di Marco Sommariva

Italo di Sabato (a cura di), Police abolition. Corso di base sull’abolizione della polizia, Momo Edizioni, pp. 96, euro 13,00 stampa.

La prima parte dell’edizione italiana di Police abolition è la pubblicazione dell’omonima fanzine statunitense che si può reperire in rete. La rivista illustra con testi semplici e divulgativi, e con le illustrazioni di Noah Jodice, come negli Stati Uniti l’utopia dell’abolizione della polizia sia diventato un tema sempre più concreto e attuale. La seconda parte, invece, è costituita da un saggio scritto dal curatore Italo Di Sabato e da Salvatore Palidda, in cui si cerca di contestualizzare la proposta statunitense e si tenta un confronto con la situazione italiana ed europea.

Questo Corso di base non è un banale libro contro la polizia, quanto piuttosto il tentativo d’interpretare la funzione della polizia come un fenomeno sociale e, come tale, immaginarlo passibile di trasformazione e superamento; è un’opzione abolizionista capace di modificare l’orizzonte a cui tendiamo quotidianamente, in qualcosa di estremamente positivo e costruttivo per l’evoluzione dell’intera società; sono pagine che provano a dimostrare come le cose che sembrano impossibili o insensate, in realtà, non lo siano mai.

Secondo il curatore Italo Di Sabato “l’unico modo per affrontare il problema della polizia oppressiva è abolirla. […] Poter togliere i finanziamenti alla polizia, e investire nei servizi sociali e di cura, può significare anche rinunciare ai modelli produttivi che ci danneggiano e che sono basati sulla difesa dei privilegi e investire invece nel benessere delle comunità. Certo, non sono trasformazioni praticabili dall’oggi al domani ma, se quel che conosciamo non funziona e meno ancora ci piace, potrebbe essere arrivato il momento di ragionarci un po’ su”.

Ancora Italo Di Sabato: “Ciò che la polizia difende con tutti i mezzi a sua disposizione non è l’ordine e la società, ma un certo ordine e la sua società. Ciò su cui si esercita il suo ricatto di paura e sicurezza, non è la libertà umana che si tratterebbe di regolamentare, ma sono gli individui soli, diseredati e quindi deboli prodotti dal mondo dell’economia. […] Lungi dal creare sicurezza, la polizia è sempre stata un mezzo per affermare il controllo. […] Oggi, la polizia rimane la forza in prima linea che reprime le manifestazioni per la pace, il clima, la giustizia sociale, e l’imperativo del pericolo rimane uno strumento potente per spiegare la sua azione. I regimi democratici, in evidente crisi di legittimazione, tendono a incrementare l’uso delle forze di polizia come risposta ai movimenti sociali e di protesta, perciò i governi esitano quando si parla di riformare i corpi e cambiare le regole di ingaggio. Che la funzione sociale della polizia sia mantenere un certo ordine mondiale è un dato di fatto. Ciò che continua ad essere meno compreso, tuttavia, è l’affermazione da cui dipende la loro esistenza, una grande menzogna antropologica: che senza il loro esercizio di violenza «legittima» non saremmo in grado di darci regole di vita comuni e ci uccideremmo a vicenda alla prima opportunità”.

Italo Di Sabato ci fa intendere che la polizia non è solo il braccio armato dello stato e del governo, è anche la garanzia che ognuno rimanga al posto che gli spetta.

Ovviamente, perché un giorno si possa riuscire a vivere senza polizia, si dovrà cambiare mentalità nel frattempo, e non iniziamo a dire che non ce la faremo mai perché, come scriveva Errico Malatesta, “Gli uomini lavorano, scambiano, studiano, viaggiano, seguono come l’intendono le regole della morale e dell’igiene, profittano dei progressi della scienza e dell’arte, hanno rapporti infiniti tra di loro, senza che sentano bisogno di qualcuno che imponga loro il modo di condursi. Anzi sono appunto quelle cose in cui il governo non ha ingerenza, che camminano meglio, che dan luogo a minori contestazioni e si accomodano, per la volontà di tutti, in modo che tutti ci trovino utile e piacere” (L’anarchia, 1891).

