudolf Eric Raspe, ma con la consapevolezza di un obiettivo morale cui la narrazione deve perseguire. Alcuni passi di Belmoro addirittura ricordano alcune allegorie fantascientifiche di Robert Sheckley. “Era uno di quei giorni in cui a Magnitudo si rastrellano gli infelici e i poveri, e chiunque ha il diritto di ucciderli e di travolgerli” (pag. 22). Una società che rivive gli elementi fondamentali delle utopie negative che sono state alla base della Seconda Guerra Mondiale come il progetto eugenetico di una razza fisicamente migliore. L’Unione Igiene e Bellezza è l’organo deputato a selezionare giovani donne “per l’interesse collettivo e la riproduzione” (pag. 49), mentre a Dolonon, una metropoli particolarmente avanzata dell’Opera Mundi, “l’amore era considerato un atto bestiale (…) e le dolonesi sono arrivate a tale grado di nettezza, che hanno ribrezzo di ogni contatto, e perciò si fecondano artificialmente” (pag. 51), e l’Unione Igiene e Bellezza ha il compito di fornire il seme per la riproduzione controllata. Tuttavia, di nascosto, l’Unione Igiene e Bellezza cede le donne selezionate nell’ambito di una prostituzione di Stato per lo sfogo di quegli uomini che “ubbidivano in segreto a un impulso ormai sorpassato, e che per il loro grado non si adattavano a compiere la solita violenza su bambine o vecchie, cioè su persone indifese” (pag. 51). Gli effetti del conflitto, certamente una guerra nucleare, sono stati devastanti e la razza umana ha subito cambiamenti radicali. Nelle grandi capitali “modernamente biologiche” le tipologie umane precedenti alla guerra sono mostrate nei circhi e sui giornali dell’Opera Mundi si leggono trafiletti del genere: “Da qualche giorno, una tribù di stranieri è ospite nei baraccamenti delle rovine della città vecchia in Energheiton. Essi serbano il tipo dell’uomo che si può vedere nei trattati di biologia e nelle enciclopedie, o semplicemente nei libri di scuola, e che è quasi scomparso dalle nazioni civilizzate dopo la terza guerra” (pag. 57). Sono attori che rappresentano i drammi del passato, opere di Molière e di Shakespeare, che si contraddistinguono per la loro difformità genetica, “diseguale statura e conformazione, quale alto e quale basso, con visi irregolari e di impronta antica, molto dissimili” (pag. 59). Ma il gusto del paradosso che caratterizza quest’opera di Alvaro si estrinseca in una continua provocazione del lettore attraverso le osservazioni didascaliche che spiegano a Belmoro, e ai lettore, le strane regole di questo mondo. Per esempio, riguardo al teatro, chiarisce che “nessuno di questi attori si uccide o uccide realmente sulla scena, come invece accade nelle nostre rappresentazioni” ( pag. 59). Il centro della narrazione di Alvaro si chiarisce rapidamente, il nuovo mondo è figlio della scienza, i suoi abitanti selezionati. Tutto è razionale e scientifico a parte alcune popolazioni superstiti di quel mondo primitivo, che è quello del sorpreso lettore. Un altro aspetto fondamentale della riflessione che Alvaro compie della civiltà a lui contemporanea, attraverso la deformazione prospettica della fantascienza, riguarda la felicità.
L’Opera Mundi è, per definizione, l’organizzazione politica che, al termine del Terzo conflitto mondiale, raccoglie le persone che hanno scelto la felicità. “L’Ordine Mondiale non tollerava nessun infelice nel suo territorio, e ne espelleva ognuno avviandolo verso Magnitudo o Lipona. (…) D’altra parte, l’Ordine Mondiale non poteva tollerare che gli infelici trovassero un rifugio, senza che ciò contravvenisse al fondamentale ottimismo che ispirava la sua costituzione.” (pag. 62) Per questo chi è povero e chi soffre è nemico della società. Siamo a metà degli anni Cinquanta e solo da pochi hanni è naufragato il progetto utopico del nazismo di organizzare e perseverare la felicità su base razziale del popolo tedesco. Ricordiamo che nella cultura nazista la felicità e la salute erano un obbligo dei cittadini ariani verso lo Stato. Negli anni in cui il nazionalsocialismo dominò la Germania la medicina sociale assunse livelli mai visti. Vennero iniziate campagne per ridurre le malattie professionali causate dall’esposizione al radon e all’amianto, nacquero gli