di Franco Pezzini
(Per le parti precedenti, cfr. qui)
Battaglia con Medusa
Il titolo del capitolo 11 del Domenicano bianco, La testa della Medusa, ci traghetta al cuore di un orizzonte simbolista dove Meyrink incontra idealmente von Stuck e tutta una schiera di altri visionari evocatori (Carlos Schwabe, Maximilián Pirner, Franz Stassen, Jeanne Mammen, Jacek Malczewski, Vasily/Wilhelm Kotarbinsky, Jean Delville, Fernand Khnopff, Gustav-Adolf Mossa, e persino realisti come Wilhelm Trübner) di quell’emblema folgorante, così denso di implicazioni e suggestioni da continuare a interpellare l’Occidente fin dall’antichità. Senza freudismi da rotocalco, è almeno intrigante leggere lo scontro tra Cristoforo e Medusa alla luce del difficilissimo rapporto tra Gustav e sua madre, che pare averlo segnato per la vita.
Il capitolo si apre con una seduta spiritica alla Dr. Mabuse, ma in un contesto molto più povero. A un tavolo in una stanzetta miserabile sono il tornitore Mutschelknaus, una piccola cucitrice gobba con fama di strega, “un donnone vecchio e grasso” , un uomo dalla lunga chioma e il narrante Cristoforo. Su un armadio è un lumicino da notte in vetro rosso con sopra un disegno recante l’immagine della Madonna, il cuore trafitto da sette spade: e l’uomo dai lunghi capelli invita a pregare iniziando a borbottare un Paternostro. La donna grassa singhiozza, e lui invita a formare una catena “poiché gli spiriti amano la musica”. Si prendono per mano e pregano con fervore commovente, ma l’uomo lamenta non ci sia abbastanza forza – e finalmente un crepitio dall’armadio, seguito da uno del tavolo, avverte che qualcuno sta arrivando. Pitagora, spiega l’uomo…
La piccola cucitrice è in convulsioni, a un tratto la sedia le viene strappata via per cui i presenti la sollevano dal pavimento. Cristoforo coglie vibrazioni nell’aria e si domanda se siano quelle di un camion appena passato o se i suoi sensi si siano acutizzati in modo parossistico – e a un tratto coglie un ammonimento interiore a stare in guardia. Avverte l’ingresso nella stanza di “qualcosa di diabolicamente maligno, un essere orrendo, un miasmo di veleni” ma ricorda anche la promessa di Ofelia di stargli accanto e proteggerlo da ogni pericolo. In quel momento gli altri tre gridano all’unisono il nome di lei: sopra il corpo della cucitrice si formano due coni di miasmi bluastri, uno con la punta verso l’alto e il secondo verso il basso, e si congiungono a formare una grande clessidra come in un manifesto di grafica espressionista. Poi i contorni si definiscono quasi in una lanterna magica e appare Ofelia. Una visione chiarissima, eppure in Cristoforo, come se l’avo e Ofelia gridassero assieme dal suo intimo, risuona l’esortazione a tenere saldo il cuore: e intanto l’immagine formatasi della ragazza amata prende a camminare nella sua direzione. Lo bacia sulla fronte, gli stringe la mani al collo fino a fargli sentire il calore del suo corpo e farla sospettare tornata in vita: ma la voce di Ofelia in lui grida in modo angosciato che quella porta solo la sua maschera, lui non la abbandoni… Non lo farà, garantisce Cristoforo, e si chiede mentalmente, fissandola, chi sia costei che porta la maschera di Ofelia: “in quell’istante sul viso del fantasma guizza un’espressione inanimata, da statua di pietra, le pupille si contraggono come se fossero state colpite da un raggio di sole”. La larva si ritrae per non farsi smascherare, ma per un attimo Cristoforo le ha visto riflessa negli occhi la testa di un estraneo invece della propria. Poi lo spettro va a farsi abbracciare dal tornitore, e Cristoforo è colto dall’orrore: trattiene in mente il viso riconosciuto dell’estraneo che cerca di sfuggirgli, insieme di fanciullo e di fanciulla tanto belli ma spietati, con uno sguardo senza iride come una statua di marmo. Un volto che è punto di convergenza tra due mondi, “come una lente focale in cui si raccolgono i raggi del regno della distruzione, saturi d’odio: dietro tale punto si cela l’abisso di ogni disintegrazione, e l’Angelo della Morte ne è il simbolo più evanescente”. Ma alla domanda su quale forza dell’universo gli abbia infuso vita coi tratti di Ofelia, si risponde poco dopo che è “la forza impersonale del Male ad evocare cose prodigiose grazie alle mute leggi della natura”, recando però risultati inversi, infernali. E a modellare il tutto è l’anima della povera cucitrice isterica, che ha messo a disposizione della nostalgia del tornitore quel fantasma impressionante. “È qui all’opera, anche se in piccolo, la testa della Medusa, il simbolo del potere pietrificante che ci risucchia verso il basso”. Si è accennato al possibile influsso su questo romanzo – ancorché in termini liberi – di Zanoni di Edward Bulwer-Lytton, cui richiamano vari particolari: compreso proprio il richiamo simbolico alla Medusa, evocata in Zanoni nella gorgonica Custode della Soglia la cui comparsa ispira raccapriccio. L’“espressione inanimata, da statua di pietra” e lo “sguardo senza iride come una statua di marmo” evocano proprio una pietrificazione simbolica, come sotto lo sguardo della dea mostruosa.
