di Armando Lancellotti

Gigi Speroni, Mussolini deve morire, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2025, pp. 320, € 20,00

La casa editrice Mimesis ha recentemente rieditato il romanzo/saggio di Gigi Speroni Mussolini deve morire, uscito con altro titolo (99 passi dalla morte) nel 1994 e poi nuovamente nel 2004, con l’attuale e definitiva titolazione. Speroni, scomparso nel 2010, è stato scrittore, saggista, giornalista, sia della carta stampata sia radiotelevisivo – ha lavorato tra gli altri per il Corriere della Sera, per la RAI e per la Radio-televisione della Svizzera italiana – e autore di numerosi libri di diverso genere (biografia, saggio, romanzo, ecc.), principalmente di contenuto storico.

Romanzo/saggio, si diceva, perché quella scelta dall’autore è una scrittura “ibrida”, che per metà ricostruisce con attenzione saggistica e rigore storiografico e per metà narra e mette in scena il romanzo delle vicende accadute a metà dicembre 1944 a Milano, de facto centro del potere della Repubblica sociale italiana, nonostante la collocazione sulle rive del Garda di uffici, ministeri, quartieri generali e abitazioni di gerarchi, italiani e tedeschi e dello stesso Mussolini. Il libro si articola in ben 27 brevi capitoli che, escluso l’ultimo (Epilogo), riportano come titolo la data precisa e quasi sempre anche il luogo e l’ora esatti in cui sono accadute le vicende considerate, come richiede una ricostruzione storiografica analitica e rigorosa, ma gli attori di quei fatti storici sono i personaggi di una trama narrativa che si sviluppa in modo sempre più coinvolgente, mano a mano che prendono forma i fatti che il libro di Speroni presenta: il tentativo dei GAP milanesi di uccidere il duce durante la tre giorni – da sabato 16 a lunedì 18 dicembre ’44 – che Mussolini decide di trascorrere a Milano nel vano e disperato tentativo di rianimare un regime ormai fatiscente e un’ideologia che si avvicina all’ineluttabile sconfitta storica; un grottesco “canto del cigno” del fascismo che Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, comandante dei GAP milanesi, intende sfruttare per uccidere il tiranno.

Soprattutto nei brevi capitoli della prima parte, concatenati in modo regolarmente alternato, si avvicendano luoghi e protagonisti diversi, che poi convergono verso un unico evento conclusivo, nella seconda parte del libro. Da un lato vi è Milano e dall’altra le ville di Gargnano o Gardone Riviera requisite dal governo della RSI; da una parte Mussolini, i suoi gerarchi, i mal sopportati protettori tedeschi, oppure i militi delle organizzazioni della Repubblica sociale e tutto il variegato mondo, più o meno consapevole che la fine è imminente, che ancora gravita attorno al duce e al fascismo, e dall’altro i partigiani dei GAP milanesi, i loro rifugi e luoghi di incontro, in una città colpita dalla guerra, dalla crisi economica, dalle brutali rappresaglie fasciste, che immancabilmente colpiscono ogni iniziativa partigiana.

Dal capitolo diciassettesimo in poi la scena si sposta definitivamente nel capoluogo lombardo e i militi repubblichini e tedeschi, i gerarchi, i ministri fascisti e i milanesi ancora infatuati della persona del duce si trovano faccia a faccia con gli antifascisti e i gappisti, i primi intenti a pianificare la visita di Mussolini a Milano, i suoi spostamenti e la sua sicurezza, i secondi ad organizzare nei minimi dettagli un attentato alla sua vita.

L’accuratezza dell’analisi e della ricostruzione storica porta Speroni a considerare le numerosissime figure del regime di Salò coinvolte nelle vicende del dicembre 1944, alcune note a tutti, come Alessandro Pavolini, segretario del Partito fascista repubblicano, Guido Buffarini Guidi, ministro dell’Interno della Repubblica sociale, Karl Wolff, comandante supremo delle SS in Italia, Rudolf Rahn, ambasciatore tedesco presso la RSI e principale interlocutore di Mussolini per conto di Hitler, altre meno conosciute come, per esempio, padre Eusebio Sigfrido Zappaterreni, sacerdote fanaticamente fascista e cappellano delle Brigate Nere. Le informazioni e le considerazioni puntuali che Speroni fornisce riguardo agli eventi accaduti e ai loro protagonisti sono di tipo saggistico, ma opportunamente inserite nello sviluppo narrativo e descrittivo della storia raccontata alla maniera di un romanzo. Lo stesso dicasi delle poche note a piè pagina – inusuali per un romanzo, troppo scarne per un saggio – che aggiungono informazioni senza appesantire il procedere del racconto.

