di Emilio Quadrelli

Eppur si muove! B. Brecht , Vita di Galileo

Ci siamo lasciati il 30 aprile in attesa del Primo maggio, al fine di verificare che cosa avesse in serbo la situazione francese. Nei due precedenti articoli avevamo evidenziato come non fosse proprio tutto oro ciò che brillava insieme alla quantità di ombre e abbagli che le pur non secondarie luci provenienti dalla Francia finivano per celare. Il Primo maggio è passato e, a sto punto, diventa forse possibile iniziare a trarre un primo, per quanto provvisorio, bilancio sul movimento francese. Lo facciamo attraverso le parole di M. L., un uomo del Collectif Autonome Précaires et Chȏmeurs Marseille il quale è sicuramente una delle figure politiche maggiormente significative del Collectif e quella di S. D., del Collectif Boxe Marseilles ma attiva, soprattutto, nel lavoro territoriale la quale, almeno a parere di chi scrive, incarna al meglio quella figura della “avanguardia di lotta” fuoriuscita direttamente dalle esperienze del conflitto proletario. Le interviste possono essere considerate come significative esemplificazioni sia dello “astratto” e del “concreto” sia del “generale” e del “particolare”. Per questi motivi è sembrato più utile e funzionale farle interagire alternandole. Detto ciò partiamo con la prima domanda a M.L.

Per prima cosa vorrei chiederti un giudizio complessivo, quindi tenendo conto di quanto accaduto in tutta la Francia, della giornata del Primo maggio, Parto da qua perché le immagini e i filmati di Parigi ma anche di Lione, in Italia, hanno dato addito a non pochi entusiasmi tanto che, in non pochi casi, si è parlato apertamente di rivolta generalizzata. Questo giudizio, da Marsiglia e dalla Francia, è condivisibile?

No, nella maniera più assoluta. Il Primo maggio francese del 2023 è stato pressoché identico ai normali primi maggi francesi anzi, per molti versi, vi è stato anche un arretramento. Ora provo a spiegarmi. Ci sono stati i soliti scontri con la polizia, le solite vetrine infrante e qualche incendio di auto, una o due a Lione non molte di più. Questa è una cosa che in Francia rientra, e da tempo, in qualcosa che è diventato un rituale. Se prendi i filmati degli altri anni ti accorgerai che sono praticamente sovrapponibili. Dopo poche ore era tutto finito e quindi parlare di rivolta generalizzata mi pare veramente fuori luogo. Mi sembra che siamo completamente dentro alla logica dell’evento e dello spettacolo nello spettacolo. In Francia ci sono gruppi e aree, anche consistenti, che hanno fatto dell’estetica del conflitto il loro orizzonte. In ogni circostanza il problema diventa fare gli scontri, attaccare simbolicamente qualche simulacro del potere per ottenere il massimo effetto mediatico. Queste cose, alle quali noi siamo ormai abituati da anni, lasciano comunque il tempo che trovano perché hanno ben poco a che vedere con la costruzione della forza operaia e proletaria. Del resto questo è un problema che loro neanche si pongono. Il loro agire non è rivolto alla costruzione effettiva di una forza politico – militare operaia e proletaria perché, alla fine, la classe non gli interessa del resto, non per caso, si definiscono ribelli piuttosto che rivoluzionari. Rivolta generalizzata? Il 2 maggio tutta la Francia era al lavoro, ci vuole molta fantasia per chiamare tutto questo rivolta generalizzata. Rendetevi conto, in Italia, che siamo del tutto dentro al mondo del simbolico, un mondo che è proprio del potere e che ha finito con il contaminare anche gran parte del movimento. Se vogliamo, queste cose, almeno come senso non sono molto diverse da quello che si è visto andare in scena in parlamento. L’opposizione si è alzata in piedi a cantare la Marsigliese peccato che si sia guardata bene dal marciare verso Versailles, prendere la Bastiglia e tagliare la testa al re. Mi sembra che Macron non solo goda di ottima salute ma sia anche saldamente in sella. Poi certo c’è anche tutta una parte del movimento che è contro la violenza per principio e che aspira a farsi nuova polizia. Di questi non mi sembra neppure il caso di parlare. Quindi chiudiamo qui la leggenda della e sulla rivolta.

