di Nico Maccentelli

(Capitoli 7 e 8)

7.

— È una storia incredibile! — esclamò Nando davanti a un piatto di fettuccine al ragù. — Quello che è successo ieri sera ci dimostra come ormai nessun posto sia tranquillo per voi ragazzi.

Silvia si stava sorbendo da mezz’ora la filippica del padre, e non ne poteva più. La madre aveva un’aria scossa. E finalmente il marito se ne accorse. — Si può sapere cos’hai?! — le chiese con sguardo indispettito.

La signora Veronica, emise una sequenza di singhiozzi, come un motore a scoppio indeciso se accendersi o no. Poi si sciolse in una gnola isterica. — Pensa Nando, se fosse successo alla nostra bambina!

L’uomo tagliò corto bruscamente. — Tu devi sempre pensare al peggio. — Poi mitigò il tono aspro con un sussurro palesemente forzato. — Comunque non è successo niente. È-tut-to pas-sa-to! — cadenzò le ultime tre parole, lanciando un’occhiata alla moglie.

In quell’istante suonò il campanello di casa. La signora Veronica andò ad aprire la porta, e apparve Cattabriga. — Buongiorno. Disturbo?

— E lei chi è? — chiese il padre.

— È della polizia, babbo — rispose Silvia prima che l’ospite inatteso potesse qualificarsi.

— Sono l’ispettore Cattabriga. — Restò per qualche istante sulla soglia, guardando prima Silvia, poi la signora Veronica, e aggiunse: — Posso entrare?

Nando alzò un braccio in segno di invito. — Venga, venga! — disse con un sorriso stirato.

Yuri si nettò le scarpe sullo zerbino ed entrò con circospezione. Il suo sguardo si soffermò sui numerosi dettagli della casa: il classico appartamento medio-borghese, versione esotica, perché c’era qualche cineseria come il cane di coccio bianco e azzurro, preso sicuramente in qualche negozio del centro, ma c’erano anche le maschere africane appese alla parete del salone. L’odore di fritto che ristagnava nell’aria gli diede il voltastomaco.

Come in un rituale da telefilm poliziesco, la signora Veronica esordì con un: — Gradisce un caffè?

Cattabriga la guardò di sguincio, studiandola per pochi istanti.  Aveva gli occhi umidi e il rimmel le era colato sulle guance.

— Grazie, ma l’ho appena preso — rispose.

— Non faccia complimenti, sa? — incalzò Nando.

L’ispettore tagliò corto. — Avrei bisogno di fare qualche domanda a vostra figlia.

Nando mise in faccia più stupore che poteva. — Delle domande a mia figlia?

— È la prassi — rispose l’ispettore, allargando le braccia come per giustificarsi e per tranquillizzare l’uomo allarmato per quella che veniva considerata una palese rottura della quiete famigliare. E aggiunse: — Non si preoccupi, stiamo interrogando tutti quelli che erano presenti al Laser game nel momento in cui è avvenuto il delitto.

— Ho letto sui giornali che la pistola non si trova. Un vero mistero — disse Nando. — Ma l’amico del ragazzo ucciso, quello che avete fermato, chi è?

Yuri tacque e fissò Silvia.

La ragazza, che s’era già alzata da tavola, ricambiò lo sguardo di Yuri, piantandogli sfrontatamente gli occhioni blu dritti nei suoi. Disse: — Forse è meglio che andiamo di là, ispettore, in camera mia.

L’ispettore cercò per un istante un’espressione di consenso da parte dei genitori della ragazza, ma immediatamente riacquistò il controllo della situazione. Era lui che doveva condurre il gioco. — Prego signorina.

Veronica scosse la testa e gracchiò all’indirizzo di Cattabriga già nel corridoio: — Questo fatto ci ha distrutto tutti!

La stanza di Silvia era un inno a Jim Morrison. Il suo volto campeggiava dappertutto, insieme a bacchetti d’incenso, sparsi in bicchierini di metallo intarsiato e portaceneri d’ogni tipo. Sulla scrivania un enorme cilum aveva davanti all’imboccatura polvere bruciata. Yuri preferì non vedere.

— Ha finito di guardare la marca dei miei jeans? — chiese Silvia girandosi verso di lui con un’occhiata maliziosa e indispettita.