La puntuale ricostruzione delle giornate da martedì 12 a lunedì 18 dicembre tratteggia in modo efficace l’atmosfera plumbea in cui vivono i milanesi: il freddo dell’ultimo inverno di guerra, la fame a cui può sfuggire solo chi riesce a comprare al mercato nero, il coprifuoco, la paura dei bombardamenti alleati così come dei rastrellamenti tedeschi e ancora di più delle tante, e spesso in competizione tra loro, polizie e milizie fasciste, che alla notizia dell’arrivo del duce in città si mobilitano in un clima di crescente eccitato fermento. La Guardia nazionale repubblicana (GNR), voluta da Renato Ricci come erede repubblichina della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN); le Brigate nere, ideate da Pavolini nel tentativo di rilanciare lo squadrismo e il fascismo delle origini; la Legione autonoma Muti, una formazione di fanatici violenti, responsabile di numerosi crimini e di torture praticate nella sede di via Rovello, in modo analogo alla Banda Koch, reparto speciale della polizia, che dopo aver seviziato, alle dipendenze di Buffarini Guidi, antifascisti e oppositori nella sede romana posta nella pensione Oltremare, a seguito dello sfondamento della Linea Gustav, si trasferisce proprio a Milano, dove continua le sue attività criminali in una villa dai milanesi ribattezzata Villa Triste; la Decima Mas di Junio Valerio Borghese, ecc.

Insomma, tutti gli apparati e gli organi della ormai esanime Repubblica sociale sgomitano per stringersi attorno al “capo”, che per la prima ed ultima volta dopo il 25 luglio ’43 si appresta ad arringare nuovamente la piazza, dando luogo ad una messa in scena con attori che ottusamente si ostinano a non comprendere la realtà e provano a mistificarla, elaborando inverosimili progetti di socializzazione delle fabbriche, nella vana speranza di rianimare il consenso operaio al fascismo, progetti tanto sterili quanto invisi ai tedeschi, che dal canto loro osservano con fredda e diffidente supponenza un mondo che si sta sfaldando.

Il dottor Herbert Siebenhüner, studioso e storico presso l’Istituto germanico d’arte di Firenze, trasferitosi a Milano nel 1944,

figlio di una nazione graniticamente unita attorno al suo Führer, prova un profondo disprezzo soprattutto per gli italiani che ora criticano il duce dopo averlo osannato per vent’anni […]. Più li studia e più arriva a pensarla come Goebbels […] “Gli italiani? Tranne Mussolini tutti zingari e straccioni”. […] Di una cosa, comunque, il professore è certissimo: le truppe del Terzo Reich combattono ancora disciplinate agli ordini di Hitler; mentre quelle di Mussolini… Era rimasto colpito dalla gran varietà di divise indossate dai militari che circolavano in città e che si vantavano di far parte di formazioni “indipendenti”. […] Un caos, insomma, che ha favorito la nascita di vere e proprie bande di criminali, disposti, per temperamento e danaro, a compiere i lavori più sporchi (pp. 127-129).

Tra le pagine che ricostruiscono gli accadimenti storici, Speroni inserisce anche qualche spaccato di vita milanese. La Taverna del Guerino di via Vittorio Emanuele è il luogo di ritrovo di molti giornalisti che scrivono sulle numerosissime pubblicazioni – quotidiani, riviste, opuscoli, fogli – della stampa della Repubblica sociale, un piccolo Stato fantoccio con scarsa sovranità, che va riducendosi col passare dei mesi, ma che continua a stampare, spesso a tiratura limitata, numerosissimi quotidiani, tutti severamente controllati dal Ministero della cultura popolare di Ferdinando Mezzasoma, che spera così di riattivare la mobilitazione a sostegno del regime e di riconquistare qualche margine di consenso. La sera del 17 dicembre, la seconda delle tre giornate milanesi di Mussolini, Ernesto Daquanno, direttore dell’Agenzia di stampa Stefani e Ugo Manunta, da poco allontanato dalla direzione de “Il Secolo-La Sera” per le sue idee favorevoli ai progetti tardivi e confusi di socializzazione dell’economia caldeggiati da una delle correnti del fascismo di Salò, bevono e conversano con altri colleghi, Concetto Pettinato, che dirige “La Stampa” e Gianludovico Pistolari, direttore de “L’Italia”.