Ora lo spettro è scomparso, la cucitrice rantola, il tornitore invita il Nostro a tacere che si trattasse di sua figlia e l’uomo coi capelli lunghi invita Cristoforo a ringraziare Pitagora: l’hanno invitato alla seduta per guarirlo dai suoi dubbi, “La Resurrezione dei morti è prossima”. La donna grassa lo invita a rinunciare alle vanità del mondo e ad aderire allo spiritismo che sta dilagando, e l’uomo dai lunghi capelli annuncia che le bestie selvagge si nutriranno di nuovo d’erba – ma come negli occhi del fantasma Cristoforo ha visto la testa di Medusa, così nella voce del tipo ne ode il messaggio: “Risorgeranno le vuote maschere dei defunti, ma non i nostri amati, non i trapassati compianti dagli esseri terrestri” e al posto del Signore lì si intende Satana. La danza di questi revenant non annuncerà dunque l’inizio del Regno millenario, sarà una danza infernale: e la voce lo sfida, desidera forse – smascherando il fenomeno – che il tornitore e gli altri precipitino nella disperazione? Lui non osa dire la verità al vecchio…
Una conoscenza prende ad ardere dentro di me: la terribile frattura che compenetra tutta la natura, non si limita solo alla terra, la lotta tra l’amore e l’odio, il contrasto tra il cielo e l’inferno si prolunga anche nel mondo dei defunti, molto al di là della tomba.
Lo sento: i defunti trovano la pace vera soltanto nei cuori di coloro che sono diventati vivi nello spirito; solo lì per loro c’è pace e solo lì trovano rifugio. Se i cuori degli uomini dormono, anche i morti dormiranno, se i cuori si destano spiritualmente, anche i morti diventeranno vivi e prenderanno parte al mondo fenomenico, pur senza essere sottoposti alla tortura inerente all’esistenza terrestre.
[…] Percepisco la certezza che si stanno preannunciando i tempi in cui la teoria dello spiritismo simile ad un’epidemia di peste inonderà l’umanità. Mi immagino la voragine della disperazione che inghiottirà l’umanità quando, dopo una breve ondata di felicità, vedremo i morti risorgere dalle tombe e mentire, mentire, mentire, in modo più spudorato di ogni altra creatura della terra, perché sono entità demoniache illusorie, sono embrioni, generati da un accoppiamento infernale.
In Meyrink è forse l’attacco più severo e senza appello allo spiritismo al tempo tanto di moda.
Alle mani che posano ancora sul tavolo sono aggrappati – avverte – esseri invisibili. L’uomo coi lunghi capelli sostiene che l’entità manifesta attraverso la cucitrice sia Pitagora ma lei fissa Cristoforo e proclama con voce da uomo: “Tu sai che io non sono Pitagora!”. Gli altri non hanno sentito, le loro orecchie sono sorde, spiega l’entità:
Porgersi le mani mette in moto un processo magico. Ma se si uniscono delle mani che non si sono ancora ridestate a vita spirituale allora è il Regno della Medusa ad affiorare dall’abisso del passato, e il mondo degli inferi rigurgita le larve dei morti; la catena delle mani vive, invece, è il muro difensivo che protegge la rocca della Luce Suprema. I servi della Medusa sono, a loro insaputa, i nostri strumenti; essi credono di distruggere, ma in realtà creano spazio all’avvenire. Simili a vermiciattoli che divorano le carogne, essi rosicchiano il cadavere della visione materialistica del mondo. Se non lo facessero, il fetore generato dalla putrefazione farebbe marcire la terra. Essi nutrono la speranza, mandando tra gli uomini gli spettri dei defunti, che stia per sorgere la loro aurora! Noi siamo ben felici di lasciarli fare.
