di Luca Baiada

Quando sento parlare di cultura metto mano alla pistola, ha detto un nazista. Quando sento parlare di pistole, prendo un libro, ha risposto uno scrittore.

Ma è difficile decidere cosa fare, con Yannick: La rivincita dello spettatore, di Quentin Dupieux. È un problema, se in un film la pistola passa di mano in maniera rocambolesca, dentro un piccolo teatro parigino, durante uno spettacolo poco originale e sotto gli occhi di un pubblico scarso. Cosa prendo, quando vedo un film? e se vedo un film con dentro una pistola che parla di cultura? e metti che la pistola ne sa più di me? È frustrante, essere superati da una pistola, specialmente per chi ci tiene al lavoro intellettuale.

Anche detto così, Yannick è un film che non sta dentro lo schema, che scappa da tutte le parti. La cinepresa, prigioniera di un teatro, giusto con qualche fuga nel foyer e per strada, ti aspetti che affoghi e invece scoppia: bastano poche facce e scorci di microstorie urbane, perché il mondo di fuori si faccia sentire, direttamente in platea. La ragazza ha un bicamere con un divano, la sua amica ha un gatto, invece l’intellettuale con le rughe ha un carattere deciso, mentre una coppia tranquilla gestisce un’autoscuola, però un ragazzino imbottito di medicine è sovrastato da una mamma grassoccia.

Già, ma a interrompere il trantran di una serata prevedibile c’è lui, Yannick. Fa i discorsi serrati e imprevedibili di un folle, ha i movimenti legnosi, gli scatti di un teppista e lo sguardo febbricitante; gli brucia addosso l’esigenza primaria di ognuno di noi: essere amato. Che poi significa, quando non lo sai dire, anche voglia di distrarti, e insomma anche voglia di andare a vedere uno spettacolo, a teatro, che riesca a farti stare meglio, visto che fai il guardiano di un parcheggio e mica hai tante soddisfazioni. Ci vuole uno spettacolo, ecco, che serva a riconciliarti con la vita, almeno per il tempo fra la metropolitana di andata e quella di ritorno. È una cosa sbagliata? un cedimento all’illusione? un modo borghesuccio di lasciare tutto come prima? Può darsi. Forse nella vita bisogna fare, e subito, senza tante storie; bisogna battersi come che sia, mirare dritto al destino, sporcarsi le mani, senza complimenti; altro che guardare, riflettere, rappresentare. Ehi, un momento, occhio: così si finisce per dare ragione al nazista, anche a lui piacevano le scorciatoie.

Yannick, però, con la sua pistola, non vuole riempire il mondo di pistole, vuole solo vedere del buon teatro, che poi non è l’ambizione solita di quelli che hanno le pistole. Quelli, magari, vanno ubriachi alle feste balorde coi loro camerati, e parte un colpo. E, allora, in questa serata alla deriva come un turacciolo, tutto può succedere. Anche che uno spettacolo improvvisato davanti alla bocca di una pistola, con gli attori sotto tiro, sia più toccante di quello moscio che era in cartellone. Anche scoprire che la vera malattia di un mondo in coma è non avere l’amore. Può succedere persino che un’attrice resusciti un morto con un bacio, perché? Beh, anche le attrici, come le pistole, hanno una bocca, ma non è proprio la stessa cosa.

È difficile – mi sa che non ci riuscirebbe neanche un benpensante in vena di «sbattetelo in galera e buttate la chiave» – non sentire una simpatia agrodolce per questo giovane schizzato di testa, nel momento in cui batte sul palcoscenico, accovacciato vicino al sipario, arruffato e felice. Batte e ribatte: un tempestio di colpi e poi i tre lenti, scanditi, i tre colpi grossi, solenni, eterni: sono i colpi rituali che esigono l’attenzione, quelli che introducono anche gli spettacoli della Comédie Française. Ma qui siamo in un piccolo teatro, invece della mazza Yannick usa un estintore e il pubblico è ostaggio di un disperato, uno che non rispetta le regole del patto scenico, che rompe le palle, che non riesce a stare fermo dentro il suo orrendo giubbetto da sfigato.

Tutto questo, intendiamoci, cinematograficamente, dentro un mestiere di fino, che si fa perdonare qualche incertezza iniziale della pellicola. Fotografia curata, bilanciamento cromatico che in certi momenti sfiora la perfezione, campitura d’immagine quasi classicheggiante, con le pause su interni e arredi studiate, lunghe, senza subito gente a distruggere secondi preziosi, di aristocratica quadreria. Perché gli attori li devi aspettare, te li devi meritare, ehi, chi ti credi di essere?

Domanda delle cento pistole, che te la fai quando esci. Cosa vuole un pubblico? L’autore, il regista, gli attori vogliono davvero dare al pubblico ciò che vuole? E uno che vuole ribaltare le regole, riscriverle, è un ribelle o si candida a un posto di dittatore? Pirandello, che ruppe la quarta parete con Sei personaggi in cerca d’autore, entrò nell’Accademia d’Italia e si adeguò a un regime che faceva dello spettacolo una pistola puntata contro il popolo, la giustizia, la libertà. Altro che rompere la quarta parete: il fascismo accompagnava la sua messinscena con la costruzione di mille pareti e muri e celle. Le pareti delle cerimonie erano di cartapesta, ma i muri dentro la società erano veri e le celle molto robuste.

Adesso che, in Italia, nuovi padroncini in nerofumo occupano i posti chiave della cultura e della comunicazione, sai che mortorio a rivedere sul palcoscenico Due dozzine di rose scarlatte. O magari Nel suo candore ingenuo, di Jacques Deval, che si metteva in scena a Roma nella primavera 1944, sotto occupazione tedesca, mentre alle Fosse Ardeatine si moriva. Però alt, un momento, non equivochiamo: questa è una recensione a Yannick, non è un’istigazione a interrompere gli spettacoli smaniando dalla platea.

Dimenticavo la pistola. Eh, quella passa di mano, e poi torna in mano, e non voglio certo svelare il finale, anche se magari, chissà. Magari il finale neanche c’è, che poi in fondo è un modo per dire che il finale sei tu. O meglio, un modo per dire: il finale che sei tu, te lo rubano ogni volta che ti fanno ingoiare un finale come una cucchiaiata di digestivo col dolcificante. Ogni volta che c’è un finale tanto per.

E allora. Lo spettacolo, la cultura sono violenti? In fondo anche tu, tu che hai letto sino a qui, mi hai dato un po’ del tuo tempo, della tua attenzione, e non ho fatto altro che parlarti di seconda mano, raccontarti il lavoro di un altro: il lavoro di rappresentazione di una rappresentazione, perché Yannick è girato in un teatro. Anch’io, in questo labirinto di specchi, ho agitato uno specchietto, ho strappato un morsettino di potere, ti ho puntato addosso una pistola. E se adesso ce l’hai con me, è perché la pistola in fondo me la vuoi rubare.

Sembrava che si parlasse di cultura e invece, sotto sotto, uno di noi due magari è un bandito, un intruso, una carogna. E pensare che sembravamo tanto, io e te, due brave persone.