di Gioacchino Toni

Andreas Reckwitz, La società delle singolarità. La trasformazione strutturale della modernità, Prefazione di Michele Sorice, Lorenzo Viviani e Andrea Volterrani, Traduzione di Massimo De Pascale, Meltemi, Milano, 2025, pp. 540, € 25.00

A distanza di alcuni anni dall’uscita in lingua tedesca è ora disponibile in  italiano il volume La società delle singolarità (Meltemi, 2025) di Andreas Reckwitz, tradotto da Massimo De Pascale, impreziosito da una corposa Prefazione stesa da Michele Sorice, Lorenzo Viviani e Andrea Volterrani, a cui si farà ampio riferimento di seguito, che introduce al quadro teorico entro cui si muove il sociologo tedesco.

Il volume indaga il passaggio dalla logica del generale, propria della società industriale, a quella delle singolarità, caratterizzante la società postindustriale. L’affannosa ricerca della distinzione e dell’unicità che si manifestano nel lavoro, nel consumo, nelle relazioni sociali e nella costruzione dell’identità da parte degli individui della tarda modernità ha, sostiene Reckwitz, soppiantato la valorizzazione della standardizzazione, della conformità a modelli generali di classe, professione e consumo proprie della modernità industriale.

Il consumo e le esperienze culturali si sono andati sempre più trasformando da atti di adesione a standard collettivi a pratiche di auto-espressione, di definizione di un’identità personale e distintiva, così come le esperienze di “lavoro creativo”, fattesi sempre più precarie – quando remunerate e non direttamente estorte dalle piattaforme  con cui ci si relaziona online –, e spalmante ben oltre un canonico orario di lavoro, sono caratterizzate da una forte individualizzazione e da un’incessante richiesta di aggiornamento al fine di mantenersi competitivi o, almeno, partecipi all’universo digitale.

La società delle singolarità prospera sulla fluidità delle identità contemporanee e sul processo di estetizzazione della vita quotidiana che si palesa nella costruzione identitaria sulle piattaforme e sui social digitali. Questi ultimi, inoltre, si fanno dispensatori di un’informazione sempre più compartimentata per bolle omogenee che, attraverso la selezione algoritmica, tende a farsi sempre più individuale.

Il diffondersi della logica della singolarità implica trasformazioni politiche e sociali, visto che questa, sostiene Reckwitz, determina una nuova stratificazione sociale basata certamente sul capitale economico, ma anche su quello culturale e simbolico, imponendo nuove forme di disuguaglianza e vulnerabilità derivate dalle disponibilità economiche e culturali necessarie per perseguire l’imperativo di uno stile di vita singolare.

Insomma, secondo il sociologo tedesco, la stratificazione sociale non deriverebbe più soltanto dalla collocazione nella struttura economica e nel mercato del lavoro, ma anche, e soprattutto, dalla polarizzazione socio-culturale che emerge dai processi di singolarizzazione.

Secondo Reckwitz, la società contemporanea – in cui la competizione distintiva non manca di generare ansia, insicurezza e timore di marginalizzazione negli individui costretti a confrontarsi attraverso pratiche di auto-espressione e innovazione –, è caratterizzata da una peculiare stratificazione. Oltre a una ristretta upper class, espressione del mondo della finanza e dei settori ad alta redditività, si ha: una nuova classe media, dotata di una certa cultura e di una spiccata attenzione alla distinzione estetica; una classe tradizionale, la vecchia classe media non particolarmente acculturata – un tempo partecipe delle promesse di progresso della modernità e che ora sperimenta la percezione di crescente insicurezza, marginalità, alienazione rispetto a un sistema che promuove le forme della singolarizzazione e dell’ipercultura –, più legata a modelli di consumo e stili di vita standardizzati; una classe inferiore, dotata di basso capitale culturale, in balia della precarietà e della disoccupazione, dotata di scarso accesso alle risorse necessarie per la competizione simbolica richiesta dalla società delle singolarità.

Nel momento in cui la vecchia classe media percepisce di essere stata messa all’angolo, non potendo più aspirare ad uno sviluppo verso l’alto ma, viceversa, di essere destinata a scivolare sempre più verso il basso, matura il suo risentimento tanto nei confronti di chi, sopra di essa, riesce a sfruttare le opportunità della società delle singolarità, quanto nei confronti di coloro che, in termini di opportunità, si pongono sotto di essa, a cui guarda con disprezza anche per il timore di finire per farne presto parte.

