di Gioacchino Toni
Giulia Roncucci, Noi siamo il messaggio, Mimesis, Milano-Udine, 2025, pp. 168, € 16,00
Riprendendo il pensiero di Henri Bergson, a partire dalla mesa in relazione dello straniante cambiamento di prospettiva derivato dall’overview effect con cui gli astronauti guardano la Terra dallo spazio con l’esperienza stra-ordinaria dei mistici cristiani incentrata sull’idea di coscienza come ascolto, come apertura uditiva al mondo, in Noi siamo il messaggio (Mimesis, 2025) Giulia Roncucci propone di guardare alle tecnologie di comunicazione come a un fenomeno potenzialmente indirizzato verso un’esperienza della connessione, della compartecipazione e dell’unione fra le persone verso un “noi” universale, come realizzazione della “mondialità”, come sviluppo interiore di un pensiero immaginativo e visionario che parte dal centro della persona-mondo, dal centro dello spirito umano.
Nel tentativo di replicare l’esperienza degli astronauti di abbracciare il mondo nella sua interezza a cui stanno lavorando alcuni ricercatori negli Stati Uniti ricorrendo alla realtà virtuale, si può scorgere la volontà di cogliere le potenzialità di apertura percettiva delle tecnologie comunicative, il loro possibile contributo al “noi” universale, al raggiungimento della “mondialità”.
Per quanto Marshall McLuhan, ricorrendo all’espressione “Villaggio Globale”, prevedesse la tendenziale riduzione del mondo a un unico villaggio ad opera delle tecnologie della comunicazione, il fenomeno della globalizzazione ha recentemente mostrato come, nonostante il suo operare all’insegna dell’uniformazione delle identità e degli immaginari, il mondo contemporaneo, anziché essere divenuto un unico ed armonioso villaggio, appare diviso in blocchi di potere, in una pluralità di comunità conflittuali, di strutture claniche che danno luogo a uno stato di guerra civile globale permanente. «La realtà del fare, dell’apparire e del successo è diventata più grande del cosmo – più grande perché considerata più importante» (p. 30); ridotta a mera materialità, la realtà ha velato il suo lato spirituale.
La tecnologia è oggi esperienza diretta della connessione e della contemporaneità. Il villaggio globale rende le persone, gli stati e le nazioni compartecipi degli accadimenti, come avveniva già con la televisione, ma con internet il mondo dell’informazione ha spezzato il villaggio in piccoli frammenti che giocano come a evocarsi vicendevolmente. Le azioni che emergono da queste sub-comunità, che sono in contatto attraverso sub-canali del web, sono spesso manifestazioni violente in opposizione le une alle altre. L’apoteosi dello scontro è l’annullamento dell’Altro. Il mondo dominato dal tubo catodico, gerarchico e piramidale, che con la creazione di miti collettivi genera compartecipazione affettiva, emotiva e sociale, è sostituito oggi da una moltiplicazione di punti vista, una connessione continua alla quale corrisponde una contrapposizione continua. L’io in questa connessione sente minacciata la propria identità e, trasportato dal suo istinto più primitivo di paura, si pone in opposizione totale e radicale al mondo degli altri. L’altro da sé non viene considerato come soggetto pensante, generatore di idee, ma come ingenuo divulgatore di fatti non reali. Quando si chiede di ripensare la nostra contemporaneità si chiede al pensiero di ritornare a garantire la dignità, la nobiltà morale dell’Altro, anche se sconosciuto. Significa trovare i punti di contatto tra mondo e mondo, “come si è fatto ogni volta che si è voluto pensare al mondo nel suo insieme, nella sua contemporaneità appunto” (p. 33).
«Il mondo globale non corrisponde al mondo immaginante e sognante, è il mondo della realtà produttiva. Se il mondo globale diventasse cosciente, si trasformerebbe in mondo immaginante e sognante: un mondo che immagina sé stesso, che contempla sé stesso ed è contemplato» (p. 35). Il raccontare la propria quotidianità sui social, sottolinea l’autrice, non ingigantisce il mondo sognante ma quello reale, aggiungendo realtà a realtà.
La verità è sempre più legata a ciò che è concreto, impiegabile, tangibile, misurabile e quindi vendibile. La riduzione del nostro relazionarci alle cose al semplice binomio “mi piace / non mi piace” (I like / I don’t like), è il risultato di questo processo. I desideri, che prendendo la forma di prodotti desiderabili si propongono come cose seducenti a cui dare un giudizio elementare, riducono la nostra coscienza critica ad un orientamento polarizzato e privo di profondità. Questo è il passaggio dal pensiero creativo al pensiero consumistico. La contemporaneità autentica è spostare il centro da me stesso qui e ora, per orientarmi verso un mondo invisibile, che è il mondo sognato (il mondo che ancora non è – il mondo che deve rivelarsi). Il mondo sognato è frutto del pensiero creativo dell’uomo, non più appiattito sul reale, ma proiettato verso la profondità del possibile, del non ancora, dell’invisibile (p. 37).