La fonte del soccorso verrà dal Regno dello Spirito, anche se gli spiritisti non capiscono, rovesciando la vecchia Chiesa “senza sospettare di evocarne una nuova”. Estirpano solo ciò che è destinato a spegnersi: “la dottrina dimenticata del ‘Dissolvimento con il corpo e con la spada’ fungerà da base alla nuova religione e costituirà l’armamentario del pontefice spirituale”. Ma non si preoccupi per il vecchio tornitore, “nessun uomo di buona volontà si incamminerà mai verso l’abisso”.
Cristoforo passa il resto della notte sulla panchina del giardino, felice di sapere che lì riposano solo le spoglie dell’amata ma lei gli è inscindibilmente legata. Tra le nubi sembra emergere la testa della Medusa, come volesse inghiottire il sole. Lui spezza allora un rametto di sambuco e lo configge nel terreno, traendo l’impressione di arricchire il mondo della vita. E intanto il sole, nel cielo, divora la testa della Medusa.
Ma in realtà il tema ritorna. Se il Nostro si sveglia un mattino con le parole di Giovanni Battista sulle labbra – “Egli deve crescere e io invece diminuire” – la deminutio è a colpi di insulti pubblici, vecchi che profetizzano lui diventi un eccentrico come il nonno e gente operosa che biasima lui non lavori. C’era chi lo giudicasse un vampiro, altri un lupo mannaro – per la casuale concomitanza dell’abbattimento di un grosso cane feroce e di una sua ferita accidentale alla testa; un vagabondo l’aveva visto ed era morto con il viso contratto, un accusato di omicidio aveva visto in lui la presunta vittima… tutte persone – si rende conto – che hanno intravisto in lui la testa della Medusa. Chi la vede muore, chi la percepisce ne è raccapricciato.
Nelle pupille del fantasma tu hai scorto allora la caducità e l’elemento funereo che risiedono in ogni uomo ed anche in te. Se gli uomini non vedono la morte è perché essa dimora in loro, essi non sono Cristofori, cioè “portatori di Cristo”, bensì portatori della morte, che li rode da dentro come un tarlo. Soltanto colui che la scoverà, come hai fatto tu, sarà in grado di vederla; per costui essa diverrà “oggetto” e sarà finalmente in grado di fronteggiarla.
In effetti prende a riconoscere ovunque la “terribile Signora del Mondo: la Medusa dal volto splendido, eppure così orrendo”. D’altronde capisce di dover diminuire e che a crescere debba essere il suo progenitore. In qualche modo è vero che lui assorbe quelle vite.
Mentre il padre invecchia e diventa sempre più taciturno, Cristoforo esce sempre meno e alla fine smette persino di andare alla panchina, che in spirito ha trasportato nella propria camera. Ma con il padre comunicano a base di pensieri, tranne rare volte come quando il vecchio aveva parlato della morte. In quel momento, spiega, di alcune persone muore “una parte così grande che si potrebbe dire che non rimane più nulla”: di alcuni sopravvivono solo le opere, ma anche i grandi devastatori hanno ricevuto statue memoriali. Chi muore suicida o per violenza lascia sulla terra le proprie immagini – scambiate dagli spiritisti per fantasmi – e qualcosa che impregna i luoghi registrando la memoria dei fatti. Il padre stesso ammette di trattenere nel proprio corpo “troppi elementi che non è in [suo] potere trasformare alchemicamente”: non fosse per il figlio, sarebbe costretto a tornare in una nuova esistenza terrena, per portare a compimento almeno qualcosa. Per evitare quel ritorno, gli egizi si facevano mummificare, onde impedire che l’eredità delle