La riconfigurazione della struttura di classe tardo moderna dettata, come detto, dalle diseguaglianze economiche, educative, culturali e degli stili di vita, secondo Reckwitz ha eroso il sostegno nei confronti degli attori tradizionali della politica. «In chiave sociologica», come viene sintetizzato nella Prefazione, «queste sono le radici sociali e culturali di fenomeni solitamente identificati con le etichette del nuovo cleavage, che contrappone sovranisti e cosmopoliti, “vincitori” e “perdenti” della globalizzazione, fino alle declinazioni socio-politologiche di nuove destre tradizionaliste, autoritarie e nazionaliste e nuove sinistre ecologiste, alternative e libertarie» (pp. 28-29).

È tra gli anni Sessanta ed i primi decenni del nuovo millennio, scrivono Sorice, Viviani e Volterrani nella Prefazione al volume, che, secondo Reckwitz, la logica della singolarizzazione diviene un principio costitutivo dell’intera società.

A farne le spese è la linea di separazione propria delle forme dell’individualizzazione moderna. Laddove la sfera privata era il luogo dell’individualità, riconosciuta e protetta dall’invasione dei condizionamenti tradizionali attraverso l’istituzionalizzazione dei diritti individuali, e le istituzioni pubbliche (economiche, politiche, scientifiche) erano il luogo della generalizzazione e dell’“uguaglianza” a sostegno delle interazioni sociali, nella tarda modernità la singolarizzazione opera all’interno delle forme stesse del legame sociale. Il lavoro, le relazioni affettive, la vita quotidiana, la politica, assumono la centralità del singolo nel suo saper cogliere le opportunità di raggiungere, e dimostrare, il successo personale, prima, oltre e contro la dimensione collettiva. Si tratta del fenomeno dell’ipercultura, ossia della valorizzazione radicalizzata della densità di significato, esperienza, successo, associata a ogni ambito della vita quotidiana. L’ipercultura rappresenta per Reckwitz lo specifico terreno che ridisegna la nuova struttura delle classi sociali nella società tardo-moderna, e la loro progressiva nuova contrapposizione. Nell’ambito dell’ipercultura, che innalza continuamente il vessillo dell’affermazione della propria unicità, l’individuo deve – non può – saper cogliere le opportunità che si creano a partire dall’insieme delle possibilità messe a disposizione dalla cultura alta e bassa, dal locale e globale, in una de-gerarchizzazione di valore fra le diverse sfere e, di contro, in una spinta verso la continua combinazione di esperienze diverse che sostanziano il cosmopolitismo contemporaneo (p. 24).

Secondo il sociologo, ad acquisire sempre maggiore importanza nella società tardo moderna è l’accesso alle opportunità culturali e simboliche legate alla cultura dell’affermazione di sé e agli stili di vita singolarizzati. Un cambio di paradigma, come viene sottolineato nella Prefazione, che «ha il suo momento simbolico nel 1968, con la rivoluzione dell’autenticità, l’accresciuta rilevanza della qualità della vita e delle relazioni sociali, la centralità dell’emancipazione dai residui vincoli che limitano l’autonomia personale, e il perseguimento della qualità della democrazia tramite i processi di cittadinanza politica attiva» (p. 27).

[Per Reckwitz] questa trasformazione dismette il carattere costitutivo della precedente modernità organizzata. In particolare, a essere rivisitata è la promessa del progresso come fonte di benessere per tutti. Ecco allora che la singolarizzazione dispiega la sua ambivalenza e alcuni – solo apparenti – paradossi. La singolarizzazione meritocratica non è accessibile a tutti, e la modernizzazione avanzata sembra riproporre il tema dell’anomia e del risentimento come effetto della mancata integrazione sociale e della politica di parti crescenti della società che si confrontano con la tensione fra aspettative sociali e privazione degli strumenti per raggiungerle (p. 27).

Nella tarda modernità, spetta, secondo Reckwitz, soprattutto agli ecosistemi digitali, in particolare alle piattaforme online, in cui si struttura l’economia dell’attenzione e della visibilità, agire come architetture della singolarizzazione. Un universo digitale che, sottolinea il sociologo, non deve essere pensato come luogo a sé rispetto alla materialità, stante il fatto che non manca di incidere su questa.

Insieme alla fine delle illusioni neoliberale, cosmopolita e tecnologica, la tarda modernità è caratterizzata anche dai fenomeni di disintegrazione sociale, sofferenza psicologica e di sempre più scarsa partecipazione democratica, inoltre, sostiene il sociologo tedesco, il nuovo contesto risulta permeato dalla dialettica fra iper-complessificazione e de-complessificazione da cui traggono nutrimento polarizzazioni, estremismi e fondamentalismi di ogni tipo.

