di Paolo Prezzavento

Philip K. Dick, Opere Scelte, Meridiani Mondadori (2 volumi), a cura di Emanuele Trevi e Paolo Parisi Presicce, traduzioni di Gabriele Frasca, Marinella Magrì, Gianni Pannofino e Paolo Parisi Presicce, pp. 3.340, euro 140,00

Per quelli come noi che hanno avuto modo di apprezzare le opere di Philip K. Dick nei vecchi Urania e Millemondi, nelle collane delle Edizioni Nord, nella Collezione Immaginario Philip K. Dick di Fanucci e adesso negli Oscar Mondadori, chi come noi ha avuto il privilegio di seguire da vicino i primi contributi critici italiani sull’opera di questo scrittore straordinario e visionario, chi ha avuto il privilegio ulteriore di tradurre opere come Ubik (1965), In senso inverso (1967) e alcuni dei romanzi e dei racconti più importanti della sua produzione, non può non salutare l’uscita del Meridiano Mondadori – Opere Scelte di Philip K. Dick, in due volumi, come una consacrazione dovuta da tempo a uno degli scrittori più geniali e profetici del nostro tempo, che hanno contribuito a plasmare, a scrivere il nostro presente e il nostro futuro.

Ma è possibile canonizzare Dick, normalizzare Dick, e – in definitiva – addomesticare Dick? Come si fa a ridurre nei canoni di un genere letterario – o della pura e semplice letteratura – un autore così originale? Ecco perché forse si sarebbe dovuto riflettere in modo più approfondito su alcuni spunti geniali presenti nelle cosiddette opere mainstream di Dick, quei tentativi di Dick di uscire dai canoni del romanzo di fantascienza, opere che purtroppo non sono state incluse in questo cofanetto.

Una famosa battuta di Emmanuel Carrère risuona nella mente del lettore invasato di Dick – o meglio, di PKD – per tutta la sua preziosa Cronologia ed è appropriata anche per comprendere l’approccio che avremmo avuto noi in un Universo alternativo, un Universo parallelo in cui, come scrive lo stesso Emanuele Trevi, “il Meridiano non l’ho scritto io, ma qualcun altro”. La battuta di Carrère è la seguente: “Nel caso del Cristianesimo delle origini, o del Cristianesimo in generale, dove finisce la patologia, la psicopatia, la malattia mentale, e comincia la religione?” Ne Il Regno (2014) Carrère ama descrivere i Cristiani della prima ora come un gruppo di pazzi scatenati, che facevano delle cose folli, che immaginavano un mondo che ancora non esisteva, di là da venire. Lo stesso fanno quel gruppetto di pazzi invasati, Phil, Kevin, David – ognuno rappresentante un diverso aspetto della personalità dello scrittore – che si interrogano sul Secondo Avvento di un nuovo Messia nel romanzo VALIS. Proseguendo su questa china, in una fusione tra il pensiero di Carrère e quello di Dick – e sappiamo quanto l’opera di Dick abbia influenzato quella di Carrère – si potrebbe affermare: “In quale punto preciso della parabola esistenziale di questo grande scrittore visionario, Philip K. Dick, si può dire che finisca la tossicodipendenza (da anfetamine) o la malattia mentale e inizi la religione o il misticismo?”

Philip K. Dick è stato uno scrittore che già in vita aveva un suo seguito di lettori appassionati, di giovani seguaci della controcultura e della fantascienza che lo ammiravano. C’è stato un periodo in cui questi giovani lettori in America, in Europa, in Italia e anche nei paesi del cosiddetto Terzo e Quarto Mondo, leggevano i classici della letteratura nord-americana e della letteratura russa come Herman Melville, Walt Whitman, William Blake, i Beat, L’Urlo di Allen Ginsberg, le poesie di Gregory Corso e di Lawrence Ferlinghetti, i romanzi di William Burroughs e di Fedor Dostoievskij… Molti di questi giovani iniziarono a leggere i romanzi di Philip K. Dick verso la fine degli anni Sessanta. Già all’epoca, negli Stati Uniti, Dick veniva considerato il maestro del genere “paranoico” della fantascienza, ovvero della fantascienza psichedelica. La sua narrativa era incentrata sui temi degli universi paralleli, su personaggi che scoprono di essere vittime di enormi cospirazioni politiche o che la loro realtà è un’illusione o un’allucinazione indotta dalle droghe (vedi il racconto La Fede dei nostri Padri (1967), purtroppo escluso da questo Meridiano, in cui l’intera realtà è un’allucinazione indotta da una potente droga allucinogena)…

