di Franco Pezzini
Fuor della selva con la mente altiera /
ritorna quel guerrer senza paura. /
Così pensoso, gionse a una riviera /
de un’acqua viva, cristallina e pura. /
Tutti li fior che mostra primavera, /
avea quivi depinto la natura; /
e faceano ombra sopra a quella riva /
un faggio, un pino ed una verde oliva. //Questa era la rivera dello amore. /
Già non avea Merlin questa incantata; /
ma per la sua natura quel liquore /
torna la mente incesa e inamorata. /
Più cavallieri antiqui per errore /
quella unda maledetta avean gustata; /
non la gustò Ranaldo, come odete, /
però che al fonte se ha tratto la sete.
Non è un mistero per nessuno ma può far riflettere il fatto che, nella lunghissima storia della magia, una percentuale importante degli utilizzi pratici sia votata all’erotica. Anche se l’amore – inteso qui come eros – dovrebbe contemplare un requisito fondamentale di libertà, fin dal mondo antico è documentata la consapevolezza di un odero, si potero; si non, invitus amabo, “odierò, se potrò; altrimenti amerò mio malgrado”: l’idea cioè della possibile coartazione recata da un sentimento non voluto, al quale prestare ascolto nostro malgrado come all’ossessione di un demone – Dell’amore e di altri demoni, ha titolato qualcuno con espressione fulminante. Inevitabile a quel punto l’ipotesi di soluzioni per arruolare quel dispettoso demone a proprio o altrui beneficio. D’altra parte proprio la forza paradossale del sentimento, che ha sempre radici nel profondo di noi, è apparsa così strana e sconvolgente da farne ascrivere in radice la potenza a un contesto magico, fantachimico (certe fonti la cui acqua potrebbe recare amore o magari disamore – una sorta di antidoto – come vagheggiato dal Boiardo, cui rimando per i versi d’incipit) o sovrannaturale.
Un’affascinante e pionieristica compilazione vintage sul raccordo tra eros e magia pratica è L’occultisme et l’amour di Émile Laurent e Paul Nagour, rispettivamente uno scienziato e un poeta stregato da macabro e occulto (1902), opera proposta in Italia da Mediterranee (Roma, 2021) come Magia erotica. filtri, incantesimi, talismani, a cura dell’esperto di esoterismo Vittorio Fincati: quattordici densi capitoli dove, più che gli aspetti operativi può interessare l’ingegnosità antropologica e la varietà delle pratiche repertoriate. La Francia tra Otto e Novecento è stata un matraccio di esperienze – anche molto sopra le righe – e compilazioni sull’occulto (cfr. qui), e in effetti la Premessa – Sul termine occultismo colloca il tema in un più vasto panorama erudito. Degno di attenzione qui è l’uso del termine “magia bianca” per tematiche come “l’illusionismo, la prestidigitazione, la lettura del pensiero, la crittografia, il linguaggio simbolico dei fiori, dei metalli, dei colori ecc., certe combinazioni matematiche, tra cui il calcolo delle probabilità, la scienza dei belletti e dei profumi ecc.”, laddove più frequentemente il termine è usato invece per forme di magia benefiche, al di là delle connotazioni in radice ambigue della magia come tale. Tale discredito sulla magia bianca – “trucchi infantili, […] maneggi puerili” – può incuriosire; mentre sui concetti successivi si tratta di categorie d’ampio uso (teurgia, goezia, divinazione, Cabbala, scienza ermetica, alchimia, astrologia, spiritismo) fornite quasi a glossario del materiale dei quattordici capitoli che seguono.
Sviluppati a partire dal rapporti tra religioni e amore nel mondo antico e in quello medioevale: dall’amore-attrazione cosmico e dal naturalismo erotico e sessuale presso i popoli antichi tra poesia e deboscia, fino alle tassonomie sessuofobiche del clero cristiano (a classificare compulsivamente sguardo, bacio, toccamento qui o invece lì arrecato…) portatrici di trovate in ultimo grottesche come il culto del Santo Prepuzio e a brutali stravaganze erotico-mistiche come le autocastrazioni. A tali eccessi reagiscono le corti d’amore, fino ai libri d’ore con il ritratto della donna amata e alle adunate galanti a rappresentare appunto la corte del dio o della dea dell’amore.
Tutto ciò a ideale cappello di un discorso che tocca il cielo e l’inferno. Da un lato, si va infatti dal rapporto con gli angeli – che avrebbero avuto commercio carnale con le figlie degli uomini – allo stato disincarnato di Devakhan della Teosofia, che permetterebbe tuttavia di conservare l’amore provato col corpo, agli angeli della Cabbala messaggeri dell’amore o invece patroni di prostituzione e morte, e fino agli accoppiamenti con gli elementali come silfidi e ondine. Dall’altro versante, si sviluppa il fronte di satanismo e demonolatria fino a Huysmans (ma molto sarebbe seguito – vero, Aleister?), con le sue sguaiate declinazioni erotiche e sessuali.