Police abolition è una lettura che darà particolare soddisfazione a tutti coloro che, almeno una volta nella vita, si sono posti domande quali: a cosa e a chi serve la polizia? Perché è così violenta nell’approccio con le classi subalterne? A cosa serve l’attuale militarizzazione del territorio sempre più meticolosa? A chi giova l’odierna e sempre più capillare sorveglianza dei comportamenti? Dove ci condurrà il tentativo in opera di istituzionalizzare la brutalità della polizia?

Non vi nascondo che sono alcune delle tante domande che mi sono sempre posto e che, sempre più di frequente, continuo a pormi. E a rispondere ai miei quesiti, spesso, ci ha pensato la letteratura.

Nel suo romanzo del 1988 Utz  (Adelphi, 2000), Bruce Chatwin racconta così ciò che accadde a Parigi dopo l’invasione militare della Cecoslovacchia da parte dell’Unione Sovietica: “[…] mentre il mondo teneva d’occhio le attività del compagno Dubcek, io cercavo di immaginarmi la reazione di Utz agli eventi, e mi chiedevo se fosse rimasto della sua idea, e cioè che le cose non sarebbero mai e poi mai migliorate. Mentre l’estate passava lentamente, sembrava sempre meno probabile che Breznev avrebbe mandato i carri armati, nonostante le voci diffuse dalla stampa sovietica. Ma una sera, mentre entravo in macchina a Parigi, trovai il Boulevard Saint-Germain chiuso al traffico, e la polizia che respingeva con gli scudi di plastica un’ondata di dimostranti. L’occupazione della Cecoslovacchia era stata completata in un giorno. Salivo le scale dell’Hotel Louisiane con la borsa da viaggio in spalla e mi dicevo, mestamente, che aveva ragione Utz”.

Chi era Utz? Utz è un uomo che si è rovinato la vita aggrappandosi alla sua meravigliosa collezione di statuine di Meissen tra gli orrori della Seconda guerra mondiale e i primi anni dello stalinismo. La mania del collezionismo e l’attaccamento morboso alle lucide statuette, che si associano nella mente di Utz a un mondo ormai irreversibilmente perduto, gli permettono di rivivere, quantomeno nella sua immaginazione, nello splendore di una corte neoclassica, da contrapporre alle barbarie culturali di due regimi – quello nazista e quello sovietico – a cui il vero Utz deve sopravvivere e a cui è miseramente sottoposto.

Quindi la polizia serve a respingere i dimostranti, per esempio.

Nel suo romanzo del 2008 Correre, Jean Echenoz racconta così ciò che accadde in Cecoslovacchia tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta: “Nel superiore interesse del Partito, la cosa più importante è adesso epurare, smantellare, annientare, liquidare gli elementi ostili. La stampa e la radio non parlano d’altro, la polizia e i servizi di sicurezza provvedono. Ognuno può in ogni momento finire sul banco degli imputati come traditore, spia, cospiratore, sabotatore, terrorista o provocatore, in quanto fautore, a scelta, di un’ideologia trotskista, titoista, sionista o socialdemocratica, essere considerato kulak o nazionalista borghese. Chiunque, in qualunque momento, può ritrovarsi in prigione o in un campo, per motivi che in genere ignora. Quasi sempre si ritrova lì non tanto per quel che pensa ma perché dà fastidio a qualcuno che ha il potere di mandarcelo. Ogni giorno, da ogni angolo del Paese, giungono alla polizia segreta centinaia di lettere che, zelanti e fantasiose, segnalano alla sua attenzione un compagno, collega, vicino, parente, denunciato nel quadro della congiura contro il regime”.

In Correre si parla dell’atleta cecoslovacco Emil Zatopek; un uomo che, tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta, nessuno poté fermare: né sulla pista di atletica (imbattuto per quattro anni), né dal regime che invano lo spiava, limitava le sue trasferte, distorceva le sue dichiarazioni.