loro cellule ricadesse di nuovo su di loro. Ma l’ereditarietà delle cellule non è solo un fatto materiale, come mostrano certe somiglianze tra un padrone e il proprio cane: “a ciò che si ama si imprime il marchio del proprio essere”, il che spiega l’intelligenza “umana” degli animali domestici. “Più gli uomini si amano profondamente, più cellule si scambiano”, e tra milioni di anni quella compartecipazione sarà totale. Quando era morto il nonno, il padre di Cristoforo aveva dunque assunto la sua eredità, fino a sentir decomporre quel corpo e liberarne le cellule prigioniere: e altrettanto succederà a Cristoforo, a ricapitolare alchemicamente la loro stirpe. Ma quel dissolvimento con il corpo che nel caso di padre e antenati era stato incompiuto sarà molto più radicale per lui,
perché la regina del regno della putrefazione non ci ha odiati nella stessa misura in cui odia te. Solo colui che la Medusa odia e teme nello stesso tempo riuscirà a farlo. Sarà ella stessa a compiere su costui ciò che vorrebbe impedire. Quando sarà giunta l’ora, si precipiterà su di te per dare alle fiamme ogni tuo atomo, con tale furia infinita che distruggerà in te la sua propria immagine e in questo modo farà quello che l’uomo non riuscirebbe mai a compiere con le proprie forze: uccidere una parte di se stessa e dare a te la vita eterna. Essa si trasformerà così nello scorpione che punge se stesso. Allora sarà giunto il momento della grande trasmutazione: non sarà più la vita a generare la morte, ma la morte genererà la vita!
Il padre esulta a vederlo chiamato a essere la cima del loro albero… È diventato “freddo” fin da giovane, mentre loro sono rimasti “caldi” malgrado l’età: la radice della morte è l’istinto sessuale, che gli asceti si sforzano di estirpare fuggendo la donna: eppure solo la donna può recare aiuto. “L’elemento femminile, che qui sulla terra è separato da quello maschile, deve entrare in quest’ultimo e fondersi in uno; solo allora si placheranno tutti gli struggimenti della carne”. Congiunti i poli, si compiranno le nozze e si instaurerà la freddezza magica che spezza le leggi della terra e fa sgorgare “tutto ciò che è in grado di creare il potere dello spirito”.
Giunge il giorno dell’Assunzione di Maria, trentaduesimo anniversario del ritrovamento di Cristoforo sulla porta della chiesa: di notte il padre lo chiama e lui capisce che è alla fine. il vecchio ha indossato un mantello con una spada: comunica che la sua missione è terminata, vuole mostrargli un segno e intreccia le dita alle sue. Così, spiega, sono congiunti i membri della catena invisibile: se vi resterà congiunto, nulla potrà opporgli resistenza, “perché fin nei più remoti recessi dell’universo ti aiuteranno le forze del nostro Ordine”, ma stia in guardia “da ogni essere che ti verrà incontro nel Regno della Magia”. Le forze delle tenebre possono assumere qualunque forma, ma se provassero a inserirsi nella loro catena “si disintegrerebbero in atomi”: alle apparizioni lui richieda dunque sempre quella certa presa con le mani.
Poi il vecchio muore: e da sue istruzioni il figlio dovrà farlo seppellire accanto alla moglie nelle vesti rituali e con la spada. È di ematite, orientale e molto antica, reca sull’impugnatura un volto dai tratti mongolici, e dall’arma sembrano fluire correnti di vita: forse – come riporta la leggenda – è una di quelle spade che un tempo erano state uomini. Il cappellano, amico fedele, dovrà dire una messa per la propria pace.
