di Francisco Soriano

È lapalissiano sostenere che l’opera poetica di Ezra Pound, visionaria e babelica, rappresenti ancora oggi un pozzo senza fine per aver tentato e, in parte realizzato, il progetto di integrare nel linguaggio e nella immaginazione poetica tutta la storia della poesia e della letteratura. Per certi versi, i suoi testi ci assicurano misteriosi vagabondaggi e arcani significati che cerchiamo, spesso in affanno, di decifrare o percorrere in terre talvolta sconnesse e buie. L’idea di una vera e propria enciclopedia in versi ispirata dalla Commedia di Dante Alighieri e iniziata nella prima metà degli anni Venti, è sicuramente manifestata nei Cantos, affascinante ricostruzione di un mito, quello poetico, che appare l’unico in grado di sopravvivere e lottare contro il male assoluto dell’era post-rinascimentale, industriale e finanziaria: il capitalismo.

A rendere più chiara questa posizione ideologica di Ezra Pound, di forte antagonismo al modello economico statunitense è stato, più di ogni altro, Giovanni Raboni, con una serie di scritti intuitivi di alcune, in apparenza contraddittorie, posizioni politiche dello scrittore. Il racconto realistico e veritiero, soprattutto, è quello di un uomo che ha interpretato in modo radicale un percorso tipico sostenuto da una parte di intellettuali del suo secolo: quello di concepire un’opera poetica e letteraria che non si allontanasse mai dalla realtà e che fosse parte integrante, in completa osmosi con i propri tempi (anche a costo di divenire corrosivi), e della vita vissuta nel quotidiano. Per questo motivo fondante la poesia è inesorabilmente inclusione, così esageratamente viva e con i piedi ben piantati a terra, tanto da rendere strutturalmente necessario anche l’utilizzo di lingue diverse, storiche e millenarie, come il greco antico, il latino, il provenzale e, infine, il cinese con tutto l’enorme dispendio di energie che il poeta dedicò allo studio e alla comprensione di questo idioma.

 

È stato anche molto discusso quanto sia stato disumano, aspro al limite della comprensibilità, infine indecoroso, l’atteggiamento degli americani nei suoi confronti: per la durezza del trattamento e delle pene a lui inflitte quando ormai la guerra e il fascismo erano giunti al loro tragico epilogo. Questo fatto, infatti, conferma con indiscutibile certezza quanto Pound fosse in antitesi e in lotta contro il sistema economico e finanziario americano e, quanto, i suoi giudici abbiano compreso la “pericolosità” delle sue idee e della sua poesia. Non consola ricordare, quanto siano stati dolorosi e profondamente ingiusti i tempi della prigionia del poeta nei pressi di Pisa, in una gabbia a cielo aperto e privato di ogni diritto, quando concepì i Canti pisani, un’opera di stupefacente e incontenibile bellezza. Infatti, Pound fu accusato di alto tradimento per aver condotto trasmissioni radiofoniche da Radio Roma interpretate dai suoi accusatori come incitamenti antiamericani. In quel campo di concentramento temporaneo, la gabbia all’aperto del poeta era distante e isolata dalle altre e, a lui, non venne concessa nessuna uscita rimanendo al sole e al caldo torrido con modalità che richiamano a una razionale tortura attuata nei suoi confronti. I Canti pisani vennero con molta probabilità composti “a mente”, per poi essere trascritti successivamente e in gran parte da un infermiere che gli diede la sua disponibilità. Dopo un processo kafkiano con una sentenza già scritta, fu ospite dal 1946 al 1958 del manicomio criminale di St. Elizabeth, dopo che “audaci” periti gli diagnosticarono l’infermità mentale. Dodici anni di orrore che minarono il fisico e la mente del poeta, criminosamente, tanto da subire attacchi di panico, depressione cronica e psicosi dopo la sua liberazione, durante la lunga e finale residenza italiana. Fu proprio in quegli anni che gli americani cominciarono una capillare persecuzione con l’ossessione e il terrore del “diverso”, prima che prendesse forma quella particolare epoca di condanne ideologiche definita comunemente come maccartismo.

 

La difficoltà della lettura di Pound si è chiaramente sommata al pregiudizio e all’ostracismo subìti, ma il suo vigore intellettuale ha scardinato anche le ultime resistenze perché egli stesso è la Storia della poesia mondiale e invincibile riferimento di un mondo che sembra rigenerarsi in poesia in ogni epoca. Questa è la grandezza di Ezra Pound, anche perché la sua tecnica di scrittore prevedeva oltre al plurilinguismo, la citazione: modalità assolutamente sorprendente di un numero infinito di poeti e letterati, intellettuali, giornalisti, senza disdegnare espressioni gergali e auliche, frammenti di conversazione, passi giornalistici, ideogrammi e movimenti musicali in spartiti ben armonizzati nella struttura metrica dei suoi versi. Dunque, in tale mosaico e labirinto si è sublimata una “forma unica”, quasi un canone nel panorama poetico e letterario mondiale che consiste nell’aver dato origine in tutto il cosmo alle varie sperimentazioni della poesia moderna, a partire dagli anni Trenta, originando fra l’altro, come sottolinea lo stesso Raboni, la “cosiddetta avanguardia italiana degli anni Sessanta”.