“Fregnetta del cazzo”, pensò Yuri, “mi piglia pure per il culo…” doveva prendere in mano la situazione. Come sempre. Cambiò repentinamente l’espressione del volto, facendola strafottente: — Non me ne frega ‘na sega dei tuoi jeans. Però quell’oggettino sulla scrivania, di ottima fattura freak, potrebbe destare un certo interesse ai miei colleghi della narcotici.

Silvia trasalì. Che stupida, non c’aveva pensato. Neppure alla merda nel cassettino fucsia dei gatti e dei fiori, dove fino a qualche anno prima teneva il diario di Candy.

Cattabriga sembrò averle letto nel pensiero. — Tranquilla. Ho detto che sarebbero interessati i miei colleghi. Io sulle droghe leggere ho un’altra opinione. Sono qui per risolvere un caso di omicidio, non per fare babau a delle bambinelle appena svezzate.

Yuri lesse lo smarrimento nello sguardo della ragazza. “Finalmente hai smesso la tua aria da fichetta celòsoloio”.

— Tu non sem… Lei non sembra neppure un poliziotto.

— Sì, sì, diamoci pure del tu. E in quanto al poliziotto, cosa credi che nella polizia italiana, girino solo gli ispettori Clouseau?

— Clu… che?

— Lasciamo perdere. — Si mise comodo sulla sedia davanti alla scrivania e per un riflesso incondizionato appoggiò un polpastrello sulla polvere scura davanti al cilum. — Senti Silvia. Devo farti alcune domande, perché in questa faccenda ci sono tanti conti che non tornano.

— E Stefano? — chiese lei con tono apprensivo.

Cattabriga si portò il polpastrello alle narici. — Ecco è proprio di lui che dobbiamo parlare. Cos’era, afgano?

— Marocco — rispose Silvia.

— Stefano è ancora alla centrale. Sai, gli accertamenti, di fronte a un caso simile, non sono certo veloci.

— Ma lo incriminerete?

— Diciamo che per il momento è indiziato.

Silvia si accese una sigaretta con un certo nervosismo. Cattabriga la guardò ancora una volta. Quei jeans attillati, la maglietta bianca che rivelava un seno già ben pronunciato… Per un istante bestemmiò dentro di sé per aver scelto il mestiere del poliziotto. Non che i poliziotti non andassero con sbarbe così giovani, con i jeans pomiciati fino alla consunzione e le tette da pomiciare. Ma tutte le criste e fottute volte che lui aveva a che fare con ragazze simili, era per motivi di servizio.

— L’ho messo nei guai io… — disse Silvia più a se stessa.

— No, non l’hai messo nei guai tu. Se Stefano c’entra sul serio, s’è messo nei guai da solo. È vero che a scuola si divertiva a far apparire e scomparire le cose?

Silvia ripensò alle risate nei corridoi del liceo, quando Stefano faceva scomparire e riapparire come d’incanto pennarelli, portafogli, calzini da ginnastica, beauty case da trucco, e tubi di cioccolatini, come il giorno prima… — Ma questo cosa c’entra?

— Niente. Ma la pistola, per la cronaca, non è ancora stata trovata.

Silvia scosse la testa per sdrammatizzare. — Stefano ha sempre avuto la passione dei giochi di prestigio, ma lo sanno anche i sassi che con due buone maniche larghe si fa apparire e scomparire anche il Titanic.

— Sì, ma questo aspetto, aggiunto alla rivalità di Stefano e Luca, non renderà di manica larga il commissario Improta e il sostituto Piercamilli, che op-là! potrebbero far apparire un bell’avviso di garanzia.

Yuri squadrò la ragazza e aggiunse: — Comunque le indagini sono solo all’inizio. Dovremo interrogare ancora tanti testimoni.

Silvia guardò l’ispettore con una punta di malinconia. Yuri aveva l’impressione che lei tutto sommato fosse più dispiaciuta per Stefano che per Luca. — Silvia — disse, — come vi siete lasciati ieri pomeriggio tu e Stefano?

— Quando gli ho detto di Luca è ammutolito, mi ha tirato due o tre insolenze, poi se ne è andato via che sembrava in catalessi.

— Questo è comprensibile. Ma intendo dire: non ha fatto minacce, non ha manifestato proponimenti di vendetta, o qualcosa di simile?