Passa il tempo, la gente si è dimenticata dell’eremita Cristoforo che vive chiuso in casa. In qualche modo deve essersi procurato il necessario per vivere, ma la sua morte interiore ha resettato tutto. Certo, scendendo in strada si stupisce dei cambiamenti intervenuti: nel giardino la panchina non c’è più, sostituita da una statua della Madonna. Anche il cappellano è cambiato, stenta a riconoscerlo: viene a trovarlo, lieto di ritrovare in lui tanto del padre, e gli racconta di quanto fosse rimasto colpito all’affermazione di Cristoforo bambino d’essere stato confessato – nientemeno! – dal Domenicano Bianco. Ma ora crede di aver capito: i miracoli in città si stanno moltiplicando. C’è chi ha visto la misteriosa ombra bianca della chiesa e lui stesso ha assistito al manifestarsi del Domenicano Bianco, “quanto di più sacro possa immaginare”, anche se ignora possa trattarsi di un vivo con poteri particolari o invece di un’apparizione spettrale. Ma l’ha visto nelle vesti di un papa del futuro “che si chiamerà Flos Florum”: nella profezia di Malachia, anche rispetto a Meyrink si tratta di un pontefice futuro, visto che nel tempo si è abbinato quel motto a Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978: la definizione Flos Florum verrebbe attribuita al giglio, e nello stemma di Paolo VI ne compaiono appunto tre). Nel frattempo gli avevano detto che il tornitore era impazzito per la scomparsa della figlia, il cappellano l’ha visitato per consolarlo ma è stato il tornitore a consolare lui – evidentemente è un essere cui Dio ha concesso la grazia. E ora compie miracoli, al punto che la cittadina sta diventando luogo di pellegrinaggi. Al momento il tornitore sta attraversando il contado, guarendo i malati con l’imposizione delle mani, ma l’indomani, all’Assunzione, sarà di ritorno. Sì, il cappellano sa che il vecchio ha praticato per qualche tempo lo spiritismo ma ora se n’è allontanato… d’altronde si chiede se sia meglio quello o il materialismo dilagante. Comunque pare che il tornitore abbia anche risuscitato un morto, facendo fermare il relativo carro funebre e ordinando al morto di rialzarsi: peccato sia impossibile fargli spiegare qualcosa, è sprofondato in uno stato d’estasi via via sempre più profondo. In quell’occasione aveva però detto qualcosa: la Madonna gli sarebbe apparsa davanti alla panchina, dove cresce il sambuco piantato da Cristoforo, e sorrideva beata come la sua Ofelia. Ma in quel caso, grazie alla Vergine, sapeva che si trattava d’un semplice morto apparente – visti che lui stesso era stato sepolto vivo, e il cappellano non coglie il nesso. Peraltro l’apparente risuscitato, che era uno storpio noto in città, era morto subito dopo travolto da un cavallo imbizzarritosi nella confusione.
Comunque il tornitore aveva compiuto molte altre prodigiose guarigioni e l’albero di sambuco era diventato il centro di ogni genere di miracoli. Compreso il ravvedimento di grandi numeri di miscredenti… Cristoforo vede nella purezza di cuore del tornitore il correttivo ai prodigi della Medusa e nella trasformazione di Ofelia nella Madonna lo “stesso processo magico in opera durante la seduta spiritica”. Ma quando chiede al cappellano se il diavolo possa assumere l’aspetto di una figura sacra, quello si ribella: e a quel punto Cristoforo capisce che occorre l’avvento di una grande Guida spirituale perché la verità non uccida coloro che la ascoltano.
L’indomani viene destato da uno scampanio vivace, con inni mariani; vede comparire il vecchio tornitore, ma avverte anche l’ammonimento interiore di Ofelia a stare in guardia. Ci sono anche il losco Paride e la signora Aglaja intenti a lucrare tra i devoti. Intanto il tornitore è occupato a parlare con l’immagine mariana che pare rispondergli e china addirittura il capo. Cristoforo avverte però l’esortazione di Ofelia e anche la voce di Medusa che, circonfusa da antichi sentimenti di devozione in lui presenti, gli chiede di prostrarsi e adorarla… Per non farlo si lascia allora scivolare in una resistenza passiva, perdendo coscienza e ritrovandosi nella nicchia del portone. Ma intanto la folla dei devoti – che hanno strappato di dosso al vecchio brandelli di vesti per farne reliquie – si dirige verso la chiesa. Svuotatosi il vicolo, il Nostro scende e raggiunge il luogo di sepoltura dell’amata: le chiede di poter rivedere il suo volto, e per un attimo una luce inghiotte la statua della Madonna. Per un istante vi vede il volto di Ofelia sorridente, poi torna a riapparire la statua. “Avevo gettato uno sguardo nell’eterno presente, che per i mortali è solo una vuota, incomprensibile parola”.