Leggendo le considerazioni di Emanuele Trevi nel suo Profilo di Philip K. Dick e la brillante – pur se fantasiosa, a volte – Cronologia di Carrère, ritroviamo alcuni degli episodi salienti nella vita di Dick che hanno profondamente influenzato la sua opera. Carrère ci ricorda ad esempio che nel periodo 1963-64 Dick comincia ad elaborare una fobia paranoica incentrata sulla figura della sua terza moglie, Anne Rubinstein, convincendosi che Anne avesse ucciso il marito precedente e fosse in procinto di fare lo stesso con lui. Poi nel 1964 Dick divorzia da Anne e comincia a fare uso di droghe, soprattutto di anfetamine, cosa che gli consente di lavorare ad un ritmo spaventoso. Da questo profondo stato di frustrazione – accentuato dalle ristrettezze economiche e dai continui rimproveri della moglie – Dick riemerge scrivendo dei veri e propri capolavori, come Le tre stimmate di Palmer Eldritch (1969), un romanzo in cui una nuova droga dalle straordinarie potenzialità diventa lo strumento di un Dio Malvagio per condizionare le nostre menti, e Ubik, il suo capolavoro assoluto, un romanzo che ha tutte le carte in regola per diventare un libro sapienziale come il Libro di Giobbe, i Salmi, o L’Ecclesiaste.

Un altro episodio fondamentale è l’incontro tra PKD e James Pike, vescovo della Chiesa Episcopale californiana, un incontro che segna l’inizio della svolta religiosa di Dick e – scrive Carrère – “di un’amicizia appassionata tra teologi inclini all’eresia. I due discutono all’infinito, spingendosi sempre più in là, fino a sviluppare una teoria secondo la quale il pane che Gesù dava da mangiare ai suoi discepoli era in realtà un fungo allucinogeno che cresceva sulle rive del Mar Morto” o – aggiungiamo noi – nelle grotte misteriose dove sono stati nascosti per secoli i Rotoli di Qumran (ritrovati nel periodo 1947-56), antichi manoscritti la cui interpretazione del Giudaismo e del Cristianesimo delle origini diventò per Pike una vera e propria ossessione, ossessione che trasmise al suo amico Philip. Gioverà ripeterlo: come si fa ad “addomesticare” nel Canone Occidentale un messaggio così eversivo di qualsiasi principio religioso o puramente letterario? Il Reverendo Pike tornerà poi in diversi romanzi di Dick, come In senso inverso, nel ruolo di un Messia redivivo.

Nel Marzo 1974 Dick, dopo una serie di esaurimenti nervosi, ha una visione mistica, pare dovuta ad una anestesia particolarmente forte operata dal suo dentista. Comincia ad avere delle visioni indotte da un ciondolo a forma di pesce – antichissimo simbolo cristiano – che una ragazza addetta alle consegne porta al collo, anzi tra i seni (come precisa il perfido Carrère), e comincia a vedere un raggio di luce rosa (a pink beam of light) che gli trasmette una miriade di informazioni che provengono da un’entità misteriosa, cui successivamente Dick darà il nome di VALIS (Vast Active Living Intelligence System). Questa esperienza mistica diventerà il centro della sua esistenza, e da essa nascerà la cosiddetta Trilogia di Valis, un trittico di romanzi che cercano, in qualche modo, di dare una spiegazione a ciò che gli è accaduto. Questo trittico conclude giustamente il secondo volume del Meridiano Dick, e non poteva essere altrimenti. Romanzo centrale della Trilogia è L’invasione divina (1981), in cui Dick rielabora il concetto di un Dio che torna sulla Terra sotto le spoglie mortali di un bambino di nome Manny, cioè Emmanuel (come Carrère, come Trevi), un’entità aliena che ci “invade” proprio seguendo il topos dell’invasione extraterrestre che gli scrittori di fantascienza hanno immaginato per più di un secolo, a partire da La Guerra dei Mondi di H.G. Wells (1898). Per tutti gli anni Settanta e fino alla sua morte nel 1982, Dick scrive anche una sorta di sterminato “trattato filosofico”, una auto-analisi della propria psiche e uno sforzo enorme di auto-interpretazione dei propri scritti, dal titolo L’Esegesi (un’opera che da sola meriterebbe un altro cofanetto in tre volumi dei Meridiani) in cui cerca di spiegare gli strani fenomeni che gli sono capitati dopo la rivelazione del raggio rosa, per un totale di circa 8.000 pagine, per lo più ancora inedite.

Ma l’idea centrale di tutta l’opera di Dick è la seguente, anzi sono due le domande fondamentali: “Che cosa è reale?”; “Che cosa è umano?”. È a partire da queste due domande che Dick sviluppa tutta una sua originale riflessione filosofica che lo porta ad allargare i confini della realtà e i confini dell’umano, fino ad includere le stesse macchine intelligenti che noi abbiamo creato ma che in un futuro non tanto lontano ci sostituiranno completamente. Parafrasando una famosa formula religiosa, Dick in un suo saggio arriva ad affermare: “Verrà un giorno in cui una macchina dirà: Ruggine siamo e ruggine ritorneremo”. Che cosa significa questo? Significa che verrà un giorno in cui produrremo un essere dotato di un’intelligenza artificiale così sviluppata che comincerà a porsi delle domande sulla sua stessa esistenza e sulla sua prossima fine, proprio come fa il protagonista del racconto La formica elettrica (1969), Garson Poole, un androide, cioè una macchina, che comincia a porsi delle domande filosofiche sulla sua esistenza e sulle sue percezioni, e arriva al punto di modificare – anzi tagliare – il nastro che ne regola le sensazioni e gli accadimenti quotidiani.