Mi dicevi che, secondo te, vi è stato addirittura un arretramento, perché?

Il fatto che il corteo di Parigi sia stato aperto insieme da CGT e CFDT (Confédération française démocratique du travail)1, è molto significativo. Anche su questo, da quello che leggo, in Italia sono in molti a prendere un abbaglio colossale. Questa esaltazione della CGT, contrapposta alla CGIL, non si può sentire. Ciò a cui punta la CGT è diventare come la visto molto bene nell’ultimo congresso . L’obiettivo, al di là di qualche frase di circostanza, era asfaltare la sinistra e estromettere tutti quei compagni che, sfruttando il vuoto di quadri intermedi che si era prodotto, avevano utilizzato le strutture della CGT per portare avanti pratiche e discorsi che con la linea ufficiale della CGT non c’entravano nulla. Anche noi, quelli che adesso hanno messo in piedi l’organizzazione dei precari, dei disoccupati, delle donne proletarie e le diverse reti interni ai quartieriCGIL e l’abbraccio alla CFDT, sotto questo aspetto, dice tanto. Questo, per chi magari poteva avere ancora dei dubbi, lo si è, per un certo periodo abbiamo sfruttato l’opportunità che nella CGT si era creata ma è stata una esperienza durata solo qualche mese. Sino a quando ci siamo limitati al lavoro sociale, cioè la sala boxe e poco più, abbiamo potuto usufruire dei loro spazi, infatti il Collectif boxe era in una sede della CGT, ma quando abbiamo iniziato a fare un lavoro più politico e sindacale, organizzando appunto i precari e i disoccupati oppure abbiamo iniziato a porre alcune questioni sui quartieri, non ultimo il problema della e con la polizia, siamo arrivati ai ferri corti e per essere del tutto chiari, alle mani. Tra noi e loro non è finita con una espulsione ma con una rissa dove oltre che ai pugni sono volate le sedie e i tavoli. Quello che è successo con noi, in questi giorni, è successo un po’ ovunque. La sinistra è stata fatta fuori e il riallineamento intorno alla CFDT è il dato che emerge. In qualche modo diventa evidente come la CGT intenda accettare il dialogo proposto da Macron il quale, con ogni probabilità, concederà qualcosa ma non certo sulle pensioni e tutto in qualche modo potrà rientrare. D’altra parte credo che sia un passaggio abbastanza obbligato perché vi è una sproporzione enorme tra, chiamiamolo, il “piano di Macron” e le possibilità di risposte che i settori di classe colpiti sono in grado di dare.

In che senso? La cosa non mi è chiara?

Inutile tornare su cosa già dette. Questa lotta è una lotta di un determinato settore operaio e proletario che possiamo definire garantito o aristocrazia operaia. Per sua natura, questo settore di classe, è del tutto interno al modello capitalista anche se, la sua condizione, se la è conquistata dentro lotte e battaglie anche dure ma senza oltrepassare mai un certo limite. La linea di confine di questo settore di classe è ed era la legalità. Per legalità intendo che non si è mai posto il problema del conflitto con lo stato il che non vuol dire che, in termini diciamo sindacali, non abbiano espresso lotte anche molto dure. Però questo è un limite che cozza non poco con ciò che ha in grembo, per semplificare, Macron. Macron vuole azzerare e polverizzare tutte le posizioni di forza e di rendita di questo segmento di classe e, come ha ampiamente mostrato, è disposto a giocare in maniera particolarmente dura. È evidente che la risposta dovrebbe essere di pari livello, ma è proprio qua che nascono i problemi. Può un segmento di classe come questo, che tra l’altro si percepisce come ceto medio, portare lo scontro al livello di Macron? Dovrebbe utilizzare forme, mezzi e strumenti che non stanno assolutamente nella sua ottica. Certo, ed è una cosa importante, anche all’interno di questi settori si vanno delineando alcune piccole fratture le quali, però, al momento non sembrano in grado di contrastare sul serio la gran massa scesa nelle piazze. Tornando al Primo maggio è abbastanza facile osservare come la stragrande maggioranza sia scesa in piazza come se andasse a una festa, una sfilata non certo a innescare una rivolta.