screening di massa per le donne e fecero la loro comparsa le campagne contro il fumo e a favore della alimentazione naturale. Robert Proctor, uno storico della scienza statunitense, documenta con grande rigore questa poco conosciuta realtà sociale del nazismo. Una salute pubblica che considera gli ebrei come elementi patologici da eliminare, cancri da sconfiggere; elementi del corpo sociale che inquinano la purezza e la felicità del popolo tedesco. Ne consegue che i lavori pericolosi e malsani fossero riservati agli schiavi umani e, sempre nell’ottica di una salute personale come responsabilità del singolo verso la società, gli screening e la medicina preventiva assunsero carattere obbligatorio. Era vietato essere malati e infelici. Del resto il contemporaneo pensiero berlusconiano ricalca l’imperativo nazista di una società obbligatoriamente felice, bella e orgogliosa del proprio consumismo. Ne L’uomo è forte possiamo leggere l’opinione dell’Inquisitore sull’argomento: “Noi (…) vogliamo che i nostri cittadini siano felici. Devono essere felici per forza. (…). Tutto quello che li turba è delittuoso” (pag. 100).
Corrado Alvaro coglie mirabilmente questo elemento della nostra società, che poi è un aspetto collaterale delle culture eugenetiche che erano state così in voga in tutto il mondo occidentale. Elemento che condivide, probabilmente senza esserne consapevole, con la fantascienza sociologica statunitense di Frederik Pohl, Cyril Kornbluth, Robert Sheckley, Kurt Vonnegut e Philip K. Dick. Ma la straordinaria capacità di affrontare le tematiche nascenti del contemporaneo non si limita alla critica sociale ma, mirabilmente, si occupa del corpo e delle sue trasformazioni, tema che caratterizzerà pesantemente la fantascienza degli anni Sessanta e il più recente periodo del cyberpunk.
All’inizio del romanzo Belmoro, viene ritenuto poco più che un animale, e viene protetto dalla giovane Irmene, che condivide il segreto della sua intelligenza. In seguito si introduce in città sotto spoglie femminili, dove viene protetto dalla ricca Leris, una donna innamorata che lo crede del proprio sesso e che gli offre l’opportunità di conoscere dall’interno la società e le contraddizioni di Magnitudo. Ma il gioco del travestimento non dura a lungo e Leris scopre il feroce inganno e, da donna tradita, cerca di vendicarsi. Belmoro assume una “droga atomica” che trasforma il suo corpo e gli fa assumere le sembianze di un bambino. In questa fase è ancora una donna a prendersi cura di lui, Teodora, e Belmoro bambino scopre, attraverso la sua attività clandestina di venditrice di opere d’arte, altri aspetti dell’utopia tecnocratica. Sembrando un fanciullo, Belmoro frequenta la scuola e le lezioni del corso di Simulazione e Menzogna. Le straordinarie metamorfosi si concludono nell’ultima parte del romanzo, quando giunge a Magnitudo Stella Pidue, la più bella donna del mondo. Stella è un “prodotto di alta selezione (…), figlia di Astrid Nullnull, la prima vergine uscita dagli esperimenti del Ministero delle Scienze Biologiche, nata da vergine” (pag. 181). L’arrivo di Stella Pidue a Magnitudo è anticipato da una serie di missive tra le autorità delle due città che approfondiscono il tema dell’utopia tecnologica e sui meccanismi di modifica del comportamento umano che una società migliore richiederebbe. Magnitudo, che poi è la città di Opera Mundi ancora non integrata completamente nel sistema sottolinea che “amore è ancora una forza incontrollata della natura (…), essa costituisce un’attività predominante del proletariato” (pag. 183). Vale la pena di ricordare che in 1984, Orwell ipotizza che il codice di comportamento della Antisex League sia applicato solo ai funzionari del Partito, mentre la massa dei “prolet” viveva normalmente in stato di promiscuità. Ancora in Belmoro, troviamo scritto che “sono ancora visibili le conseguenza dello spettacolo che diede di sé la classe dirigente, prima dell’avvento della civiltà tecnica e igienica. Essa iniziò inconsciamente un processo di eguaglianza, poiché ostentò tutti i suoi scandali, e tutto ciò che si poteva immaginarla nell’intimità. (…) In ciò, tutti si riconobbero uguali. La sola divisione sociale esistente fu