Tali sviluppi, preparati dalle frasi a inizio romanzo su Lourdes e l’inconscio – “Ciò non significa che la Madre di Dio non sia altro che l’inconscio, no, l’inconscio è la ‘Madre’ di ‘Dio’” – appaiono estremamente interessanti in un periodo in cui di apparizioni mariane si parla parecchio: limitandosi alle principali, Roma 1842, La Salette (Francia) 1846, Lourdes (Francia) 1858, Champion (Usa) 1859, Pontmain (Francia) 1871, Gietrzwald (Polonia) 1877, Knock (Irlanda) 1879, Fatima (Portogallo) 1917. Tanto più in rapporto a suggestioni escatologiche come quelle sulla profezia di Malachia, a mostrare che Meyrink non costruisce il suo “sistema” – con tutte le virgolette del caso, l’etichetta è discutibile e forse lui stesso non sarebbe d’accordo sull’utilizzarla – solo con dottrine esoteriche minoritarie delle tre grandi religioni e con importazioni di dottrine orientali, ma accede a un immaginario cristiano (e cattolico) diffuso. A lui interessa un nocciolo di ricerca interiore liberissima, le forme sono come scale da gettar via una volta approdati al giusto piano del discorso: e ciò vale anche per tutti gli arzigogoli esoterici di questo specifico romanzo. Costruito con materiali molto vari, dalle posture delle mani nelle incisioni su temi sacri tedesche alle notizie sulle apparizioni mariane…
Cristoforo prende dunque visione dell’eredità di famiglia, ispezionando la casa e i suoi tesori coperti di polvere, ciascuno però con la sua storia, amori, sofferenze da raccontare – che lui è in grado di recuperare per il lascito nel suo sangue. Ma più scende ai piani inferiori, più le impressioni che gli derivano risultano “buie, severe, disadorne” e intessute di speranze deluse. Nella cantina sbarrata, in cui era vissuto il progenitore Christophorus Jöcher il lampionaio, non riesce neppure a entrare.
Tornato alle sue stanze, gli pare di essersi caricato di influssi magnetici come per un liberare di fantasmi del passato. I desideri, i patemi e le mete irraggiunte degli antenati affluiscono in lui, ma quando se ne libera restano risucchiati dagli oggetti della stanza: perà sente anche lui il desiderio di agire, mosso non dall’egoismo degli antenati ma dall’urgenza della lotta contro la Medusa. Poi è colto dalla stanchezza, precipita nel sonno e in sogno si vede intento a cercare di forzare la porta della cantina. Quando riesce ne sortisce un vecchio, e al risveglio se lo trova in effetti davanti – con il capo stranamente coperto da un berretto di pelliccia. Spiega di aver bussato, nessuno rispondeva ed è entrato: è stato “inviato dall’Ordine”, di cui il padre faceva parte – e ora il figlio avrebbe titolo per accedervi, se vuole. Cristoforo è ben disposto ma chiede qualche informazione di più, suo padre gli ha solo accennato qualcosa. Il vecchio – che ha barba rada e robuste mani da manovale – spiega:
Allora, che tu sappia: da tempi immemorabili esiste sulla terra un gruppo di uomini che guida il destino dell’umanità. Senza di loro da molto regnerebbe il caos. Tutti i grandi condottieri, se non erano iniziati della Comunità, furono ciechi strumenti nelle sue mani. Il nostro fine è eliminare le differenze fra poveri e ricchi, tra servi e padroni, tra sapienti e ignoranti, tra oppressori e oppressi, e trasformare questa valle di lacrime in un paradiso, una terra in cui la parola “dolore” sia sconosciuta. Il fardello sotto il quale geme l’umanità è la croce della personalità. L’anima universale si è frantumata in innumerevoli esseri individuali e questo stato di cose ha generato il caos. I nostri tentativi sono volti a riportare l’unità al posto della molteplicità.
Gli spiriti più nobili si sono posti al nostro servizio e l’ora del raccolto è alle porte. Ognuno dovrà diventare il proprio sacerdote. La gente è matura per scuotersi di dosso il giogo della Chiesa. La bellezza è l’unico dio, al quale l’umanità d’ora in poi rivolgerà le sue preghiere. Ma essa ha bisogno ancora di uomini vigorosi che le indichino la via per salire lassù in alto. Per questo noi padri dell’Ordine abbiamo emanato influssi mentali sul mondo che come dei falò hanno incendiato i cervelli per dare alle fiamme la dottrina individualista! La guerra di tutti per tutti! Trasformare la giungla selvaggia in un giardino, questo è il compito che ci siamo posti! Non senti come tutto in te incita all’azione? Perché continui a rimanere qui e a sognare? Forza, salva i tuoi fratelli!