Quindi, a tuo avviso, il settore operaio e proletario strategico è esattamente quello che voi state organizzando?

Sì e anche su questo occorre essere chiari. Molti ci accusano di avere una sorta di innamoramento verso quello che loro chiamano sottoproletariato non capendo che, quello che loro chiamano sottoproletariato facendosi vanto delle categorie marxiste, in realtà è il nuovo proletariato ed è questa condizione proletaria che il comando capitalista tende a generalizzare. Il sottoproletariato ha sempre rappresentato i residui dei processi di modernizzazione tanto che, al suo interno, sono finiti con il confluire sia pezzi di classi sociali stritolate dai salti organici del capitale, sia comparti operai superati dalla composizione tecnica del capitale ma tutto questo cosa c’entra con la condizione del nuovo soggetto operaio e proletario? Questo soggetto è il frutto più avanzato del modello capitalista non certo un residuo del passato. Sotto questo aspetto anche la tradizionale categoria marxista di “esercito industriale di riserva” va svecchiata. La condizione di disoccupato, oggi, ha ben poco di momentaneo e transitorio, ma è una condizione permanente per almeno due buoni motivi: da una parte vi è sicuramente una parte di classe operaia definitivamente espulsa dalla produzione ma la maggior parte dei disoccupati sono, in realtà, lavoratori che alternano costantemente lavoro e non lavoro a seconda delle esigenze del ciclo economico. Ti faccio un esempio molto concreto. Marsiglia sta diventando sempre più una città turistica. Qua apro una parentesi che mi sembra importante. Questo fenomeno non è solo di Marsiglia ma è abbastanza generalizzato. In Italia questa è una cosa che dovreste conoscere molto bene. Tu sei di Genova, una città che conosco abbastanza bene, e avrai ben chiaro quanto il turismo giochi un ruolo centrale nell’economia della città. Il turismo funziona a ondate e quindi è normale che attragga forza lavoro in maniera diversa a secondo dei periodi. In più, il turismo, presuppone una forza lavoro con scarsissima professionalità, continuamente intercambiabile e a costi moto bassi. Diventa evidente, allora, come questo ciclo produttivo impieghi forza lavoro che oscilla costantemente tra lavoro e non lavoro la cui occupazione inteso come luogo fisico, tra l’altro, muta in continuazione. Il ragionamento mi pare semplice. Questa condizione che troviamo nel turismo è in gran parte analoga a quella che possiamo trovare nell’edilizia ma anche tra i metalmeccanici. Noi, come Collectif, abbiamo compagni inseriti in questi ambiti e anche loro attraversano continuamente la condizione di lavoro e non lavoro. Dopo questa breve descrizione torniamo al Primo maggio e a tutto ciò che si sta muovendo in Francia. Torniamo, soprattutto, a quello che per semplificare abbiamo definito come “progetto Macron”. Non ci vuole molto a capire, anche se i più non sembrano in grado di farlo, che Macron vuole allineare la condizione di tutti quei settori di classe garantiti a quella del nuovo proletariato. L’iniziativa sulle pensioni è il cuneo attraverso il quale questo progetto può dilagare. Una volta infranto il tabù il processo andrà avanti e lo farà, questo è molto chiaro, attraverso la costante contrattazione con la CGT. Probabilmente prima che tutto ciò diventi una vera e propria valanga ci vorrà un po’ di tempo, lotte e resistenze ve ne saranno, ma il percorso è tracciato.

Questo vuol dire che la vittoria del “piano Macron” è scontata?