— Assolutamente no. Stefano non è il tipo.

— Sai poi dove andato?

— Credo dai suoi amici del gruppo.

— Gruppo?

— Sì, un gruppo musicale. Stefano suona la chitarra.

Cattabriga si annotò l’informazione sul suo taccuino. Poi riprese: — Mi sapresti dire i nomi?

Silvia si irrigidì. — Non voglio tirare in ballo altre persone in questa vicenda.

— Guarda che è per il bene di Stefano. A questo punto è molto importante ricostruire le due ore precedenti il suo arrivo alla sala giochi.

Silvia sparò tre nomi, che Yuri si appuntò meticolosamente. — Era quello che volevo sapere — commentò il poliziotto.

— Mi deve ancora fare molte domande? Sa, domani ho un’interrogazione.

— No, per il momento è tutto.

Cattabriga si alzò e si avviò verso la porta.

— Ispettore — lo chiamò Silvia.

Yuri si girò verso la ragazza, che ora gli sorrideva con una strana espressione malinconica.

— Mi creda — disse lei, — non è stato Stefano. Lo conosco troppo bene, non è da lui. — Poi cambiò espressione ancora, sul suo tenero viso comparve uno sguardo sfrontato, provocante, e aggiunse con voce più grave e roca: — Conosco i miei uomini. Li vivo fino in fondo.

Yuri scoppiò in una risata “Gioca la stronza!” pensò. Poi disse: — Ha parlato Marlene Dietrich. La prossima volta però è meglio che l’angelo azzurro si dia una regolata in fatto di fumo. Soprattutto davanti a un pubblico ufficiale.

Silvia lo incenerì con lo sguardo. “Sbirro!” pensò.

Mentre scendeva le scale, Yuri sentì ancora la sua voce suadente, poi imbarazzata, poi impaurita, poi provocante… “Quella benedetta ragazza cambia atteggiamento con una rapidità da attrice consumata. Recita, o è convinta di ciò che dice?”

Poi all’improvviso, sentì come un rimescolo al petto “La verità è che è più micidiale d’uno scorpione del deserto. Dove colpisce lascia dei bei segni.” Doveva ammetterlo: gli piaceva. La differenza d’età, di ruolo sociale, di interessi, di valori etici, tutti gli ingredienti della storia impossibile, improbabile e, per questo, da sognare la sera tra le lenzuola, da immaginare e poi nascondere negli anfratti più remoti della sua mente, insieme alle cosce della zia Roberta a Cesenatico, gambe brune sulla sabbia, rigate dalla salsedine, che lui quindicenne si perdeva per ore a guardare, fino a che non poteva più alzarsi quando lo chiamavano gli amici.

Restava duro, dentro la sabbia. E provava vergogna ed eccitazione insieme, nella consapevolezza che le sue fantasie erano solo pugnette. Allora come ora. Solo con le parti invertite: il trentenne adesso era lui.

Il portone del palazzo si richiuse alle sue spalle. “A conti fatti” concluse, “la ragazza non mi sembra molto disperata per la morte del suo nuovo amichetto…”.

E una volta di più gli crebbe dentro una strana sensazione. Sì, in tutta la vicenda c’era qualcosa che gli sfuggiva. Qualcosa che era rimasto là, in quell’arena, o che girovagava nel labirinto della sua mente. Senza mostrare le generalità.

 

8.

— Questa l’ho già sentita duecento volte. Cambia musica ragazzo. — Il commissario Improta allentò ancora di più il nodo della cravatta e tornò a guardare per l’ennesima volta Stefano. — Dove sei stato le due ore prima della partita a Laser game?

— Dai ragazzi del gruppo.

— Ne sei sicuro? Stai molto attento a non dire cazzate. Stiamo interrogando i tuoi amici proprio adesso e se le versioni non coincidono come due orologi svizzeri tarati su Greenwich, mi sa che sei proprio in un bel pasticcio.

In quell’istante entrò Cattabriga. — Abbiamo ascoltato Guido Mantura, Luigi Bedetti e Franco Simoni, rispettivamente il bassista, il percussion….

— Non me frega un cazzo del loro ruolo nel complesso — tagliò corto Improta, — cos’hanno dichiarato?

— La prima ora, ossia dalle 14 e un quarto alle 15 circa, il Venturoli è andato da loro.