Il passo è interessante. La presenza di fantasiosi gruppi di eletti che muoverebbero pedine nei retroscena della storia è del resto un altro tema caro a certa narrativa esoterica, teosofica o legata ad altre tradizioni: la grande differenza è tra chi li vede come persone in carne e ossa e chi li proietta su un altro piano dell’essere – pur con tutte le ambiguità e zone grigie del concetto.
Ovviamente rispetto al Volto verde la situazione è diversa, ma alcune consonanze sembrano presenti, in forma forse più radicale e simbolicamente schematica. L’amore e la vittoria sulla mortalità, il dominio sull’angoscia della morte, una dimensione apocalittica…
Preso dall’entusiasmo, il Nostro si informa sulle condizioni per l’ammissione nell’Ordine, sentendosi rispondere: “Cieca ubbidienza! Rinuncia ad una volontà propria! Agisci per il prossimo e non per te stesso!”, tutti passi necessari per condurre “dal groviglio selvaggio della molteplicità alla Terra Promessa dell’unità”. Sul resto non si preoccupi, pensieri e ordini li trasmetteranno loro: e alla disponibilità di Cristoforo, lo fa giurare. Si rende anzi conto in un barlume di agnizione che il volto del vecchio era raffigurato sul pomo di ematite della spada del padre e il suo pollice deforme era lo stesso di un vagabondo morto sulla piazza del mercato. Chiede dunque di dargli il segno, e porge al vecchio la mano con la destra insegnatagli dal padre. Ma si verifica una metamorfosi, il vecchio non è più un essere vivente ma un ammasso di membra divise: Cristoforo si copre gli occhi e la larva è sparita, lasciando solo un anello fluttuante contenente in forma vaga e coi contorni trasparenti il volto del vecchio… Ma a un tratto dalle labbra gli giunge la voce del progenitore, che lo avvisa della falsità di quell’immagine del Maestro, costruita dai Lemuri dell’abisso per sviarlo verso azioni insensate e miraggi fosforescenti come la “rinuncia a se stesso”. Vogliono distruggere “il sommo bene che un essere può conquistare: la consapevolezza eterna in quanto individuo” facendo leva su presunzione e avidità di potere, per cui “l’uomo si illude di ardere di un amore altruistico per il prossimo” finendo con l’essere una guida cieca. Il cuore dell’uomo non può racchiudere l’amore se non donato dall’alto, e ripetono il precetto di amarsi gli uni gli altri fino a vanificarlo. Così hanno profanato tutte le dottrine giunte dall’Oriente, e giudicano egoismo l’“unica azione che valga la pena di compiere, il lavoro su se stessi”. Intruppano la gente illudendola con il miraggio di diventare guide e a quel punto illuminati, e “sanno che la vita sulla terra è una fase di transizione” per cui illudono di poterla trasformare in Paradiso. “Essi hanno messo in libertà le ombre dell’Ade e infondono loro vita con una fluida forza demoniaca, affinché gli uomini credano che sia giunta l’ora della resurrezione dei morti”: e quella larva con le sembianze del Maestro la sguinzagliano tra chiaroveggenti, spiritisti e praticanti di disegni automatici. Si presenta come Giovanni Re, per far loro equivocare con l’Evangelista: tutto ciò per ingannare chi è maturo per cercare nella Verità e seminano dubbi dove sarebbe richiesta fede incrollabile. Non è chiarissimo quale filone esoterico qui Meyrink sta stigmatizzando, ma Cristoforo ha distrutto lo spettro esigendo la presa trasmessagli dal padre…
Risvegliato dalle parole del progenitore, il Nostro ha la sensazione di “precipitare nello spazio sconfinato”: poi si riprende, con la sensazione che una corrente magnetica l’abbia attraversato, e di sentirsi mutato, come gli si fosse dischiuso un nuovo senso. Poi sente di avere qualcosa in mano, una spada gli pende dal fianco, tenuta da una catena. Il senso interiore del tatto – il senso legato alle mani della presa iniziatica e del peculiare modo di pregare – sembra essersi destato in lui.
L’altra realtà confina direttamente con la nostra pelle, eppure non ce ne accorgiamo. La fantasia s’arresta, proprio nel punto in cui potrebbe creare un nuovo dominio!
L’anelito dell’uomo a forgiarsi divinità e la paura di essere solo con se stesso e diventare creatore del proprio mondo è ciò che gli impedisce di dispiegare le forze magiche che giacciono assopite in lui. […]
“Basta che tu stenda la mano e toccherai il volto della tua amata”, mi seduce ardentemente un pensiero, ma rabbrividisco all’idea che realtà e fantasia siano la stessa cosa. La verità ultima mi appare con un’orrenda smorfia digrignante!