tra «chi gli piace la donna» (…) e «chi non gli piace». (…) Nei più alti come nei più bassi strati della scala sociale, la spiegazione dei difetti, dei pregi, delle virtù, della tolleranza e dell’intolleranza, della maggiore o minore bontà e malvagità, è data sulla base di questo fatto: «Va a letto» o «Non va a letto». Se esistono profonde differenze sociali, esiste una uguaglianza erotica” (pag. 184). Queste straordinarie intuizioni effettuate da Corrado Alvaro a metà degli anni Cinquanta, osservando la Roma a lui contemporanea alla luce delle utopia tecnologica del nazismo, del mito dell’industrializzazione sovietico e della bassa e scomposta qualità morale espressa dal fascismo, del consumismo industriale statunitense, descrive con agghiacciante semplicità il futuro di orribile squallore del lungo periodo del potere berlusconiano e dell’arroganza della sua servitù, in questo delirio di “eguaglianza erotica” che è proprio l’aspetto di decadimento morale che è necessario per attuare una società totalitaria. Alvaro, grazie alla lezione di Kafka, aveva comprso che le dittature europee che si stavano preparando alla guerra devono disciplinare i corpi e i sentimenti delle persone attraverso la sublimazione delle emozioni e dell’amore nella devozione al partito o al leader. Orwell, certamente senza conoscere la raffinata narrazione di Alvaro, ribadisce questo concetto nella sua distopia, ma Alvaro, tornando con gli strumenti della fantascienza a sondare le società del Dopoguerra, comprende che le nuove dittature si apprestano a consolidare il loro potere attraverso una perversa eguaglianza di istinti sordidi e volgari. L’Italia, come era stato per il fascismo, è ancora il laboratorio mondiale della dittatura, e con Berlusconi aggiorna e innova il sistema di soggiogamento delle classi popolari. Per Alvaro è soprattutto importante il problema morale e della vita che le persone possono, o non possono, sperimentare all’interno di una nuova società, e ritiene che le nuove tecnologie, in ogni epoca, collegate al progetto politico del dominio assoluto, assumono il ruolo criminale di strumento di disumanizzazione.
La metamorfosi di Belmoro si conclude, nell’ambito di un romanzo non concluso, in una ulteriore e fantastica forma. Belmoro diventa un’immagine fotografica. Qualcuno ricorderà che uno degli elementi narrativi di William Gibson è stata l’introduzione di nuove forme di vita tecnologica come le intelligenze artificiali, i costrutti digitali, i cyborg. Alvaro propone al lettore italiano della fine degli anni Cinquanta una riflessione molto simile, osservando che le comunicazioni di massa e le tecnologie che le supportano (pensa al cinema e ai rotocalchi) stanno diffondendo nuove espressioni della vita che tendono a diventare autonome rispetto alle esistenze originali. Non è un caso che utilizzi nomi per i suoi personaggi come Pidue e Nullnull che provengono dalle tecnologie, come, in parte, sta facendo Italo Calvino con la scienza. E queste metamorfosi del corpo, se pensiamo soprattutto alla sua metamorfosi semantica, non possono che richiamare Samuel R. Delany e i suoi personaggi che trasformano il proprio corpo alla ricerca di un’identità che non è a priori ma che è proprio frutto della trasformazione. Personaggi che sono stati i protagonisti di Nova, Triton e Dhalgren.
L’edizione di Belmoro che viene pubblicata nel 1957 da Bompiani si basa su 371 pagine e sei capitoli. Il sesto capitolo è di solo due pagine, e inizia con Belmoro che si rivolge al lettore per spiegare l’effetto della disgregazione atomica che lo ha ridotto a “uomo ombra” o “uomo fotografia” (pag. 370). Certamente erano ancora previste almeno una cinquantina di pagine, almeno basandoci sulla dimensione degli altri capitoli, ma la narrazione è bruscamente troncata. Della conclusione del romanzo rimane qualche appunto.
“Durante l’assenza di Belmoro che sta coi fotografi, Stella comincia a sentire la sua mancanza. La ragazza che sta nel quartiere dei fotografi e che spesso parla con Belmoro (forse lo ama) gli dà un giorno una pillola che lo farà guarire. Belmoro prende la pillola mentre è da Stalla. Stella lo vede e lo ama. Fuga verso la felicità e la solitudine” (pag. 372)”