No, per niente tutto però dipenderà da chi, in termini di settore di classe, sarà in grado di prendere in mano la lotta e esercitare egemonia sull’intero corpo di classe. Questa, poi, non è una grossa novità e, almeno per voi italiani dovrebbe essere decisamente scontato. Se l’Italia, almeno per un periodo, è stata la punta più avanzata della rivoluzione in Europa lo ha dovuto al fatto che determinati settori operai sono stati in grado di esercitare egemonia e direzione politica su tutto il corpo di classe. Se il movimento rimane in mano ai settori garantiti Macron non avrà grosse difficoltà a portare a casa il risultato se, al contrario, quella che possiamo chiamare la nuova composizione di classe riuscirà a imporre il suo punto di vista le cose potrebbero cambiare ma, anche su questo, occorre cautela perché questa classe, diciamolo, è abbastanza un casino.

Proprio su quest’ultima affermazione che fa intravvedere come il lavoro all’interno della nuova composizione di classe sia tutto tranne che una passeggiata, lasciamo momentaneamente da parte M. L., per ascoltare S. D. la quale, attualmente, è particolarmente attiva nelle occupazioni abitative del Terzo.

A te vorrei chiedere che tipo di mobilitazione vi è stata nel Terzo a proposito del Primo maggio e quanto il lavoro organizzativo che state svolgendo nel quartiere ha avuto delle risposte tra gli abitanti ?

Molto realisticamente diciamo che vi è stata una risposta a metà, sicuramente delle luci ma anche molte ombre. In piazza abbiamo portato un buon numero di persone, se tieni a mente che questo settore di classe è rimato sempre quasi del tutto estraneo a questo tipo di manifestazioni e, ed è la cosa che a mio avviso risulta più importante, il numero delle donne scese in piazza è stato considerevole. Ovviamente tenuto conto dell’invisibilità abituale a cui queste donne sono costrette. Potremmo anche cantare vittoria, ma farlo sarebbe stupido. Nel Terzo, come sai, abbiamo in piedi questa occupazione che sta dando sicuramente dei buoni frutti e intorno a questa si è costruita una realtà militante importante. L’occupazione è gestita e difesa dagli abitanti in prima persona ed è diventata un momento di socializzazione e punto di riferimento costante della vita del quartiere. Possiamo anche dire che, grazie alla occupazione, nel quartiere vi è vita politica. Ma questo è solo un lato della questione. In realtà, e qua si capisce la difficoltà reale che c’è a costruire un movimento politico dei precari, dei disoccupati e io non mi farei problemi nel dire anche degli illegali, siamo riusciti a portare in piazza neppure la metà di coloro che, invece, stanno attivamente nell’occupazione e, pur con modalità diverse, partecipano all’attività del Collectif. Questo perché, per loro, queste manifestazioni rimangono estranee, non fanno parte della loro storia, della loro vita e non ne capiscono il senso. Ma è anche vero che, nella lotta, le cose si trasformano ma, questo mi sembra il punto centrale, si trasformano e prendono delle pieghe che non devono per forza di cose seguire vecchi percorsi. Siamo di fronte all’emergere di un nuovo proletariato il quale, per forza di cose, avrà modelli, schemi e immaginari diversi dal passato. Questo è ciò che dobbiamo capire. In fondo si tratta di andare sempre a scuola dalle masse. Poi, ti ripeto, possiamo cogliere anche delle cose molto positive, soprattutto a partire dalla presenza importante delle donne.

Vorrei approfondire due aspetti delle cose che hai detto. Partiamo con gli illegali. Che tipo di intervento è possibile ipotizzare nei loro confronti?

