di Emanuela Cocco

Luca Marinelli, Flessibile Elastica Plastica, a cura di Elena Giorgiana Mirabelli, pp. 124, € 10,90, Zona 42 (collana 42 Nodi), Modena 2023.

 

La sorella, con un dito, ha toccato il cubo bianco. Il cubo bianco era morbido come un cuscino, un po’ elastico. Lui ad alta voce ha detto tappeto rosso, e come pasta di porcellana il cubo bianco si è liquefatto fino a quando è diventato un tappeto rosso.

 

Qualcosa germoglia in Flessibile Elastica Plastica, il romanzo di esordio di Luca Marinelli, pubblicato da Zona 42 nella collana 42 Nodi a cura di Elena Giorgiana Mirabelli, un disagio che si avverte fin dalle prima righe del romanzo e che si fa via via sempre più intenso. È il malessere che si prova quando ci si trova a incontrare qualcuno con il quale non abbiamo nessuna confidenza ma che, per qualche strano motivo, sembra sapere tutto di noi, qualcuno capace di spaventarci perché mima i nostri gesti con l’aggiunta di una imperfezione sinistra nella loro esecuzione che rivela la loro illogicità. Il nostro mondo, visto da un estraneo, ci appare bizzarro, la nostra quotidianità manchevole, la normalità a tratti insensata. Cose che capitano quando in una storia incontriamo il fantastico.

Una famiglia, un padre, una madre, un figlio, una figlia, riceve un pacco da un’azienda misteriosa della quale non si sa nulla e dentro vi trova un curioso oggetto: un cubo bianco in materia plastica, morbida, flessibile, elastica, plastica, come è annunciato nel titolo, che può diventare qualsiasi cosa.

Accade così con il fantastico: ti viene recapitato a casa senza una ragione. Non lo hai ordinato, non te lo aspetti e il mittente è sconosciuto, è un messaggio aperto il cui destinatario potrebbe essere chiunque, una cosa inattesa, da decifrare, come negli Invii di Derrida.

Il fantastico non ha limiti perché indefinito, e quindi è bianco e la sua forma non è data una volta per tutte, è qualcosa nato per essere trascritto o anche solo attraversato dalla realtà, un oggetto che risponde solo alla mente di chi lo comanda con la sua immaginazione, che può diventare ogni cosa, che può assumere ogni forma e colore. Ma il fantastico è anche una maschera che agisce su meccanismi di deformazione, di copia dell’originale, ma che non può mai compiere una sostituzione perfetta dell’oggetto immaginato, il fantastico è quello che muove la tua idea, che la trasforma e che deformandola la snatura e la infetta, facendola passare da uno stato all’altro. È un tradimento dell’originale che però permane nella mente del lettore, qualcosa che sempre con l’originale deve confrontarsi, realizzando con lui una convivenza pacifica, oppure una lotta senza esclusione di colpi. Il fantastico, di fatto, è una sofisticata messa in scena, una questione di visione, e così il cubo, che sa mimare infinite forme della realtà, non diventa mai l’oggetto vero e proprio ma solo il suo simulacro.

La famiglia accoglie in casa l’oggetto. Prima i due ragazzi, poi anche il padre e la madre, decidono di tenerlo perché ne restano presto sedotti. Il fantastico, infatti, non ha altra motivazione se non il desiderio. Non ha una provenienza precisa, come abbiano detto al principio, e per questo non è tracciabile. Una volta arrivato nella nostra vita, e in questa storia, difficilmente potrà essere rispedito indietro senza la minima conseguenza. E così questo cubo, un dispositivo ludico al principio, viene usato con gioia dal fratello e dalla sorella, e poi dal padre e dalla madre, che perdono la loro diffidenza iniziale e iniziano a vedere lo strano oggetto come un dono, una macchina magica capace di rispondere in modo immediato ai loro desideri.

È normale, è la stessa insensatezza della vita che ci spinge e a tirare fuori dallo sgabuzzino in cui abbiamo l’abitudine di stiparle, le nostre aspirazioni, le cose che vogliamo, a discapito di tutto, quelle che immaginiamo di volere solo quando le vediamo apparire da qualche parte, come una promessa intermittente che qualcuno ci agita davanti agli occhi.