Fuga verso la felicità e la solitudine…

 

Bibliografia essenziale di Corrado Alvaro

L’uomo del labirinto (1926), Bompiani 1994
Gente in Aspromonte (1930), Garzanti, 2000
L’uomo è forte (1938) , Rubbettino, 2007
L’età breve (1946), Bompiani 2003
Belmoro (1957), Bompiani, 1957
Colore di Berlino. Viaggio in Germania, Falzea, 2001
Viaggio in Turchia, Falzea 2003
I maestri del diluvio, Viaggio nella Russia sovietica, Falzea, 2004

Bassignana, Pier Luigi; Fascisti nel paese dei soviet; Bollati Boringhieri, 2000.
Maksim Gor’kij; “Dello scrittore proletario”; in Pacini, Gianlorenzo (a cura di); Il realismo socialista; Savelli, 1975.
Pagetti, Carlo; “Introduzione”; in Curtoni, Vittorio, Le Frontiere dell’ignoto. Vent’anni di fantascienza in Italia, Nord, 1977.
Palermo, Antonio; “Corrado Alvaro e la narrativa europea del Novecento”, in AA. VV., Corrado Alvaro e la narrativa europea del Novecento; Cittadella, 2004.
Pedullà, Gabriele (a cura di); Racconti della Resistenza; Einaudi, 2005.
Proctor, Robert; The Nazi War on Cancer; 1999 (tr. it. La guerra di Hitler contro il cancro; Cortina, 2000)

Originalmente pubblicato sul numero 11 di IF. Insolito e fantastico, ottobre 2012


  1. Il rapporto di Benedetto Croce con il fascismo è costellato da ambuità, plateale sostegno e critiche moderate. Oltre ad avere apertamento sostenuto il fascismo del periodo della Marcia su Roma, lo sostenne costantemente con il voto in Senato in opposizione ai partiti della sinistra. In occasione delle votazioni al Senato del 24 giugno 1924, seguite all’uccisione di Giacomo Matteotti, Croce fu tra i 225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile, e ne impedirono le dimissioni. Il criminale sostegno al fascismo e a Mussolini sarà poi giusticato in maniera poco credibile come l’aver cercato di ostacolare l’estremismo fascista attraverso la fiducia al suo leader e a un suo ipotetico progetto di “ammorbidire” la violenza del Regime. Sicuramente più credibile è che si sia trattato di una sincera manifestazione della sua avversione politica verso i socialisti e i comunisti, fedele all’elitarismo liberale.