Partiamo da una considerazione che serve per comprendere meglio la situazione. Quando parliamo di illegalità parliamo di una situazione la quale, a parte piccole quote, non è stabile. Potrebbe far ridere, ma anche l’illegalità ha la sua precarietà. La maggior parte degli illegali lo è temporaneamente e per il resto tira avanti con lavoretti, spesso in nero. Sono molti, per esempio, i manovali dell’edilizia che stanno in questa condizione. È anche vero che, in molti casi, a prevalere è l’illegalità sul resto ma questo non è un buon motivo per ignorarli anche perché, il farlo, vorrebbe dire tagliare fuori non proprio una piccola fetta di questo proletariato e, per di più, lasciarlo in mano a strutture criminali organizzate che rappresentano esattamente l’altra faccia del potere statale. I rapporti tra polizia e organizzazioni criminali, del resto, non è certo una novità. Nei confronti di queste situazioni molte realtà, mi riferisco in particolare ai compagni che operano nella banlieue parigina con i quali ho un certo rapporto e confronto, hanno cercato, sicuramente in piena buona fede, con un’ottica chiamiamola da assistenti sociali. Hanno formato collettivi sociali, cercando finanziamenti pubblici, al fine di trovare un modo per legarsi ai petit, sono loro quelli maggiormente interni ai mondi illegali, ma non hanno avuto alcun successo. Il motivo è anche semplice, alla fine, dopo tanti bei discorsi l’unica cosa che potevano offrire ai petit era una qualche forma di lavoro precario e sotto pagato. Esattamente la realtà che avevano abitualmente. Non è un caso, quindi, che i petit, per lo più, continuino per la loro strada. I petit continuano a fare gli illegali, a scontrarsi con i flic, a finire in carcere e spesso a morire o per mano delle BAC (Brigade anti-criminalité, create nel 1994) o per dei regolamenti di conti tra loro. Questo approccio, quindi, non funziona e neppure può funzionare poiché, la condizione dei petit, non è una anomalia ma il modello attraverso il quale il capitale governa sulla forza lavoro. Il problema non è trovare delle soluzioni compatibili con questo modello socio – economico, ma lottarvi contro. Lottare contro vuol dire organizzare delle lotte in grado di garantire, sia in forma diretta che indiretta, il salario. Casa e bollette, ne sono una semplice ma significativa esemplificazione ma anche imporre l’abbassamento dei prezzi per quanto riguarda cibo e vestiti rappresentano un ulteriore passaggio. Queste sono le cose che, sin da subito, è possibile organizzare dentro i quartieri. Dopo di che, ovviamente, esiste la questione del salario diretto e della fine della condizione precaria. Questi sono gli elementi unificanti per la gente dei quartieri. Questo il terreno sul quale dobbiamo muoverci, perché solo con e nella lotta possiamo costruire un’organizzazione operaia e proletaria che faccia ottenere dei risultati. Con questo torno un attimo sul Primo maggio. È normale che a questo proletariato che è figlio diretto delle mutazioni radicali del presente, queste ricorrenze dicano poco a questi interessa cosa e quanto una azione, una partecipazione può modificare le loro condizioni, le sfilate commemorative dicono poco. Occorre sempre dare delle prospettive, delle ipotesi, degli obiettivi. Ci sarebbero ancora centinaia di cose da dire ma voglio solo focalizzarmi sulla questione del carcere. Il carcere, non possiamo nascondercelo, è un luogo normale per questo proletariato e lì noi siamo del tutto assenti, lasciando ampiamente spazio al fondamentalismo il quale, invece, dentro le carceri lavora costantemente. A noi, rispetto al carcere, manca una attività come quella delle Black Panther o delle organizzazioni nate dalle lotte nelle carceri italiane negli anni Settanta.

Veniamo alle donne. Mi sembra che questo sia un ambito che offra, a fronte delle indubbie difficoltà, notevoli prospettive. Me ne parli?

Più che volentieri. Nei quartieri le donne sono, per strano che possa sembrare, il vero anello forte. Mentre la popolazione maschile è più prossima alla disgregazione le donne sono quelle che mantengono, o almeno ci provano, i legami familiari e di gruppo. Sono anche quelle che più lavorano e che, proprio in quanto donne e, nel nostro caso, di donne arabe soffrono maggiormente i vari tipi di discriminazione. Questo fa sì che siano proprio loro a svolgere il ruolo di avanguardie di massa e che mostrano di avere più fame di politica oltre a mostrare di saper ragionare in termini politici e organizzativi. Mentre gli uomini vedono tutto e solo in termini di scontro le donne ragionano sull’accumulo di forza, sulla necessità di costruire delle basi solide e durature senza affidarsi agli entusiasmi del momento. Mi sembra importante sottolineare come queste donne proletarie siano del tutto estranee ai discorsi dei vari femminismi che, nei quartieri, non hanno alcuna presa anche perché questi femminismi puzzano di République e loro sanno benissimo quanto la République le sia nemica. Quindi, non è un caso che, proprio sulle donne stiamo concentrando un grosso sforzo organizzativo e politico non solo come ambiti territoriali ma anche come organizzazione dei precari e dei disoccupati.