— Ahi, ahi, l’orologio del qui presente ha un buco di un’ora! — disse il commissario. E aggiunse: — All’amico piacciono le mezze verità.

Stefano strinse le nocche delle mani fino a farsele scricchiolare. Importa incalzò: — Va bene fino alle 15. Ma poi che hai fatto?

— Sono andato a zonzo.

— Ah, sei andato a zonzo.

— Visto che ormai sapete tutto della mia vita privata, potrete ben capire che ero scosso, non sapevo cosa fare, se andare al Laser game oppure no.

— E la pistola?

— Quale pistola?

— La pistola con cui hai sparato al Casella.

— Non ho mai avuto nessuna pistola e non ho ammazzato io Luca.

Nel dire queste parole Stefano scosse la testa provato. Erano cinque ore che quella tiritera andava avanti.

— E dai — lo esortò Improta, — se confessi, dopo ti sentirai meglio. Ma ti rendi conto? Un tuo amico! hai steso uno dei tuoi migliori amici! E per che cosa? Per una questione di sottane. Dovresti saperlo ormai, le ragazze sono volubili, vanno e vengono. Cattabriga, come fa quella canzone dei “Neri per caso”? — Poi, senza aspettare suggerimenti, cantò: — Le ragazze sono come aquiloniii…

Cattabriga annuì stancamente, con le orecchie martirizzate da quella nenia stonata. Il commissario stava puntando tutto su quel ragazzo. E per lui, questa era una bella cazzata.

— Beh, per oggi basta così — disse Improta. — Sono già d’accordo con il sostituto Piercamilli di confermare il fermo per altre 24 ore. Poi si vedrà. — E rivolgendosi al ragazzo: — Contento, Stefano? Sei ancora nostro ospite!

— Vado in carcere?

— No, caro mio. Passerai ancora un’altra notte qua, nelle nostre comode stanze. Andrai in carcere se il giudice delle indagini preliminari trasformerà il fermo in arresto. Ma prima devi passare alla scientifica per l’esame del guanto di paraffina.

Due agenti prelevarono il ragazzo, ormai stanco morto per l’estenuante interrogatorio, e lo condussero via.

Yuri si avvicinò al commissario. — Ma vi rendete conto, lei e il sostituto Piercamilli, che se il guanto di paraffina non dà esito positivo, siete obbligati a rilasciare l’indiziato?

— Non “siete obbligati”, caro Cattabriga, ma “siamo obbligati” — puntualizzò Improta. — O non fa parte della polizia anche lei?

L’ispettore incassò la malevola osservazione del commissario con un moto di stizza. — Comunque sia, secondo me il Venturoli è innocente.

— Ma intanto, male che vada, abbiamo fatto vedere che non stiamo con le mani in mano.

“Cialtrone”, pensò l’ispettore avviandosi verso l’uscita.

— Cattabriga — lo chiamò il commissario. — Ho capito che lei non è molto d’accordo sul modo in cui io e il sostituto stiamo conducendo le indagini. Ma mi creda, ne ho viste tante, e quando sono all’inizio di un caso c’è un certo sesto senso che mi guida. Di santarellini che poi si rivelavano spietati assassini ne ho visti a centinaia.

— Sì, ma al Laser game non c’era solo il Venturoli.

— Cattabriga, per chi m’ha preso: per un imbecille? Donati e Cresci si sono già buttati a spulciare vita morte e miracoli di quella banda di giovani debosciati. E presto li vedemo sfilare in queste stanze. Grado dell’interrogatorio: un po’ di pippa al culo. Vediamo se smuovendo le acque, qualche altro stronzo viene a galla. Non è detto che il responsabile sia solo uno.

Poi con un sorriso benevolo aggiunse: — Cattabriga, lei è un sentimentale. Non si lasci ingannare dalle apparenze.

Yuri stava per rispondergli per le rime, ma proprio in quel momento entrò un agente. — Commissario, la stampa è già pronta nella saletta delle conferenze.

— Bene, ispettore. Andiamo a comunicare ai giornalisti le ultime novità. E si metta in testa che l’opinione pubblica si ricorda di più di un presunto assassino in prima pagina, che di un proscioglimento per insufficienza di prove in un trafiletto di cronaca.

 

(Fine della quarta puntata, la prossima: domenica 31/03/2019)

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