Ecco, dunque, la necessità di un cambio di prospettiva. Quando McLuhan afferma che “il medium è il messaggio” non vuole sostenere che “il mezzo fa il messaggio”, che “il messaggio è un prodotto del mezzo”, ma intende piuttosto sottolineare che i mezzi di comunicazione «hanno in sé un messaggio, ossia un contenuto in sé, che va al di là dei testi o delle parole che vengono diffuse attraverso di essi. In altri termini: “I media stessi e l’intero ambiente culturale sono forme di linguaggio” che hanno un potere trasformante» (p. 40). Nell’affermare che “Il medium è un messaggio”, McLuhan invita a guardare al mezzo tecnologico come a «uno strumento di trasformazione ed è in questa trasformazione che sta il suo messaggio. Il medium apre la coscienza alla rivelazione di una trasformazione che produce un ampliamento dello spirito, al quale deve corrispondere un conseguente ampliamento della coscienza stessa. Il mezzo, come strumento trasformante, modifica la nostra percezione, la nostra psiche e le nostre relazioni» (p. 40).
McLuhan insiste nel sottolineare che, nel loro agire da estensioni dei sensi e del corpo umano, non è sulle opinioni o sui concetti che incidono le tecnologie, bensì sull’ambiente e sulla natura umana e lo fanno alterando costantemente le reazioni sensitive o i modelli percettivi. Ecco perché fatichiamo ad assorbire il reale significato dell’affermazione “Il mezzo è il messaggio”: «perché il mezzo modifica lo spazio relazionale nel quale ci troviamo e noi ne siamo al tempo stesso trasformati e trasformatori» (p. 41). Da ciò deriva, sostiene Roncucci, la necessità di «sviluppare una visione distaccata dal reale e dal senso e, contemporaneamente, una profonda apertura all’analisi di noi stessi, di ciò che facciamo, di come pensiamo e perché» (p. 42). Lo stesso McLuhan, del resto, si dice convinto che i soggetti antisociali, come i poeti e gli artisti, possono vedere gli ambienti per quel che sono realmente grazie al loro porsi ai margini della società, fuori dal contesto.
Alla luce del fatto che, con la comunicazione digitale, si è passati dal “Villaggio Globale” alla “Babele Mondiale”, dal “Mondo villaggio”, «in cui ognuno aveva un ruolo», al “Mondo aperto” «in cui tutti hanno tutti i ruoli e nessun ruolo», Roncucci si domanda cosa voglia dire oggi pensare un “Mondo aperto”, quale pensiero possa cogliere una trasformazione di tale portata, dunque come guardare alle tecnologie di comunicazione visto il loro potere trasformativo.
Il medium è una manifestazione umana, un artefatto e in quanto tale è un prodotto e un messaggio dello spirito. Il medium materializza e ingigantisce facoltà archetipali dello spirito che diventano esperienze trasformanti. Il significato delle esperienze offerte dai mass media deve essere interpretato e compreso. In questo modo viene meno l’inconsapevole dipendenza nei confronti del mezzo stesso. Svelato come messaggio, il mezzo “non dà assuefazione”, ma lascia in noi l’amplificazione dello spirito. L’esperienza trasformante offerta da un medium ha un senso non esplicito e non immediatamente riconoscibile che viene assorbito, ovvero introiettato inconsciamente proprio attraverso l’esperienza. Il messaggio “dello spirito” è un messaggio subliminale. Recepito a livello inconscio. In psicologia con “subliminale” si indicano le sensazioni che hanno luogo sotto il livello della coscienza, troppo deboli per essere avvertite, ma sufficienti, secondo alcuni esperti, a influenzare l’inconscio e condizionare il comportamento. Uno spirito privo di coscienza si genera attraverso l’assuefazione al mezzo. Essere assuefatti al mezzo significa non resistere alla sua suggestione. […]. Contrariamente a quanto sostenuto da McLuhan, è il potenziamento delle facoltà dello spirito rappresentata dal medium ad avere in sé quella “potenza” necessaria a far arrivare alla coscienza il messaggio subliminale del mezzo. C’è una linea sottile che separa la presa di coscienza dall’assuefazione al mezzo. Quali anticorpi dobbiamo mettere in azione per non essere sopraffatti dal potere ipnotico del medium? La consapevolezza che il mezzo ha un messaggio dello spirito da offrire è l’anticorpo (pp. 153-154).
Alla luce delle potenzialità offerte dai mezzi digitali, sostiene l’autrice, occorre prendere atto della necessità di «cooperare, operare insieme, concorrere, partecipare positivamente, empaticamente al bene comune. Ma anche assistere, sostenere, contribuire, aiutare» (p. 155). Questo è, secondo Roncucci, «il messaggio dello spirito; l’esperienza trasformante che sta amplificando il nostro spirito personale e ri-configurando il sistema psichico collettivo» (p. 155).
Tradurre l’ambizione a un mondo immaginante e sognante in concretezza diffusa nel contesto economico, sociale, culturale e immaginario, oltre che mediatico, contemporaneo di certo non è facile, ma l’alternativa è la resa alla miseria del mondo reale.