I capitoli che qui seguono sono relativamente prevedibili in una compilazione sul tema magico: incubi, succubi & vampiri, con perle di ginofobia d’antan (“Il succubato è sempre stato più raro dell’incubato. Ci sono più diavoli che diavolesse. La causa è forse nel fatto che l’immaginazione dell’uomo è meno spudorata e più difficile a trascendere rispetto a quella femminile”, sic); il sabba; la messa nera; e infine la materia più “pratica”. Si comincia dagli incantesimi d’amore (e di rivalità in amore) dalle Bucoliche virgiliane all’Ottocento, attraverso immagini, cibi – la mela, per esempio, sarebbe un “buon conduttore” di effetti magici, Biancaneve docet – e filtri, cioè normalmente afrodisiaci, erbe e talismani. Non senza qualche avvertenza: “Stia attento – scrive Jules Bois, giornalista, scrittore ed esperto di occulto –
chi vuole farsi amare a ogni costo e chi vuole distruggere senza pietà. L’esplosione di passione così voluta potrebbe proprio scoppiargli in faccia. A forza di imporsi sull’immagine di colei che vuol far sua, rischia di diventarne posseduto anziché possessore. Entrerà fin nei ventricoli del proprio cuore lo stesso fuoco che lui attizza contro di lei e col quale lui stesso si incendierà.
E con qualche esempio storico: i pasticciacci brutti del vescovo Guichard, del prete Gaufridi e del parroco Grandier, gli ultimi nel contesto di turbative demoniache a conventi di suore (sul caso Grandier e dei “diavoli di Loudun” interverranno com’è noto Aldous Huxley e Ken Russell). E capiamo allora cosa in concreto paventi Bois: più che molesta esplosione di passione, come qualche volta riportano sapidi i giornali, a scoppiare in faccia sarebbero accuse criminalizzanti di psiche fragili, sessualmente represse e alienate.
Segue un approfondimento su filtri e incantesimi in amore – tradizioni dotate di una certa compattezza – tra Egizi, Arabi, Greci e in generale nella letteratura antica: dove non c’è solo la buona prassi per sedurre l’amato (in particolare con afrodisiaci, che a un intero ventaglio di ingredienti strambi univano spesso sperma e sangue mestruale), ma le strategie occulte per allontanare rivali o trattare l’impotenza. Le droghe magiche presentano composizione assai varia, e il sangue ha un’importanza specifica. Discorsi particolari riguardano poi l’arte di inviare sogni felici e particolarmente sogni d’amore, l’evocazione di amati defunti e i patti d’amore, tra amanti o conclusi col demonio (partner ahimè fin troppo presente dei picnic di Adamo ed Eva).
I capitoli successivi riguardano l’arte talismanica in amore, con minerali (pietre, metalli…), vegetali, o invece astrologici o basati sul potere di lettere e numeri; il linguaggio dei fiori (e, più surrealmente, dei francobolli); le forme divinatorie in amore e il rapporto di questo con l’astrologia, i sogni e la musica. Insomma, una panoramica di tutto rispetto. Eppure, a ben vedere, resta fuori qualcosa d’importante: e non per colpa degli autori, ma una necessità di ampliare il panorama a noi ormai s’impone.
Posto che qualunque arte portata avanti con competenza, sacrificio e passione è un atto magico, mi piace non dimenticare in una simile rassegna la potenza della scrittura, letteraria o meno. Che non solo si serve di uno strumento per antica tradizione affidato ai tecnici dell’ermetica, cioè l’uso delle lettere, ma nella voce, nel gioco di dimensioni diverse, nell’evocazione di figurae e nello stesso richiamo alle regole dello scrivere (la parola grimorio deriverebbe dal francese antico gramaire, con la medesima radice di grammatica, intesa un tempo come libro di istruzioni) svela una dimensione di magia. La scrittura non solo seduce (le lettere – in senso lato – d’amore non sono forse attive nello schiudere porte all’interiorità?); non solo proietta sigilli e traccia pentacoli interpellando spiriti e angeli più o meno metaforici – è la scrittura in sé a richiudere insieme gli amanti nel cerchio magico, a fornir loro formule e parole-chiave, a spalancare di lì mondi altri e inimmaginati; non solo suggerisce con tutta la riservatezza rituale espressioni potenti sui piani sottili. Ma coinvolge il soggetto amato in mondi, in avventure assieme, nella scoperta, nell’incontro e nel brivido di un avvicinamento e di un sussurro, fino allo schiudersi di labbra nel bacio – e magari molto oltre. Come ha spiegato qualcuno:
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Si sarebbe anzi tentati, in un mondo critico tanto ossessionato dal distinguere letterario e non letterario – termini che non si sovrappongono tout court a mainstream e genere, si tratta di distinzioni autonome – di riconoscere uno degli aspetti della letterarietà nella capacità di una scrittura di muovere su più piani, su più dimensioni, e dunque anche eventualmente su quella dell’eros: far amare e innamorare. Come scrive Chiara Daino nel suo ottimo romanzo L’Eretista (Sigismundus, 2011, ma in attesa di nuova edizione):
«Hai capito cosa intendo. Sei ancora convinta che l’amore non esista?»
«L’amore esiste. L’amore per la parola»
«Quindi scrivi e basta?»
«Quindi: basta scrivere! Amo troppo le parole e scrivere è il mio modo di amare, di amare le persone. Purtroppo, le persone, quelle che mi circondano, non capiscono questa mia ossessione per le parole».
Ecco allora l’in-canto, il talismano: scrivere di, a, per qualcuno – in qualche caso scrivere con qualcuno, anche se la societas nella scrittura non trova affatto la connotazione erotica come in sé necessaria e anzi vi può talora ostare severamente – costituisce insomma un’esperienza dove l’evocazione dell’eros non riceve meno spazio che nei filtri all’ippomane o con erbe afrodisiache. Fino a far saltar via le molle sociali del circo del libro, ridotto troppo spesso a evento o vendita a peso del personaggio di un autore: se la scrittura può far innamorare, ecco che quel sortilegio della voce si rivela come l’unico davvero importante, l’unico per cui valga la pena di rompersi la testa sul foglio.