di Franco Pezzini
August Strindberg, Libri blu. Antologia a cura di Franco Perrelli, pp. 288, € 18,50, Carbonio, Milano 2025.
Arriviamo così al 15 giugno 1906. Quella mattina in cui, passeggiando, per la prima volta ho visto il tram n. 365. Fui colpito dal numero e pensai alle 365 pagine che avrei dovuto scrivere.
Scesi quindi per una stradina stretta; un carretto procedeva al mio fianco e recava un vessillo rosso, quello che segnala esplosivi.
Il carretto mi seguiva di fianco e cominciò a irritarmi. Allora, per distogliermi dal vessillo degli esplosivi, guardai in cielo, ed ecco! Il mio sguardo incrociò, ostentatamente, un colossale vessillo rosso (quello inglese). Guardai giù daccapo, e una signora vestita di nero con un cappello rosso fuoco tagliò la strada. Aumentai il passo e, all’improvviso, mi ritrovai di fronte la vetrina d’una cartoleria, dove si esibiva un avviso, scritto a lettere dorate: Herbarium.
Va da sé che tutto questo m’impressionò, e quindi presi la decisione, avrei approntato la mia santabarbara, che sarebbe così diventata il Libro blu. Sarebbe passato un anno, lento, penoso. La cosa più notevole che accadde fu la seguente. In teatro si cominciò a provare il mio dramma Un sogno e, contemporaneamente, avvenne un cambiamento nella mia vita d’ogni giorno. La mia serva si licenziò, la casa andò in malora; cambiai sei serve in quaranta giorni, una peggio dell’altra. Alla fine dovetti rigovernare, apparecchiare e riscaldare da me; mangiare porcherie di trattoria – in una parola, dovetti soffrire quanto di più amaro la vita riservi, senza comprenderne la ragione.
Ai funerali di Strindberg, morto sessantatreenne a Stoccolma nel maggio 1912 d’un cancro allo stomaco, si formò un corteo spontaneo di lavoratori. Negli ultimi anni ne aveva sostenuto la causa, spiccando come portavoce delle critiche dell’ala socialista più radicale contro i liberali: certo si trattava dell’ennesima scelta inattesa – o trasmutazione, in fondo solo apparente – di una vita fitta di contraddizioni, svolte imprevedibili, prese di posizione anche spiacevoli e discutibili, furiose virulenze ideali. Comunque una scena, questa del corteo di lavoratori, che, leggendo i Libri blu (Blå böcker), non avremmo immaginato.
A fronte di una produzione prodigiosa quanto quella di Johan August Strindberg (1849-1912) – cinquanta volumi sparigliati sui più vari generi letterari compreso ovviamente il fondamentale teatro, più dipinti, fotografie, ventidue volumi di corrispondenza – e degli innumerevoli filoni dei suoi interessi, potrebbe sembrare un mero sfizio affrontare un’opera personalissima come questa. Eppure in tale prodigioso zibaldone (1907-1912) conclusivo e quasi riassuntivo della sua intera opera ed esistenza – ricorda il curatore Perrelli, che qui ne trae un’appassionata e ragionata selezione – Strindberg esprime i percorsi mutevoli della propria esperienza ideologicamente erratica. Al punto da poterla considerare una delle sue opere più interessanti e provocatorie.
Sorta di prosecuzione polemica dalle aspirazioni pedagogiche allo scandaloso non-proprio-romanzo Bandiere nere (Svarta fanor, 1904) in cui tra strali satirici e coprofagici prendeva le distanze da intellettuali radicali, materialisti e positivisti già a lui legati in passato – come i romanzieri Gustaf af Geijerstam e Viktor Rydberg, e la femminista Ellen Key –, esponenti di una “decadenza” intellettuale e spirituale gabellata per Rinascenza (pagana) in un mondo di errori e sofismi, Strindberg vagheggia una religiosità informale, una forma di teosofia in grado di spiegare l’antico bagaglio streghesco e paranormale, abbinata però a una sorta di monismo mistico.
Nessuno stupore per l’interesse di Strindberg verso l’occulto e quell’alchimia associata in chiave di trasformazione e conversione spirituale allo stessa forma letteraria dei Libri blu, dove l’autore si mette a nudo come uomo. Nessuno stupore anche considerando la fioritura nella Svezia coeva di Teosofia, Antroposofia e altre dottrine iniziatiche e occulte (i Rosacroce del Joséphin Péladan guardato con interesse da Strindberg, lo spiritismo dal vecchio interlocutore Gustav Edvard Klemming…) in fondo sulla scia del grande Swedenborg cui è dedicato il primo Libro blu ma con connotazioni d’epoca peculiari. Il Maestro degli apologhi del primo Libro blu è appunto una maschera di Klemming con qualche misura di Swedenborg. D’altronde centrale nella sua filosofia, per quanto liberamente riletto, è il Platone dei Dialoghi, ma con un’apertura (anche qui, non strana, dati epoca e approccio) a Schopenhauer.
Dalla crisi spirituale del 1896-98 esposta in Inferno (Inferno, 1897) e Leggende (Legender, 1898), il Nostro si definisce ora come un uomo “dai bisogni religiosi” nell’ambito di un pessimismo mistico radicale dove si mixano appunto Swedenborg e Nietzsche, in un rifiuto rabbioso degli idoli culturali di un mondo al trapasso tra Otto e Novecento, dei concetti di precisione e metodologia in un’apertura totale al fluire degli eventi. Di qui attacchi furenti in campo musicale allo “smusicato Wagner” “rappresentante musicale del Male”, in quello scientifico al darwinismo e allo “sterilizzato Pasteur”, sul piano letterario a “quello stupido di Ibsen”.