 

Se ci pensi siamo ipotesi del nulla, provvisorie epifanie del limite, siamo forme disegnate a matita delebile su un foglio del fascicolo del tempo, e ogni volta che la vita ci cancella, e ogni volta che la vita ci cancella essa adempie il più caro sacrificio alla realtà…

 

La vita è irrazionale, in larga parte la sensazione di connessione tra le parti, di causalità alla base degli eventi di cui è composta, è frutto di un’inguaribile tendenza alla mistificazione, parte di un racconto, per dirla con Ricoeur, che in qualche modo serve come banco di prova alla costruzione della nostra identità, della nostra persona.

Ma a volte questa irrazionalità, la natura fallata della nostra stessa immaginazione, si impone al nostro sguardo con la potenza catastrofica di un’epifania. Siamo esseri soggetti al dispotismo di un desiderio indefinito, come bene insegna Leopardi, ma destinati a non eludere mai, non del tutto, mai quanto vorremmo, il limite che circoscrive la nostra vita, la percezione che abbiamo del mondo e di noi stessi.

Così, invano, il ragazzo umano fantastica di baciare la ragazza bianca, per scoprire poi, con orrore, che l’unico modo per avere quel bacio, è quello di dominarla, di usare la forza. La soddisfazione del suo desiderio implica la violazione del desiderio altrui. E non c’è rassicurazione (e storia rassicurante) che tenga: la storia di ogni desiderio è violenta e imprevedibile. La storia messa in scena da Marinelli è anche la storia di un eccesso, la lotta tra due mondi che non si accetteranno mai per quello che sono. La storia di ogni inclusione, parola terribile, è sempre la storia di un abuso.

Il fantastico arriva quando in noi arriva la tentazione di non sottostare alla tirannia dell’immaginario propulsivo e falso di un ideale sistema di raccordi perfetti attorno al quale continua ad assemblarsi il film della nostra vita. Il fantastico è la tentazione del caos, quel desiderio di commistione totale tra le spaventose contraddizioni che fioriscono in seno a una realtà che è sì quotidiana ma mai davvero addomesticata, una dimensione comunque spaventosa perché imprevedibile, avviluppata nel mistero, non causalmente connessa. Qualcosa sulla quale, proprio come i protagonisti di questa storia, possiamo esercitare solo un controllo fittizio, attraversato da continui cedimenti.

Luca Marinelli, con uno stile asciutto eppure cosparso di brevi luminosi momenti in cui la scrittura di apre a epifanie liriche, racconta proprio il compiersi di questa tentazione nell’animo di persone che prima del giorno fatidico dell’arrivo del pacco non avevano idea di desiderare quell’oggetto che poi si troveranno a contendersi senza esclusione di colpi.

 

La ragazza bianca diventava cose belle e complesse, cose che alla famiglia non aveva quasi mai mostrato, come ad esempio una rosa del deserto, Laocoonte avvinghiato da Porcete e Caribea, Atena apparsa ai savi di Alessandria o il volto fanciullesco di un Arcangelo.

 

L’intera famiglia, quindi, inizia ad usare il cubo, il cubo mima, con un sufficiente grado di approssimazione che non ne compromette l’utilità, il reale ma un certo punto il meccanismo si inceppa, il cubo smette di funzionare. Anche qui la linea tracciata dall’autore sembra suggerire, in una trama segreta della storia, il rapporto tra la scrittura e la rappresentazione del mondo.

 

Prima il cubo bianco ha cominciato a manifestare certi sintomi.

Succedeva, ad esempio, che qualcuno dicesse giraffa rosa, ma il cubo bianco si trasformasse in qualcosa di diverso, che non era esattamente una giraffa rosa ma che a una giraffa rosa grossomodo si avvicinava, come un’antilope rossa.

 

È ancora utile, sembra dire Marinelli, cercare di figurare il mondo con un approccio mimetico? Possiamo davvero ritenerci soddisfatti di questa pretesa fotografia del reale? La storia suggerisce di no. Il meccanismo si inceppa perché qualsiasi ostinato tentativo di ripetere la realtà, di imitare la vita così com’è, mostra la sua evidente obsolescenza e inutilità. Ogni tentativo di esaurire la realtà copiandola è battuto in partenza dalla scelta opposta, quella della sua evocazione intensa e personale. Quando il dispositivo si inceppa siamo costretti, per continuare a usarlo, a farlo diventare qualcosa di nuovo.

 

Lui ha finito di incidere l’esterno del cubo e ha aiutato la sorella a tirare fuori la persona. La persona era una ragazza, molto giovane, esile, nuda e completamente bianca.

 

Ecco allora che dal cubo plastico, dalla sua forma inerme nelle mani altrui, nasce qualcosa di nuovo, qualcosa che sì, può interpretare la realtà, può contribuire alla sua messa in scena, ma senza per questo doverne assumere per intero le sembianze, a costo di perdere qualsiasi elemento di originalità.

