di Fabio Malagnini

Stefano Tevini, Manuale Diffuso del Guerrigliero Psichico, D Editore, Roma, 2025, pp. 224, 16,90 euro

In un futuro distopico dove sopravvivere è tutto ma vivere decentemente un lusso per adesso fuori dalla mia portata, mi sveglio con indosso l’avatar di un essere mutante dagli strani poteri psichici. In qualsiasi momento, mi viene ricordato, il mio corpo potrebbe venire catturato, torturato e sottoposto a un intervento per privarlo chirurgicamente delle sue capacità extraumane, in gergo chiamate “diapason”. Chi ha il diapason può, ad esempio, a seconda delle facoltà ricevute in dote da Madre Natura, manipolare la percezione della popolazione normale, dare vita ad allucinazioni collettive, diffondere calma e concentrazione tra le fila dei compagni o, infine, dialogare con i dispositivi elettronici nelle vicinanze per metterli in funzione. Il 99% della popolazione – stima arbitraria – il diapason non ce l’ha e non sospetta neppure l’esistenza di questa displasia evolutiva, ad accezione delle guardie e dell’apparato di sicurezza che conoscono i nostri poteri e sanno quasi sempre come neutralizzarli. Noi, cioè io e la mia squadra, siamo in definitiva, tipo i buoni.

Se questo scenario alla X Men vi è familiare, vi gioverà sapere che al termine di ogni missione, dall’esito imprevisto e per lo più catastrofico, la simulazione finisce e subito ci si ritrova in un’aula didattica al cospetto di una specie di Professor Xavier. È proprio la sua voce, anzi, che per tutto il tempo ha commentato la missione, sottolineando il valore della collaborazione, del gioco di squadra e altro, che alla fine valuta lo scenario strategico a cui ci siamo sottoposti e le modalità con cui abbiamo interagito, di regola bocciate.

La struttura di Manuale Diffuso del Guerrigliero Psichico non coincide, ovviamente, né con quella di un manuale di sopravvivenza per superumani o di altro genere, né con la linea di una spy story tradizionale. Semmai con un breviario situazionista, aggiornato all’epoca delle IA, a uso delle giovani generazioni. Ciò che colpisce maggiormente è, nell’ordine, la scelta di un linguaggio totalmente operativo, senza concessioni autoriali, dall’inizio alla fine, e la scelta di ricondurre ogni spunto narrativo, allo status di “simulazione”. In questo senso la narrazione si presenta anche come una macchina testuale funzionale, “anti romanzo”.

L’universo narrativo del Manuale è chiaro e definito, il suo world building non affiora tanto da una massa di dettagli spaziali in emersione quanto dai registri mentali che i componenti della squadra – Hector, Lex, Nina, Sooki, Khaled, che il prof chiama “i miei studenti” – intrecciano telepaticamente, in qualsiasi momento della “missione”.

Più che i mutanti Marvel, qui il mondo intermittente del Manuale incontra un altro ciclo a fumetti, forse meno noto ma destinato a definire negli anni Dieci il canone paranoico degli agenti segretissimi con poteri ESP, ovvero la serie Mind Mgmt (2012-2015) di Matt Kindt per Dark Horse, che Tevini nell’introduzione cita infatti tra le fonti di ispirazione del libro insieme al “nume” Grant Morrison. Il terzo e ultimo riferimento non rappresenta un credito letterario o ispirazionale, se non in senso molto lato: si tratta infatti The Turner Diaries (1978) di Andrew Macdonald (pseudonimo di William Luther Pierce, romanzo di formazione e testo sacro dei suprematisti bianchi che Tevini ha indagato magistralmente nel suo precedente studio White Power (Red Star Press, 2024), assieme all’immaginario dell’estrema destra razzista e rivoluzionaria statunitense. Di scarso valore letterario, tradotto in italiano da Bietti La seconda guerra civile americana, come il testo fu scritto non per fare nuovi proseliti ma per fare da cinghia di trasmissione tra cultura politica, ideologia e mito nel mondo leaderless dei nazisti americani. Tevini lo riconosce e, da una prospettiva politica diametralmente opposta, ammette che anche il Manuale aspira a una scrittura che, andando oltre l’introspezione del romanzo storico, psicologico o “borghese”, vuole collegare la narrazione alla pratica e all’azione politica.

Manuale Diffuso del Guerrigliero Psichico dopotutto non è solo un oggetto narrativo insolitamente originale e poco classificabile ma fa parte della neonata collana Intermundia, diretta da Claudio Kulesko per D Editore, aperta ai giovani autori, ma dedita negli obiettivi a nuovi, dirompenti immaginari di genere (weird, sf, horror e quant’altro).