Chi è relativamente saggio allora comincia a volgere le spalle ai fantasmi e alle ombre della realtà e a cercarne un’altra, la realtà reale.
Lo Stato, quindi, si presenta come una galera, nella quale la Difesa della Patria è in mano ai sorveglianti; la società un manicomio, nel quale ufficiali e polizia fanno i guardiani; la famiglia un concubinato; la scienza camorra; i capitalisti usurai; le belle arti superflue, la letteratura chiacchiere a stampa; l’industria lusso superfluo; le comunicazioni strumenti di tortura; la luce elettrica un danno alla vista, tutte le benedizioni della civilizzazione o maledizioni o superflue.
Quando lo si comprende, si volta le spalle a tutto e si cerca la sola cosa che abbia un senso, che dia risposte autentiche, che mantenga quel che promette!
Nel risultato rabbiosamente soggettivo pur nell’ambizione pedagogico-missionaria che connota i Libri blu, e che a tratti potrebbe far pensare al Libro Rosso di Jung (non per lo spirito né per la forma, ma per la latitudine immaginale, sapienziale e gli incubi e miracoli d’un diario intimo) corre il groviglio dei fili sottostanti il panorama dell’opera strindberghiana: compresi i bandoli emotivi più o meno patologici, le asprezze, le affermazioni spiacevoli o senz’altro ulceranti, le miserie umane, le invettive contro una società opportunista. Negli anni della stesura vive tra l’altro momenti di totale disperazione – i rapporti con le donne e in particolare con la terza moglie Harriet Bosse, una giovane attrice – vagheggiando persino il suicidio: qualcosa che si combina in modo ovviamente non banalizzabile con la disturbante misoginia attestata anche in queste pagine, e contestualizzabile in una fortissima corrente antifemminile d’epoca (Schopenhauer, Weininger…). Nei nevrotici Libri blu si trova anzi cifrato un Libro dell’amore erotico-occultista a testimoniare una misoginia nutrita di deprezzamento delle potenzialità culturali delle donne (l’ostilità verso la matematica Sonia Kovalevski o la scienziata Marie Curie eruttava in Bandiere nere) e curiose teorie occulte sul sesso in rapporto alla moglie separata e ai suoi nuovi partner.
Se poi consideriamo l’integralismo religioso “più superstizioso che dottrinario” ma latore di untuosi strascichi moralistici, il creazionismo e certe eccentriche idee antiscientifiche – tra cui, respingenti fino all’imbarazzo, le aperture grondanti razzismo all’orrenda e ridicola ariosofia di Jörg Lanz von Liebenfels (il guru prenazista di Teozoologia – La scienza delle nature scimmiesche sodomite e l’elettrone divino, per intenderci) – certo si potrebbe domandarsi perché leggere i Libri blu. E la risposta sta, nonostante tutto, nella presenza (ricorda Perrelli) di
penetranti indagini psicologiche ai limiti della psicanalisi, improvvisi (e persino luminosi) squarci di poesia esistenziale, sinceri momenti di sofferta religiosità e nobile riflessione pessimistica, sartriane riflessioni su les autres come enfer, oltre ad alcuni poemetti in prosa, che andrebbero annoverati tra le pagine più intense scritte da Strindberg.
Se a ciò aggiungiamo l’estrema originalità della forma di questo zibaldone dove “si gioca con le idee e si sperimenta con i punti di vista” e la necessità di comprendere meglio un autore dall’impatto tanto significativo – si pensi in particolare al teatro, ben documentato nei cartelloni anche nostrani – ecco che la lettura rivela un suo estremo interesse. Tanto più che con gli aspetti oscuri del passato ideologico del nostro Occidente dobbiamo in qualche modo fare i conti.
Delle oltre 1500 pagine dell’originale, più di 650 brani su tutto lo scibile umano in forma aforistica e di apologhi la presente antologia spigola una ricca scelta – “all’incirca un terzo […], decisamente privilegiando i brani più leggibili di qualità letteraria e consistenza speculativa”. Il materiale riguarda quattro Libri blu (l’estratto dal quarto è brevissimo), più un Supplemento al primo e un’Appendice dove il concetto italianissimo di Camorra assurge a fenomeno universale e si specula sulla natura quasi massonica della Classe Superiore e il suo sgomitante dominio su tutta la vita spirituale, arte e letteratura comprese.
Forte di un’incredibile abilità di scrittura, Strindberg pone al centro un Io capace di espandersi fino alle più profonde plaghe del mondo dell’inconscio, sia pure nell’ambito di inquietudini non soltanto sue, ma di tutta un’epoca. Per quanto rifiuti a priori l’appartenenza del poeta a scuole o correnti, per salvaguardare la libertà dell’arte, nei fatti l’autore nuota all’interno e nel profondo delle correnti simboliste che traghetteranno all’espressionismo: al punto che si parlerà poi di peste strindberghiana per indicare una tensione allo squilibrio nichilistico e al rabbioso soggettivismo che presto impressionerà un po’ tutti i movimenti d’avanguardia – particolarmente l’espressionismo tedesco.
Le ombre sono calate, l’autore ha finalmente pace. E torniamo idealmente alla scena dei lavoratori al funerale.




