di Marilù Oliva
SinfoniaDiPiombo-201x300.jpgMarco Schiavone, torinese, è responsabile di Edizioni BD e di Alta Fedeltà, società di consulenza editoriale che lavora per Disney, Guanda, Mondadori, Panini. L’ho intervistato in occasione dell’inaugurazione della nuova collana BD, Revolver, diretta da Matteo Strukul: esperimento letterario che, pur inquadrandosi nel grande panorama noir, spazia dall’hard boiled al pulp e oltre, contaminando i generi con una propulsione che travalica le etichette, e con l’intento di toccare il «confine sottile che corre fra romanzo, fumetto, sceneggiatura e storyboard». Revolver inaugurerà in libreria il 9 febbraio con “Sinfonia di piombo” di Victor Gischler – romanzo cinematografico rapido, iperviolento, con modulazioni pop non esenti da lirismo – e con “I fuochi del Nord” di Derek Nikitas: la storia cruda e a tratti onirica della spirale di violenza che lega il destino di tre donne.

Revolver si vuole distinguere per contenuti adrenalinici che rispondono allo stile: cosa intendete quando parlate di linguaggio “meticcio, contaminato, bastardo”?
La cifra degli autori che abbiamo reclutato, pur essendo uniti da una comunione d’intenti, hard boiled, noir, thriller, oscilla tra i toni guasconi alla Mike Hammer alle suggestioni di epica norrena, da dialoghi sopra le righe Marvel style alle inquietudini più intime e spietate. Queste commistioni fumettistiche e cinematografiche rendono questi romanzi straordinariamente variegati, appetibili per il lettore più esigente come per chi ha bisogno di azione sfrenata.

Io vi guardo con molta curiosità, anche perché i primi due titoli che pubblicherete sono “Sifonia di piombo”di Victor Gischler e “I fuochi del Nord” di Derek Nikitas (ogni anno usciranno undici romanzi). Però faccio l’avvocato del diavolo e ti chiedo cosa rispondi a quelli che potrebbero obiettare: “Ma non ci sono già abbastanza collane noir/hard boiled, in giro”?
Questo lo scopriremo a breve, direi. Noi pensiamo che ci sia spazio per un progetto, più che per una collana. Un progetto inclusivo, dove stiamo coinvolgendo diversi autori, anche non pubblicati da noi, per rendere l’esperienza di lettura appagante. Abbiamo cercato di lavorare al meglio per i materiali, per la grafica, e fatto uno sforzo non banale per mantenere i prezzi più bassi possibili senza sacrificare la qualità della traduzione e della cura editoriale. Saranno poi i lettori a giudicare se la nostra iniziativa ha valore e motivo di continuare.

Ci anticipi il nome di qualche autore e ci spieghi perché l’avete voluto in catalogo?
Oh, beh, tutti questi autori li vogliamo perché ci piacciono. Nell’Irlanda di Brian McGilloway apprezziamo per esempio la nettezza nell’intagliare emozioni e caratteri addosso a personaggi compositi e mai banali, come il suo ispettore Deviln, allo stesso tempo abbiamo goduto come poche volte nell’immergerci nella torrida California di Sturges, con suggestioni del miglior Elmore Leonard, quando non proprio chandleriane.

Oltre alle collane di narrativa, il fumetto è la grande famiglia che include i generi in cui siete specializzati. Qual è la differenza da voi riscontrata tra il mercato di narrativa e quello del fumetto?
I due mercati sono molto comunicanti, innanzitutto, ma mentre il fumetto può contare su una rete di rivenditori più circoscritta e attenta e curiosa rispetto alle novità, il mercato della narrativa vive di canali estremamente intasati dai grandi gruppi industriali, e l’informazione è per forza di cose più complessa, costosa, difficile da tracciare fino al punto di arrivo, il lettore.

Pubblicate manga giapponesi, manhwa coreani, artbook, bande dessinée francesi, romanzi, saggi. Escludendo gli ultimi due, quali sono i generi più venduti in Italia?
Per il fumetto nel mercato diretto, sicuramente il manga. Come sempre mancano dati oggettivi per un mercato italiano, ma la mia stima è che oggi per il mercato delle fumetterie valgano intorno al 50%.