 

Il punto dunque rimane l’appartenenza di Ezra Pound, meglio dire la simpatia al regime fascista, che getta nel disagio i suoi più accesi estimatori. Per questi suoi “errori ideologici” si impone, tuttavia, una domanda seria e ineludibile: quanto questa dinamica abbia influito nella struttura delle sue opere? Le risposte sembrano essere complicate ma, in realtà, sono semplici e ben definite. Ezra Pound era assolutamente certo che il sistema capitalistico rappresentasse il maggior disagio e, infine, la fine perentoria delle nostre società. Il “soccorso” di Giovanni Raboni nei suoi scritti su Pound, è illuminante, ancora una volta: Pound sosteneva che il capitalismo aveva “le sue radici nella società europea post-medioevale, con la fine dei liberi Comuni e l’esautoramento delle corporazioni di arti e mestieri e che, il suo Paese, gli USA, fossero l’incarnazione più coerente e micidiale”. Dopo questa breve disamina sull’origine del pensiero politico ed economico di Pound, si può senza ombra di dubbio stabilire che l’idea antiamericana dello scrittore risiedesse non nel suo fascismo, neppure accennato come ideologia nei suoi Cantos, bensì “l’anticapitalismo utopistico” intriso (come non poteva essere altrimenti!) di spirito umanistico, che faceva da controcanto al ritorno di un mondo antico che assicurasse alle società più giustizia e armonia, soprattutto al di fuori della speculazione e dell’aggressione della finanza. Ed è proprio in questo momento che Ezra Pound si scaglia contro un mondo (come dargli torto) che, basato sull’usura e lo sfruttamento, avrebbe inesorabilmente posto i popoli gli uni contro gli altri.

 

Il Canto XLV ne rappresenta il senso e risulta essere la chiave di lettura macroscopica di questo pensiero anti-usura. L’usura è la pratica del male assoluto, la radice di ogni disarmonia passata e futura, che avrebbe consegnato le chiavi della storia e del potere a banchieri e banche nella loro sete smisurata di accumulazione delle risorse finanziarie. Il Canto in questione ha come titolo Contro l’usura. Forza espressiva e verità, neppure così visionarie, rendono questo testo di lungimirante bellezza. Condividere in parte le concezioni economiche di Pound non vuol significare, giustificare o legittimare alcune responsabilità politiche, ma varrebbe la pena addentrarsi in alcune sue metafore per meglio incasellare il suo pensiero nella enorme produzione lirica e letteraria. Una cosa è certa: non è azzardato dire che le sue idee non fossero mai contro l’uomo e a favore della violenza, della tirannia e della persecuzione e che, in questo senso, nulla può essere letto nei suoi versi in senso autoritario neppure in forma episodica.

 

Se la sola ideologia di un artista è la sua scrittura o qualsiasi altra opera, si finirebbe per censurare gran parte della produzione artistica mondiale, a cominciare forse da Dante per le sue “simpatie imperiali”, come deduceva il professor Piero Sanavio, di formazione antifascista e di sinistra, accademico in diverse università del mondo e da anni studioso di Pound fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2019. Non giustifica certo l’atteggiamento gravissimo tenuto da Pound nell’utilizzo di certi stereotipi linguistici, gli stessi che avrebbero acquistato, nelle odiose leggi antisemite nazifasciste, risultati orribili e imperdonabili. Nei radiodiscorsi apparivano, in contesti legati al mondo finanziario, in relazione alla parola “ebreo”, dichiarazioni che avrebbero condotto alla formazione di un’idea, per certi versi legittima, di Pound come un razzista antisemita. Chiarita questa responsabilità, non sembra senza significato citare testi in cui lo stesso poeta aveva scritto che “gli usurai non hanno razza […] e che l’usura internazionale contiene più calvinismo e settarismo protestante che giudaismo” (The letters of E.P., London, 1951, 14 novembre 1935); così come, nel numero del 15 aprile 1940 del “Giornale di Genova”, nell’articolo “Nego”, Pound se la prendeva contro i banchieri che specificava come “ariani ed ebrei” insieme. Furibonda fu la sua opposizione a Roosevelt, accusato fra le imperdonabili responsabilità a lui addebitate dallo scrittore, quella di aver imposto la speculazione sull’oro e l’argento. Questa misura diede respiro alle istituzioni finanziarie, ma fece quasi finire in bancarotta gli stati debitori, come ad esempio l’India, così globalizzando la crisi. Inoltre, lo Pound ricordava che il New Deal non redistribuì alcun debito, anzi si occupò prevalentemente della grande industria finanziando l’operazione economica su citata con il denaro dei contribuenti. Ezra Pound inoltre fu un pacifista e il suo “pacifismo programmatico” nulla ebbe a che fare con il regime nostrano: era nato ai tempi di Verdun e Ypres, località/belliche ricordate come i luoghi delle battaglie della prima guerra mondiale fra le più orribili e sanguinose, narrate dai War poets, finalmente tradotti in Italia da Paola Tonussi. Fu in quel periodo che Pound si recava presso Lord Asquith e Ottoline Morrell, affinché si attivassero per impedire che artisti e scrittori fossero mandati al fronte.