Sulla scia di quanto ascoltato torniamo a parlare con M. L. Il “concreto” ha messo sul campo non poche questioni che occorre provare a affrontare.

Hai sentito S. D. che ha posto una serie di questioni importanti. In che maniera, come Collectif, ipotizzate di affrontarli?

Cercherò di essere il più sintetico possibile anche se, sulla base delle cose che hai sentito, sarebbe necessario uno spazio maggiore. Bene, veniamo al dunque. La prima cosa che dobbiamo chiarire è che andiamo incontro a una lotta di lunga durata ed è questa lotta che occorre saper organizzare tenendo a mente che la lotta di lunga durata nella metropoli imperialista attuale ha caratteristiche che non possono essere riprese dalle esperienze del passato. Sotto questo aspetto il maoismo è utile, ma sicuramente non riproducibile. Dire questo è però importante perché fa piazza pulita di tutte quelle ipotesi diciamo insurrezionali che vanno sempre alla ricerca di una qualche spallata decisiva. Queste spallate non ci sono e non ci saranno potranno esserci sicuramente dei momenti di altissimo conflitto ma pensare che su quello, e solo su quello, lo stato e il comando crollino è pura illusione. Dobbiamo pensare, quindi, a una lotta di lunga durata dove la forza organizzata operaia e proletaria esercita il suo potere in contrapposizione al potere borghese e statale. Per capirci e pur con tutte le tare del caso possiamo forse parlare di qualcosa di simile al modello irlandese. Quindi centrale è l’organizzazione, ma di quale organizzazione parliamo? Ci sono due modi di concepire l’organizzazione il primo, ed è quello con cui solitamente abbiamo a che fare, mette insieme un gruppo di militanti i quali, seduti intorno a un tavolo e dopo aver formulato tutta una serie di analisi, dicono: Ecco l’organizzazione. Insomma l’ennesimo piccolo gruppo compatto che scimmiotta Lenin. Di queste organizzazioni ne nascono almeno tre al giorno, ma nessuno se ne accorge. L’altro modo di costruire l’organizzazione è quello che non parte dal tavolino ma dalle lotte. È dalla prassi delle masse che diventa possibile costruire organizzazione. Molti diranno che questo è spontaneismo ma, a noi, questo sembra il solo modo per fare interamente nostra la dialettica di Marx, prassi, teoria, prassi. Con ciò, ed è evidente, non sminuiamo il ruolo dei comunisti e dell’avanguardia politica ma questo ruolo ha senso, e funziona perché questo alla fine è ciò che conta, solo se in costante relazione con ciò che la classe esprime. A partire da ciò stiamo cercando di fare un salto tanto politico, quanto organizzativo. Sabato 6 maggio abbiamo organizzato qua a Marsiglia un incontro con una serie di realtà che, in diverse parti della Francia, si stanno muovendo su un percorso simile al nostro. Non pensiamo, e neppure lo vogliamo, uscire da questo incontro dichiarando al mondo: ecco l’Organizzazione, ma costruire dei legami che ci consentano, nell’immediato, di costruire delle campagne di mobilitazione unitarie. Sicuramente il fronte delle donne e anche quello del carcere rientra fortemente nei nostri orizzonti ma, di tutto questo, spero di potertene parlare con più precisione in futuro. Abbiamo lavorato molto per costruire questo momento e vediamo che cosa siamo in grado di raccogliere.

Chiudiamo così questa “Corrispondenza”. Sono troppe le cose sulle quali, in base a ciò che abbiamo ascoltato, occorrerebbe soffermarsi e riflettere. Ci auguriamo di farlo al più presto.


  1. La Confédération française démocratique du travail, o CFDT (in italiano: Confederazione francese democratica del lavoro) è uno dei più grandi sindacati nazionali francesi. Conta il maggior numero di iscritti, e alle elezioni sindacali è secondo dietro alla Confédération générale du travail (CGT).