La consapevoleza che da nessuna parte, né qui né là, ci sia realtà, e che esista solo l’immaginazione, mi sembra ancora più terribile della possibilità di diventare vittima di un contatto demoniaco o venir sospinto nel mare sconfinato della follia e delle allucinazioni!
Ma preferirebbe restare un pellegrino e vedere il padre e ricongiungersi con l’amata, preferirebbe cioè l’infinito da creatura al sole dell’eternità da dio coronato di forza creatrice… e impugnando la spada diviene consapevole del volto sul pomo.
“Quando scoccherà l’ora del grande incontro voglio essere a cielo aperto!”, per cui si arrampica sul tetto piatto della casa, sopra la città immerso nella notte. Il suo passato pare chiedergli di stringerlo a sé, di non lasciarlo perire nell’oblio.
All’orizzonte un baluginare di lampi, un occhio gigantesco che si spalanca, un ululato lontano: “Hai ucciso tutti i miei servi, ora tocca a me venire”. È la signora delle tenebre, Medusa. E una folata di vento gli annuncia la camicia di Nesso: lui all’inizio non capisce, mentre il fiume sottostante lo invita s nascondersi e gli alberi frusciano terrorizzati: “La sposa del vento dalle mani strangolatrici! I centauri della Medusa, la caccia selvaggia! Abbassate le teste, il cavaliere con la falce sta arrivando!” – si noti l’immaginario simbolista da quadro di Von Stuck (1863-1928, nato e morto per inciso nella stessa Baviera dove vive Meyrink). Ma nel suo cuore la voce di Ofelia dice che lo attende…
Echeggiano colpi, brillano luci, qualcosa precipita: sono sfere, i bolidi – probabilmente intende quelle meteore capaci di emettere suono, di avere luci di colore vario (al contrario della quasi totalità delle meteore comuni, dove è bianco), forse mixate qui all’immaginario sui fulmini globulari. Ma chiaramente il fenomeno naturale ha in questo caso valenza simbolica:
“I bolidi!” Quando venni a sapere della loro esistenza nei libri che lessi da ragazzo, credetti che la descrizione dei loro misteriosi comportamenti fosse una favola, invece, sono proprio reali! Esseri ciechi, carichi di energia elettrica, bombe dell’abisso cosmico, teste di demoni senza occhi, bocca, orecchie e naso, emersi dalle voragini della terra e dell’aria, vortici roteanti attorno al punto centrale dell’odio, il quale privo degli organi di senso, semicosciente, cerca a tentoni le vittime della sua furia distruttiva.
Se questi esseri possedessero una figura umana, di quale terribile forza sarebbero dotati? La mia tacita domanda li ha attirati, la sfera incandescente che all’improvviso abbandona la sua traiettoria si sta forse dirigendo verso di me? Ma proprio quando ha quasi raggiunto la ringhiera, fa marcia indietro, scivola sopra un muro, s’infila in una finestra aperta ed esce da un’altra, assume una forma allungata, un raggio infuocato scava un cratere nella sabbia con un tale fracasso di suoni che la casa trema e il pulviscolo sale fino a me.
La sua luce accecante come un sole bianco mi brucia gli occhi; la mia figura per un istante è illuminata in modo così vivido che il riflesso mi riempie le palpebre e si scava nella mia coscienza.
Domanda a Medusa se lo veda, lei risponde di sì, “maledetto!”. Una sfera rossa si solleva, diventando sempre più grande, lui stende le braccia e mani invisibili afferrano la sua con la presa dell’Ordine – la catena vivente si perde all’infinito… e tutto ciò che di corruttibile resta in lui viene arso. Rimane eretto a rosseggiare di fiamme con la spada al fianco: “Sono dissolto, per sempre, con il corpo e con la spada”. Perché in fondo, come aveva spiegato, il segreto tra i segreti è la trasmutazione alchemica della forma corporea, attribuendo al corpo la più vasta latitudine fisica, psichica e intellettuale. Ma solo chi è odiato dalla Medusa può raggiungere la meta finale, perché riduce al suo stato originale l’essenza dell’iniziato permettendogli di rinascere.
(13-continua)