Quindi la polizia serve a epurare, smantellare, annientare, liquidare gli elementi ostili, serve al Partito che governa, per esempio.

Nel suo romanzo del 2011 Il corvo (Iperborea, 2013), Kader Abdolah racconta così quei pochi che, pur appartenendo alle classi subalterne, sono protetti dai poliziotti: “Tutti i clandestini erano alla ricerca di un trafficante di esseri umani. Di tutti i trafficanti di Istanbul non ce n’era uno affidabile, ma non avevi altra scelta. […] Non sono ovviamente il genere di persone che puoi andare a trovare nel loro ufficio, operano tutti sotto falso nome […] e lavorano sempre in combutta con i poliziotti, che li proteggono”.

Il corvo è un romanzo autobiografico in cui si racconta il lungo viaggio del rifugiato Refid Foaq che parte dalla falegnameria del padre nel villaggio natale a Teheran dove si unisce alla lotta contro il regime dello scià e poi degli ayatollah, e finisce in Olanda dove realizzerà il desiderio di mettere in pratica la sua vocazione letteraria.

Quindi la polizia è violenta nell’approccio con le classi subalterne, a meno che queste non siano in combutta con loro, per esempio.

Per dimostrare che un altro mondo possibile, quello senza polizia, appunto, potrei andare avanti all’infinito con l’estrazione di passi dalla letteratura prodotta in ogni angolo del pianeta e in ogni epoca, da “[…] la delinquenza viene tuttora affidata agli ecclesiastici, ai lavoratori sociali e alla polizia. Prediche interminabili e terapia palliativa; condanne al carcere a non finire. Con quali risultati? La delinquenza non fa che aumentare” – tratto da L’isola (Mondadori, 2021) di Aldous Huxley del 1962 – a “[…] la facoltà di dubitare è rara fra gli uomini: solo un numero molto limitato di intelletti ne porta in sé i germi, che non si sviluppano senza cultura. È una facoltà rara, raffinata, filosofica, immortale, trascendente, mostruosa, piena di malizia, pericolosa per le persone e le proprietà, ostile alla polizia degli stati e alla prosperità degli imperi, funesta per l’umanità, negatrice dei princìpi divini, disprezzata dal cielo e dalla Terra” – tratto da L’isola dei pinguini (Elliot, 2022)di Anatole France del 1908.

Per il resto, so bene che questo Police abolition esprime concetti che vanno, a dir poco, in controtendenza, e non solo perché siamo circondati da gente che a ogni angolo di strada e per qualsivoglia motivo strilla che ci vuole più polizia, ma anche perché l’Italia – dopo Russia e Turchia, nazioni che da tempo hanno qualche «difficoltà» con la democrazia – nel 2022 risultava essere (fonte Nazioni Unite) lo stato più militarizzato del mondo, vantando avevamo 467,2 agenti ogni diecimila abitanti. So bene che questi concetti sono affini a sempre meno persone, ma non lasciatemi solo o, già lo so, farò la fine del personaggio «THX uno uno tre otto» raccontato nel romanzo del 1971 THX 1138 (Urania 776) di Ben Bova, la novelization del primo film di George Lucas (1971): “Si accorse di tre robopoliziotti in piedi sulla soglia. Entrarono. Avevano tutti le sbarre d’acciaio. «THX uno uno tre otto, siete in arresto per evasione da medicinali e resistenza a pubblico ufficiale. È inutile che opponiate ancora resistenza». […] THX sentì le spalle contrarsi. Non c’era nessun posto dove fuggire. Da uno degli altri robot sentì provenire una voce sottile: «THX è stato preso sotto custodia con spesa minima. Costo totale dell’operazione inferiore di tremila unità al budget. Congratulazioni. Siate efficienti. Siate felici»”.

Mi raccomando, opponiamo ancora resistenza, costi quel che costi, prima che i robopoliziotti mi bussino alla porta anche perché, dopo la mia, busseranno alla vostra, statene certi.

By Becker1999 from Grove City, OH – Da Wikicommons