Una questione annosa: quali sono le differenze tra graphic novel e fumetto?
Proverò a risponderti a quella che è una domanda micidiale per gli operatori del settore. Quasi quanto quella che da bambini ci ponevamo, se fosse più forte Hulk o La Cosa. Graphic novel ha un duplice significato. Il primo è la definizione commerciale di un prodotto a fumetti, che per i paesi anglosassoni ha contraddistinto i volumi brossurati o cartonati, a differenza dei classici e popolari spillati. Questo per esempio portava nella New York Times Graphic Novels Bestseller list tankobon manga come Naruto, volumi come Black Hole, raccolte di precedenti uscite in spillato come Watchmen. Un secondo significato con il tempo è emerso a definire, per antonomasia, tutti quei volumi pensati per essere pubblicati direttamente in volume, senza passare da una serialità precedente, e che, per composizione e stile, tendono ad avere un disegno minimale e asservito al testo, che è più curato, per un pubblico più adulto, meno attratto dall’estetica del fumetto. Esempi di questo piccolo fenomeno possono essere autori come Adrian Tomine, Alison Bechdel, Ellen Forney, James Kochalka dal segno essenziale e dalla composizione mai banale. Questo è coinciso con un aumento dello spazio dedicato a questi prodotti da parte delle grandi catene (Barnes and Noble, Borders) cui serviva una category dove inserire questi “nuovi” prodotti. Ora, per quanto sia utile sottolineare a pubblico e catena del valore la differenza tra Fun Home e l’ultimo Betty and Veronica, il discorso si complica alquanto quando trasliamo tutto ciò in Europa, peggio ancora nell’esterofila Italia, da sempre preda del naming statunitense. Da noi il fumetto ha sempre avuto uno status trasversale di mezzo avvicinabile dai bambini agli adulti, dagli autori impegnati agli onesti travet della matita, da Topolino a Corto Maltese, per rimanere nell’ovvio. E i nostri librai i fumetti avevano chi più chi meno sempre provato a venderli. Comunque, abbiamo provato anche qui a sfruttare questa nuova denominazione, appiccicando l’aggettivo graphic a tanti libri, alcuni validi, altri meno, ma catturando un po’ di più l’attenzione della stampa che, complice il successo dei collaterali da edicola, nel terzo millennio ha finalmente trattato il fumetto quasi sempre senza stupidi pregiudizi.
Graphic novel è diventato in qualche modo sinonimo di un fumetto in volume autoconclusivo, venduto perlopiù nelle librerie di varia, pensato per un pubblico over 30, di solito caratterizzato da una storia intimista o comunque poco spettacolare, e da un segno essenziale, sobrio (o dall’incapacità di disegnare meglio, direbbe forse qualche maligno fumettista popolare).
C’è differenza rispetto al fumetto? Direi di no. Come se ti chiedessero se c’è differenza tra teen novel e romanzo. A parte il fatto dei vampiri obbligatori, intendo..;-)
Dopo trent’anni, comunque, ho capito che Hulk è decisamente più forte. Quindi, magari tra trent’anni riuscirò a risponderti con maggior sicurezza sulla diatriba fumetto/graphic novel…

All’estero com’è considerato il fumetto italiano?
Alcuni autori sono oggetto di culto, ma in generale l’assenza di colore e la scansione di vignette molto ripetitive non rendono appetibile a livello internazionale molti dei nostri prodotti. Non dimentichiamo però che l’Italia, dietro Giappone e Francia ma davanti agli Stati Uniti, è una delle quattro potenze mondiali del fumetto, produttrici del 90% del materiale pubblicato nel mondo.

Alan Moore ed Eddie Campbell in “Un disturbo del linguaggio” affrontano tematiche metaforiche, magiche, universali (e non lo fanno solo loro). Eppure c’è ancora chi sostiene il vecchio adagio che il fumetto sia un sottogenere poco impegnativo…
A proposito di magia… farei una bella macumba a tutti gli imbecilli dal vocabolario ridotto che, poveri di metafore, paragonano ancora uno spettacolo noioso, o un avvenimento ingarbugliato, a un “fumetto”. Basti pensare al tipo di preparazione che serve per scrivere e disegnare un fumetto, rispetto a quella utile a lavorare in televisione…
Per me leggere un fumetto, oggi come trent’anni fa, è un’esperienza totalizzante, che riempie occhi e mente. Chi è in grado di regalarmi questo tipo di emozione può essere soltanto un mago, o un tecnico estremamente evoluto e raffinato. Chi sostiene che il fumetto sia poco impegnativo evidentemente proietta su questo linguaggio i propri limiti, di autore o lettore.

In una precedente intervista mi avevi detto: «Associo il termine ‘eroe’ a Garibaldi, o Che Guevara o, nella fiction, al classico Prometeo, o al V di Alan Moore…». Rispetto agli eroi fumettistici degli anni ’90, vista la rottura prodotta con i canoni del fumetto classico da parte del genere revisionista/decostruzionista, quali sono le caratteristiche imprescindibili degli eroi che proponete oggi?
L’eroe è oggi consapevole dei propri limiti e, spesso, della sua unicità, del suo essere diverso rispetto al mondo circostante. Non è tanto l’aspetto fisico o qualche inquietante potere a rendere il nostro un fuori casta, quanto il suo atteggiamento nei confronti del mondo.

Riscontri una scissione tra quegli eroi e quelli portati avanti da mezzi di comunicazione di massa come la televisione?
Non sono un grande utente di televisione, ma da quel che posso capire, di eroi non ne vengono presentati, di eroi si parla poco o nulla. Credo per non mettere il pubblico televisivo di fronte a modelli irraggiungibili dalla comoda seduta in poltrona.

Anche se i due momenti sono legati, ti piace più leggerli, i fumetti, o “produrli”?
Leggerli, sicuramente. Purtroppo non posso produrne così tanti da soddisfare la mia fame di letture…

Se ti concedessero di incontrarti con un personaggio dei fumetti, chi sceglieresti?
Penso che passare un po’ di tempo con Mort Cinder possa essere una fonte infinita di racconti e saggezza. Certo che, anche Chiara di notte, possiede alcune attrattive…

E cosa succederebbe?
In entrambi casi credo che mi metterei comodo e lascerei fare a loro…