Quando attacca a parlare della socializzazione Ugo Manunta andrebbe avanti per ore, ma una gran risata lo blocca e Daquanno coglie l’occasione al volo: “Venite, è davvero divertente!”. […] Il personaggio “davvero divertente” è un attore comico che s’è fatto notare negli spettacoli organizzati dalle SS italiane. Ha vent’anni, il suo cognome e Annichiarico, ma si fa chiamare Walter Chiari, e sta facendo rapidamente carriera perché ha l’abilità di adattare le barzellette alla situazione del momento. Quelle più audaci le può raccontare soltanto alla Taverna, e adesso ha adocchiato Manunta e i suoi amici. “Sentite questa. Il duce convoca Mezzasoma. Quello accorre con la sua pancettina che traballa, si mette sull’attenti, e alza lo sguardo verso Mussolini. […] ‘Tutto in ordine, camerata Mezzasoma?’ ‘Sì, duce!’ ‘Il Minculpop?’ ‘Funziona, duce!’ ‘Manunta?’ ‘Fucilato ieri, duce!’ ‘E Pettinato?’ ‘Domani, duce!’ ‘E L’Italia?’ ‘S’è desta, duce!’ ‘Imbecille, sto parlando del giornale!’ ‘Sì, duce!’ ‘Sì cosa?’ ‘Sì, ho capito, provvederò come sopra’ ‘E coi preti?’ ‘Fucileremo anche loro!’ ‘Mezzasoma, sei un imbecille…’ ‘Sì, duce!’ ‘Non mi interrompere! Sei un imbecille, ma voglio ugualmente farti un regalo. Dato che i crucchi controllano i nostri telefoni…’ ‘Non lo sapevo, duce!’ ‘Non ti credevo così imbecille…’ ‘Grazie, duce!’ ‘Non interrompermi! Dicevo: dato che i crucchi controllano i nostri apparecchi ho deciso di farti installare un telefono segreto, così potremo parlare liberamente. Prendi nota del tuo numero…’ ‘Mentalmente, duce?’ ‘Ho capito: riposo e scrivilo’ ‘Sono pronto, duce, con carta e penna’ ‘Ecco il numero: 6-1-0’ ‘Più adagio, vi prego, duce, è difficile!’ ‘Te lo ripeto: sei-uno-zero!’.
La barzelletta è vecchia, a suo tempo aveva come protagonisti il re e Mussolini, ma Manunta ride sino alle lacrime: la bravura di Walter Chiari è quella di trasformare una qualsiasi storiella in una vera e propria sceneggiata resa spassosa dalla sua mimica satirica (pp. 221-223).

Mussolini percorre i circa 150 chilometri che separano Gargnano sul Garda da Milano la sera del 15 dicembre e raggiunge la Prefettura verso le 23; il giorno successivo, 16 dicembre, lo attende il primo importante appuntamento: il discorso al Teatro Lirico. Poi si reca in piazza San Sepolcro, luogo simbolo della nascita del fascismo nel 1919. Il giorno successivo, 17 dicembre, passa in rassegna militi delle Brigate Nere in via Dante, visita la caserma della Legione autonoma Muti di via Rovello e anche una mensa popolare. Il 18 dicembre, al Castello Sforzesco, assiste al giuramento delle ausiliarie e visita la caserma di via Lamarmora. In tutte queste occasioni, tiene discorsi, si sposta in auto scoperta, saluta la folla.

In queste tre frenetiche giornate, il capoluogo lombardo è in subbuglio, la mobilitazione della polizia italiana e tedesca è massima, ma i GAP milanesi, Visone e i suoi uomini, sono determinati a non sprecare l’occasione: si organizzano, studiano i luoghi, calcolano gli spostamenti, pensano ad una strategia, forniti di falsi documenti di identità si mescolano ai comuni cittadini, ai militi fascisti e nazisti, fingono di voler vedere e salutare il duce per potersi avvicinare il più possibile. L’impresa è pressoché impossibile perché le maglie degli apparati di sicurezza sono troppo strette; due di loro riescono ad intrufolarsi in modo casuale nel cortile del Castello Sforzesco il 18 dicembre, ma non arriveranno mai sufficientemente vicini al bersaglio.

L’operazione dei GAP è annullata, Mussolini riprende la strada per Gargnano, dove trascorrerà gli ultimi mesi prima della fuga da Milano, dopo il 25 aprile, della cattura a Dongo e della fucilazione a Giulino di Mezzegra. Visone e i gappisti milanesi riprendono la lotta e il 30 dicembre Giovanni Pesce fa esplodere un bomba al Café Centrale, luogo frequentato dagli uomini della X Mas. Il fascismo e la Repubblica di Salò non hanno scampo, ancora pochi mesi e l’Italia finalmente sarà libera!

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