Riassumendo: ho finito di leggere il Manuale e a caldo mi sembra il primo capitolo di un ciclo più lungo e articolato, la premessa di un progetto, forse multimediale, con una miccia che ne assicuri la detonazione ritardata nel tempo. È veramente così? Nel dubbio, l’ho chiesto direttamente al suo autore assieme a un paio di altri chiarimenti.

Il Manuale Diffuso del Guerrigliero Psichico va pensato come un esperimento a sé stante o come il primo capitolo di una ipotetica saga?

Il Manuale nasce come racconto lungo, quello che trovi a puntate su Metatron, la rivista di Claudio Kulesko, che corrisponde poi al romanzo alleggerito di tutta la parte della simulazione degli scenari. Il discorso della simulazione è figlio del periodo fertile e fin troppo breve che ho avuto con il gruppo che si radunava intorno al blog La Grande Estinzione (Antonio Vena, Andrea Meschiari e tanti altri), abbiamo ragionato moltissimo sull’immaginazione come strumento, come tool, come facoltà conoscitiva fondamentale per la sopravvivenza. Qui sono partito con meno pretese, per fare un lavoro di transizione rispetto ad altre idee che ho in mente, ma gli eventi hanno portato me e il libro verso un’altra direzione. Claudio ha apprezzato molto il mio lavoro e lo ha proposto, chiedendomi di trasformarlo in quel che hai letto perché inizialmente era troppo breve, a Intermundia. Quindi no, non nasce già alla sorgente come capitolo di una saga, lì è stato Emmanuele a vederci una futuribilità. A ogni modo sì, sto pensando al secondo capitolo e, pur senza una scaletta, un’idea a grandi linee della struttura e di dove voglio arrivare a livello di evoluzione del world building ce l’ho. E sì, l’idea di creare una proprietà intellettuale con output molteplici c’è. Bisogna poi vedere come effettivamente andranno le cose ma come minimo un seguito è in programma. Ma sì, vogliamo espandere i vari universi narrativi di Intermundia. Come lo scopriremo lungo la via.

Avevi in mente un lettore ideale? Se sì, quale?
Diciamo di sì, e con una punta di narcisismo ti potrei dire che il mio lettore ideale mi somiglia parecchio. Scrivo quel che mi sarebbe piaciuto leggere e le mie fonti di ispirazione, come avrai potuto notare, sono gli autori che piacciono a me, autori densi dal punto di vista delle idee ma al tempo stesso con un’anima pop. Non mi interessano gli intellettualoidi ma nemmeno l’intrattenimento vuoto. Un caro amico, Luca Tarenzi, ha definito il Manuale come “non un romanzo ma il file .zip di un romanzo” e credo ci abbia preso in pieno. Io quando leggo un lavoro di Grant Morrison, e ci trovo dentro compresso tanto materiale concettuale da farci altre cinque serie, mi carico tantissimo, voglio leggere roba così, voglio scrivere roba così e vorrei raggiungere lettori così.

In che senso il Manuale si collegherebbe anche a The Turner Diaries, come accenni nell’introduzione?

Il manuale diffuso del guerrigliero psichico è, letteralmente, un anti The Turner Diaries. Non so se avrà la stessa incisività a livello politico, temo di no, ma a livello ideale è un controincantesimo a I diari di Turner, anche qui in filigrana c’è un libro che parla di agire politico, che esorta all’agire politico. Parli di linguaggio operativo e sì, ce n’è a pacchi, con un meccanismo che fa venir giù la quarta parete e prova a raggiungerti, un po’ come ne I diari di Turner. Perché non riconoscere l’efficacia di uno strumento solo perché viene da un nemico è stupido, gli strumenti efficaci vanno usati.

La scelta di un linguaggio strettamente funzionale, operativo alla fine risuona come cifra espressiva del progetto. Da dove proviene questa scelta?

Il linguaggio è una cosa su cui lavoro a modo mio perché odio l’atto di identificare la letteratura con lo stile e di conseguenza la bella pagina fine a sé stessa. Figlio di un musicista, mi viene naturale cercare la musicalità nel linguaggio ma ritengo che l’aspetto più affascinante siano proprio le sue funzioni, il suo aspetto “magico”, e per me l’estetica non si slega dalla funzionalità e il linguaggio sì, o è operativo, o si fa da parte per lasciare spazio alle idee o mi irrita.