di Ferdinando Fasce

Marco Mariano, Tropici americani. L’impero degli Stati Uniti in America Latina nel Novecento, Einaudi, Torino, 2024, pp. 282, euro 29,00

Capita che libri seri, frutto di anni di lavoro, rischino di passare per instant book. È il caso di questo bel volume dell’americanista torinese Marco Mariano. Lo ha reso tale la politica trumpiana su Panama, intessuta dei “vaneggiamenti tardo-imperiali” propri della strategia estera del tycooni. La annunciava già il discorso di insediamento del 20 gennaio 2025, con la frase lapidaria per cui “La Cina sta gestendo il Canale di Panama. Noi non lo abbiamo dato alla Cina, ma a Panama, e ce lo riprendiamo”. Alla dichiarazione, che alludeva ai due terminali di Panama gestiti dall’impresa di Hong Kong CK Hutchison, è seguita una complessa vicenda che ha visto una cordata guidata dal fondo statunitense BlackRock, con all’interno il colosso dello shipping ginevrino Mediterranean Shipping Company, acquisire i due terminali da CK Hutchison. Vicenda complessa perché, nonostante il grido di vittoria di Trump nel discorso alle Camere del 4 marzo, nel quale annunciava il buon esito dell’operazione di acquisizione dei terminali della Hutchison, a fine aprile 2025 la questione pareva ancora aperta, entro il contenzioso a tutto campo che oppone Stati Uniti e Cinaii. In attesa di vedere come andranno le cose, il lavoro di Mariano chiarisce il significato simbolico della mossa trumpiana. Proprio da Panama prese corpo a inizio Novecento un impero statunitense emisferico, base di una proiezione globale di Washington. Un impero originale, rispetto ai modelli precedenti, perché “internazionale”, volto a produrre ordine non attraverso il dominio diretto, ma il coordinamento di Stati-nazione legittimi e sovrani e la promozione e gestione delle connessioni tra loro. E di connessioni, inserendosi nella recente tendenza storiografica “infrastrutturale”, si occupa il libro di Mariano, con una serie di originali carotaggi, basati su una ricca documentazione d’archivio, aperti dal capitolo su Panama.

Infrastruttura-chiave per il controllo delle Americhe perché riduceva la distanza da New York a San Francisco da quasi 23000 a 8000 chilometri, Panama era cruciale nel progetto di egemonia regionale americana che, sull’onda della “splendida piccola guerra” del 1898 per l’indipendenza cubana contro la Spagna, proseguiva verso meridione la spinta espansionista ottocentesca della “conquista del West” e del genocidio dei nativi. Approfittando delle rivalità interimperiali, gli Stati Uniti si sostituivano all’impero informale inglese in America Latina e, soprattutto, ai Francesi (che con l’ingegnere-imprenditore Ferdinand de Lesseps, l’uomo di Suez, avevano progettato di costruire una nuova Suez nei Caraibi) nell’edificazione del canale. Carta vincente, secondo la logica dell’impero internazionale, il sostegno degli Usa, in nome della propria tradizione anticoloniale della rivoluzione del 1776, alle istanze di indipendenza delle élite panamensi verso la Colombia, cui Panama apparteneva. Salvo però ridurre a nulla o quasi l’influenza della neonata repubblica nella costruzione e nel controllo del canale. Costruzione che, a dispetto di quanto dichiarato da Trump il 4 marzo, non vide morire migliaia di operai americani (“un tremendo costo di sangue americano”), ma lavoratori in larga parte migranti, inclusi molti italiani. E salvo fare di questo territorio una sede privilegiata di basi militari statunitensi. Tanto che allo scoppio della Seconda guerra mondiale la Repubblica di Panama, poco più grande dell’Irlanda, ospitava 134 siti militari Usa.

Solo l’onda della decolonizzazione degli anni sessanta e settanta avrebbe portato, con Jimmy Carter, al trasferimento a Panama del controllo del canale. Un successo economico, ha scritto su Time Julia Greene, autrice di un classico sulla costruzione del canaleiii. Il canale, dice Greene, oggi “funziona meglio e in maniera più sicura di quanto avvenisse sotto il controllo degli Stati Uniti”. E le “rivendicazioni di Trump…sono basate su una visione della storia romanzesca e fondamentalmente ingannevole”iv. Ma mettendo da parte Panama e il suo riproporsi, a un secolo dall’apertura del canale, come test per il “Make America Great Again la Vendetta”, segnaliamo al lettore in estrema sintesi gli altri quattro capitoli del libro. Il secondo esamina l’uso dell’aviazione civile (Pan Am Airways) quale tassello dell’integrazione logistica dell’impero emisferico. Il terzo illustra la breve fase egemonica degli anni trenta e quaranta, all’insegna del “buon vicinato” rooseveltiano, della crescente assertività latinoamericana e di un multilateralismo panamericano made in Usa cementato dal secondo conflitto mondiale. Per poi approdare, attraverso i piani di “modernizzazione” dell’Alleanza per il Progresso dei primi sessanta entro una guerra fredda che vede l’emisfero perdere centralità nei disegni di Washington (quarto capitolo), all’”impero sotto sorveglianza”, di natura eminentemente militare, dei settanta e ottanta (ultimo capitolo). Che chiude il cerchio, con l’operazione militare di Bush sr. contro la Panama dell’ex pupillo yankee Daniel Noriega.

i M. Del Pero, Dopo tante profezie il declino americano è ormai realtà, in Domani, 19 aprile 2025.

ii Trump, China Ramp Up Panama Canal Pressure With Li Deal in Limbo, in Bloomberg, April 27, 2025 https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-04-27/china-tells-parties-in-ck-hutchison-deal-not-to-evade-review, acc. 30 aprile 2025.

iii The Canal Builders: Making America’s Empire at the Panama Canal, Penguin, New York, 2009.

iv J. Greene, Trump’s Talk of the Panama Canal Taps Into Old Myths About U.S. Power, in Time Made by History, January 22, 2025, https://time.com/7205889/panama-us-myths-trump/, acc. 25 gennaio 2025.