Per comprendere le implicazioni politiche della teoria della società tardo-moderna di Reckwitz [scrivono Sorice, Viviani e Volterrani] occorre esplorare un ambito centrale dei processi socio-politici della tarda modernità: la singolarizzazione dei collettivi e l’emergere dell’essenzialismo culturale. A fianco dell’ipercultura prende avvio, infatti, un altro processo, di chiara origine post-romantica, in cui la culturalizzazione non passa per il singolo ma per un’ulteriore dimensione di pratica del fare singolarità: i collettivi. In questo passaggio emergono i richiami alla teoria di Charles Taylor [Radici dell’io, 1993] sulle forme del comunitarismo, e al tempo stesso le ricerche di Benedict Anderson [Comunità immaginate, 1996] sulle comunità immaginate. La singolarizzazione non coinvolge soltanto individui, oggetti, spazi nella loro unicità, ma diventa una modalità propria anche delle forme neo-comunitarie di aggregazione sociale. I collettivi singolarizzati sono neo-comunità che si aggregano sulla base di una specifica unicità storica, geografica o etica, generando rappresentazioni collettive di comunità immaginate. La dimensione immaginata non equivale a quella “fittizia”, nella produzione di effetti sociali, dato che questo tipo di collettivi attira i “simili a sé” e respinge gli “altri da sé”, in una logica che mette in discussione la domanda di ricerca centrale della sociologia, ossia la capacità di integrazione in contesti plurali di tipo societario. Se nella modernità classica i gruppi sociali venivano perimetrati e istituzionalizzati politicizzando particolari basi sociali pre-politiche, nei collettivi singolarizzati la politica dell’identità è intesa come affermazione antagonistica che opera sul doppio binario della valorizzazione e della de-valorizzazione. Una tale natura differenziale non sottende solo la rilevanza del particolare, ma afferma l’unicità non diluibile nella relazione con gli altri. Ne consegue che il collettivo singolarizzato si distingue per una complessità e una densità interne che coinvolgono la dimensione etica, estetica e progettuale. La natura bonding e non bridging di tali gruppi pone una sfida costitutiva alla democrazia intesa come processo di integrazione dei conflitti. La logica amico-nemico, propria della categorizzazione del politico in Carl Schmitt, riemerge nelle interpretazioni politiche che si basano sulla natura dei collettivi singolarizzati. Non è un caso che, nell’analisi sulla ricostruzione delle identità politiche, questa polarizzazione radicalizzata si esprima in termini di antagonismo come modalità del conflitto politico propria dei neo-populismi [Laclau, La ragione popuilista, 2008; Mouffe, Sul politico, 2007]. In-group e out-group, interno ed esterno, amico e nemico sono le modalità espressive dei conflitti che rientrano nella culturalizzazione dei collettivi singolarizzati [Reckwitz, The Society of Singularities, 2019]. Ciò che sta fuori dal gruppo non solo non ha valore, ma assume un valore negativo e incarna il ruolo di avversario da cui difendersi e contro cui opporsi (pp. 29-30).

Secondo Reckwitz, a partire dagli anni Sessanta, mentre da una parte «i valori di autorealizzazione e valorizzazione del sé del liberalismo aperturista hanno favorito l’integrazione e il riconoscimento di gruppi precedentemente discriminati […], e hanno innervato la singolarizzazione degli individui della nuova classe media istruita e dell’upper class», dall’altra, «hanno attivato modalità reattive, difensive e rivendicative da parte di coloro, specie la vecchia classe media, che si sono trovati esclusi dalla capacità di accesso alla valorizzazione dell’unicità offerta dai dispositivi della razionalità del generale che continua a operare come infrastruttura della società delle singolarità» (p. 31). Non si tratta, per Reckwitz, si un atteggiamento anti-moderno, di messa in discussione delle ragioni delle diseguaglianze, ma, piuttosto, di un tentativo di entrare individualmente nel nuovo sistema.

A fronte del venir meno delle ideologie che avevano cementato il perimetro di appartenenza dei “popoli” dei diversi partiti e movimenti politici in conflitto, si avvia una “ri-semantizzazione” del “popolo” come comunità immaginata unitaria, moralmente superiore, coesa, e al tempo stesso rappresentata come “spogliata” della sua sovranità dagli attori mainstream della rappresentanza. Neo-comunità in cui il collettivo ha una sua unicità e una sua densità di appartenenza, con la sua storia particolare, le sue credenze e le sue origini mitizzate. In breve, nell’ipercultura il luogo della singolarità è la persona individuale, mentre nell’essenzialismo culturale è la comunità nel suo insieme a farsi singolarizzata. In questo senso [scrivono Sorice, Viviani e Volterrani] Reckwitz ci guida in una delle contrapposizioni determinanti della società occidentale attuale, socialmente e culturalmente fondata e che vede farsi fronte proprio l’ipercultura e l’essenzialismo culturale (p. 32).