Dicevamo della “svolta religiosa” di Dick, ben rappresentata nel Meridiano dalla cosiddetta Trilogia di VALIS. Quel folle geniale che va sotto il nome di Paolo di Tarso, con cui Dick spesso si identifica, fu il primo a sottolineare l’importanza della caritas nella sua Prima lettera ai Corinzi, concetto che Dick riprende e traduce nel linguaggio moderno con empatia, cioè la capacità di immedesimarsi negli altri, nelle sofferenze dei nostri simili, e anche di coloro che non sono nostri simili, come fa Rick Deckard – il bounty killer di androidi – che comincia ad “empatizzare” con gli androidi e la loro umanissima paura di morire in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) e il più improbabile tra gli agenti della caritas, quell’ammasso di muffa gelatinosa proveniente da Ganimede, Lord Running Clam, in Follia per Sette Clan (1964). Romanzi che riattivano i nostri neuroni specchio, oramai anestetizzati dai disastri della Guerra di Gaza e in Ucraina, dai massacri cui ogni giorno assistiamo da spettatori impotenti sintonizzandoci sui notiziari Tv o leggendo i giornali…

Philip K. Dick è stato uno dei grandi scrittori che ci hanno fatto intravedere un mondo governato dall’Intelligenza Artificiale, il mondo in cui vivremo da qui a pochi anni, il mondo che sognano alcuni miliardari tecnocrati imbottiti di psichedelici come Elon Musk, oppure alcuni convinti assertori di una nuova società governata da una élite tecnocratica e dall’AI, come Peter Thiel, fondatore della Palantir Technologies, azienda leader nel campo dei Big Data e nell’utilizzo militare dell’Intelligenza Artificiale. Verrà un giorno in cui la decisione stessa di scatenare una guerra nucleare sarà affidata all’Intelligenza Artificiale, una decisione del tutto assurda ma possibile proprio perché sarà opera di un meccanismo del tutto privo di empatia. Già adesso l’AI ci sta sfuggendo di mano, e possiamo immaginare un prossimo futuro in cui diventerà impossibile fermare un attacco di droni guidati dall’Intelligenza Artificiale, sarà impossibile mandare un contrordine, interrompere la missione, perché oramai la missione è stata programmata e i droni si rifiuteranno di obbedire, anzi alcuni droni potrebbero decidere di attaccare la centrale dalla quale è partito il contrordine, interpretandolo come un tentativo di sabotaggio. Prima o poi succederà, anzi forse è già successo… Il recente attacco ai bombardieri nucleari russi da parte di decine di droni ucraini guidati dall’intelligenza artificiale, l’Operazione Spiderweb, ci ha già dato un assaggio di quelle che saranno le guerre del futuro, le guerre in cui il soldato in carne ed ossa diventerà un semplice accessorio. Anche questa è una cosa che Philip K. Dick aveva previsto più di settanta anni fa nel racconto Modello due del 1953, in cui si immagina una guerra futura combattuta dalle macchine tra di loro, in cui gli ultimi superstiti umani lottano disperatamente per sopravvivere.

C’è un’ultima profezia di Philip K. Dick che non si è ancora avverata e speriamo che rimanga per sempre tra gli scenari possibili ma improbabili nell’evoluzione della civiltà, un’ipotesi soltanto teorica. In alcuni suoi romanzi Dick immagina un futuro post-apocalittico (ad esempio in Cronache del dopobomba(1965)), in cui l’apocalisse nucleare ha completamente devastato il nostro pianeta, romanzi in cui gli umani sono costretti a vivere sulle colonie di Marte o sulla Terra in bunker sotterranei per non morire contaminati dalle radiazioni, e ad ammazzare il tempo bruciandosi il cervello con le droghe, perennemente impegnati in giochi di ruolo basati sui meravigliosi plastici della bambola Perky Pat messi in vendita dalla Perky Pat Layouts del magnate Leo Bulero (vedi il racconto I giorni di Perky Pat e il romanzo Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch ). È possibile racchiudere tutta questa ricchezza di significati dentro due volumi di un Meridiano? Forse no, ma lo sforzo notevole compiuto dai curatori nel Profilo dell’Autore e nelle Notizie sui testi, oltre agli innumerevoli episodi racchiusi nella Cronologia di Emmanuel Carrère – per non parlare della ricchissima Bibliografia – ci aiutano a prepararci all’incontro con questa vasta, attiva, vitale, intelligenza aliena. Lasciatevi invadere.