di Franco Pezzini
Fabio Ferrari, Sottoterra, pp. 336, € 19, Otto Edizioni, Milano 2025.
Una scrittura efficace e malinconica sostiene questo bel mystery ambientato a Lorino, in un’Emilia-Romagna di antiche bonifiche e veleni sedimentati, nutrie onnipresenti (allevate un tempo nell’Italietta per pellicce autarchiche del cosiddetto castorino, poi liberate al fallimento dell’operazione) e divieti di scavo. Perché cosa può emergere da sottoterra e da quella terra altrettanto fangosa che sono le relazioni nel paese, tra fascisti senescenti ed eredi integratissimi dei loro antichi nemici, storie di tesori più o meno improbabili e assetti politici limacciosi dell’oggi? Ma c’è un’altra terra fangosa, molto più profonda e anzi interiore: ed è quella che spinge sul posto il disincantato Remo, reduce dalla morte della moglie da cui si stava separando in un contesto però di sentimenti irrisolti e affetto ancor vivo.
Giunto al paese dopo aver vagato senza meta, vi si ferma sotto lo sguardo sospettoso degli abitanti: e tra goffaggini e legittime curiosità finisce con l’essere la miccia che fa deflagrare una serie di misteri locali. Fin qui si può dire senza avvilire i segreti dell’intreccio e togliere sorprese: come non è un mistero il fatto che l’accompagni il fantasma tutto interiore della sposa defunta, sorta di levatrice della sua capacità di ripresa interiore. Perché quando non riusciamo a venire a patti coi vivi, ci tocca farlo coi fantasmi. E si tratta d’interlocutori, almeno questi fantasmi, capaci di rispettare la dialettica della vita che prosegue, coi suoi incerti ma anche il bello di ciò che (per fortuna) resta tutto da giocare.
Mentre sono fantasmi più impegnativi e meno duttili, in qualche modo, quelli delle ossa trovate a più riprese sottoterra, con tutto lo sciame di domande annesse dalle vecchie cronache paesane; e qualcosa di fantasmatico avvolge in fondo la stessa soluzione del mystery, tra suggestioni da feuilleton (misteriosi incappucciati, non-detti e rimozioni) e misteri d’Italia mai davvero risolti, in un paese dove scavi sotterranei, ambigue “soluzioni” amministrative e magari armadi della vergogna non trovano un Remo che permetta di chiudere ufficialmente i pozzetti.
La produzione di mystery e veri e propri polizieschi, come detto tante volte, è fin troppo ampia in Italia e ha senso mappare solo qualche uscita di rilievo: in questo caso il testo lo merita. Anzitutto per la qualità di scrittura: i personaggi sono ben sbozzati, a partire dalla famiglia dei locandieri che ha un ruolo importante nella vicenda, e l’ambiente è evocato in termini felici. Si apprezza poi nella storia una genuina originalità: non quella affettata da autori che cambiano un dettaglio secondario e pretendono a quel punto di essersi prodotti in chissà quale novità, ma nel tipo d’intreccio, di dinamiche, in ultimo di soluzioni. E in terzo luogo – e mi verrebbe da dire soprattutto – per l’intelligenza delle suggestioni e per l’affascinante forza metaforica della narrazione. Una terra cedevole dove è vietato scavare ma fin troppi l’hanno fatto diramando sotto tutto il territorio del comune gallerie sotterranee; una terra pronta a farsi fango che insozza e che inghiotte, che causa emergenze e fa affluire fondi pubblici; una terra che nasconde dinamiche collettive e vela sensi di colpa, disagi, malesseri – denunciati qui a più riprese dai personaggi, e che sembrano la cifra connotante della storia. Fantasmi e terra smossa paiono additare dimensioni opposte, le ombre sfuggenti della metafisica e la concretezza fangosa della materia, eppure entrambi guardano lì: a qualcosa d’irrisolto che abbiamo dentro come singoli e come società, e al bisogno disperato di liberarcene. E questo in fondo è il mistero, diciamo pure il mystery, che più ci coinvolge.