La creatura che nasce dal cubo, una ragazza bianca, nuda e muta, così come la scrittura di questo romanzo, è al tempo stesso simile al reale ma anche nuova e gli esiti della sua entrata in scena non sono scontati o prevedibili.

Marinelli sa usare il meccanismo della progressione drammatica per portare il lettore in luoghi deliziosi o spaventosi senza mai perderlo di vista. La storia di una nascita, di questa ragazza bianca e nuda, incomprensibile e a tratti ingestibile, è assolutamente nuova e antica insieme.

 

La ragazza bianca ha preso una torre nera e l’ha ingoiata. È diventata una torre nera.

 

Marinelli dota questa presenza, al tempo stesso attraente e mostruosa, di una caratterizzazione piena di fascino, costantemente in bilico tra quello che è riconoscibile della dimensione umana e quello che le è del tutto estraneo. La ragazza bianca nata dal cubo di plastica diviene da subito oggetto del desiderio del ragazzo ma mostra ben presto di possedere anche la capacità di farsi soggetto che desidera, che ama e che sa scegliere. La ragazza non è umana e forse il linguaggio e le convenzioni tipiche degli uomini non la riguardano ma sa odiare proprio come sanno fanno gli uomini e le donne con i quali si trova a vivere e può essere attraversata dall’ira, ha la capacità di affidarsi o di temere, e anche quella di provare un orgasmo o di mettere al mondo dei figli.

 

Sul suo corpo bianco si vedeva la musica. La ragazza bianca si è guardata la pancia palpitante delle forme viola e inquiete di un sax.

 

Le modalità nelle quale queste impronte di umanità, quanto quelle che la allontanano dalla nostra condizione, si manifestano nella creatura diventano protagoniste dei momenti più coinvolgenti e toccanti del romanzo.

La ragazza ha bisogno per nutrirsi di inglobare oggetti di ogni tipo per poi lasciar trasmigrare dentro di sé la loro essenza materica, assumendo di volta in volta le loro caratteristiche fisiche, ma al tempo stesso è una giovane donna come tante, si affida alla guida di quelli che le sembrano essere i suoi genitori, intreccia una storia d’amore, finisce incastrata in un matrimonio sbagliato nel quale esploderà la violenza.

 

Ha guardato le cose come se fossero un’apparizione mistica o i diorami sui ripiani dei mobili di un certo numero di catastrofi.

 

Il nuovo, in questa storia, e nelle nostre vite, è qualcosa in continuo movimento. La sua evoluzione è inevitabile e inconoscibile.  Può destare scandalo, può approdare a qualcosa che forse saremo tentati di tenere nascosto ma con il quale, lo vogliamo o no, saremo costretti a fare i conti.

Con una storia appassionante, che erige su più livelli il meccanismo di partecipazione del lettore, che sia un lettore che vuole semplicemente essere travolto dai fatti, o che ce ne sia uno più esigente e alla ricerca di un fondo di senso da esplorare analiticamente, entrambi non resteranno delusi, l’autore registra l’urto tra due mondi che potrebbero convivere oppure divorarsi, amarsi o distruggersi.

 

Ha chiuso gli occhi e si è sentito strappato, come se l’avessero aperto con un bisturi e solo la ragazza bianca potesse sigillare quella voragine dalla quale si infiltrava in lui il nulla.

 

Il nuovo preme alla nostra porta, parla un linguaggio che dovremo imparare a conoscere perché smetta di apparirci mostruoso e indecifrabile. Possiamo scegliere di accoglierlo oppure provare a dominarlo, violandolo, possiamo decidere di distruggerlo ributtando su di lui la responsabilità delle nostre azioni, ma per quanto ci farebbe comodo pensare che la ragazza sia in errore nella sua pretesa di essere semplicemente se stessa, tenuta seguire solo le leggi del suo cuore, per quanto possiamo stabilire che sia una provocazione la sua scelta di non assoggettarsi ai nostri rituali, di non sposare le nostre consuetudini, parlare la nostra lingua, agire secondo i nostri valori, incarnare il mondo quale crediamo che dovrebbe essere, per quanto possiamo ammettere come legittima la violenza come unica risposta a quello che non conosciamo dobbiamo anche sapere, e dirlo a parole dentro un romanzo, che questa scelta ha un prezzo terribile. Flessibile Elastica Plastica sembra chiederci: siamo pronti a pagarlo?

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