 

Inspiegabile in questo caso, dunque, l’atteggiamento di “simpatia” poundiano nei confronti del fascismo e, se non inspiegabile quanto meno contraddittorio, sia per la vocazione alla guerra del regime, sia nel voler vedere la possibilità in questo contesto, di un possibile adattamento a una economia preindustriale come quella italiana degli anni Venti a certe idee che appartenevano alla Virginia del 1700. Neppure è di poco rilievo citare la sua simpatia e fiducia in uno stato corporativo come soluzione dei conflitti sociali e sottolineare alcuni suoi “flirt” con il partito comunista americano e la collaborazione con la rivista New Masses. Altre fonti citate da Piero Sanavio nella sua introduzione ai  ”Radiodiscorsi” di Pound, come simpatie poundiane a sistemi economici di un certo tipo, si riscontravano in altri progetti estremi pensati in terra americana, come quelli definiti nel The law of Civilization and Decay di Brooks Adams e Barbara Williers or a History of Monetary crimes di Alexander del Mar.

 

Ezra Pound aveva già i biglietti con sé per un passaggio sull’ultimo convoglio diplomatico che sarebbe servito al rimpatrio dei cittadini americani, che il governo statunitense aveva messo a disposizione nei giorni convulsi a ridosso della fine della guerra. Fu un’autorità consolare americana, a Roma, a non concedergli il visto per il suo ritorno in patria. Fu in quel contesto che continuerà la sua collaborazione radiofonica con il regime, sicuramente per arroganza personale e perché, forse in modo ingenuo, come dichiarerà durante il processo “si appellava al diritto di ogni cittadino americano di esprimere la propria opinione come sancito dalla Costituzione”. Bisogna ancora ricordare che lo scrittore faceva precedere ogni sua trasmissione radiofonica da una dichiarazione EIAR, consistente nella seguente dicitura: “il dottor Pound esprime le sue opinioni in modo personale senza alcuna obbligazione, da parte del governo italiano, di fare opera di propaganda”. La collaborazione del poeta con la radio avvenne prima dell’entrata degli USA in guerra e continuò dopo l’attacco a Pearl Harbour. In quel contesto, inoltre, volle spiegare agli americani la sua opposizione a Roosevelt e al conflitto. Non fu dimenticato né perdonato questo aspetto dagli americani che, come spesso abbiamo assistito, si vendicarono.  Lo stesso Pound si rivolgeva alle autorità svizzere, autoconsegnandosi, proprio dopo l’accusa di alto tradimento e si rivolgeva all’Avvocato Generale degli USA spiegando tutte le sue ragioni. Si consegnò alle truppe americane nell’aprile del 1945 che occupavano la Liguria, a sessant’anni, dicendo: “Se non valgo più da vivo che da morto […] eccomi qua. Se un uomo non è pronto a rischiare qualcosa per le sue idee, o le sue idee sono sbagliate o è lui che è sbagliato”.

 

In un radiodiscorso indirizzato agli americani e agli inglesi, del 30 marzo del 1942, dal titolo Pattern (Il Modello), affermava (estratti dal discorso originale):

 

“Quando il popolo americano e inglese prenderanno nota del modello, lo schema secondo il quale si fanno le guerre, non una guerra, ma le guerre, al plurale? Si potrebbe risalire alla data d’inizio di QUESTA guerra del 1696, quando venne inoculato nel popolo inglese il virus della morte, silenzioso e invisibile, più mortale della sifilide. La Banca d’Inghilterra, creando il denaro dal NULLA, e prelevando i tassi di interesse. Beh, non potete essere studenti di storia. Cercate di tornare a ciò che ricordate, se siete oltre i quarant’anni. Come ebbe inizio l’ultima guerra? L’assassinio a Sarajevo. Riconsiderate le uccisioni che sono servite come scintille per le guerre.  E guardate quelle che le hanno scatenate, ma la miccia in qualche modo si è bagnata. […] Fate i collegamenti. PENSATE a come possono essere stati in passato. Servirsi di un popolo, mandare un popolo in guerra IMPREPARATO significa distruggere un popolo. […] Roosevelt e Churchill, per esempio, che hanno gettato in guerra l’America e l’Inghilterra. Questa è la prima fase. Trascinare i propri popoli in guerre che NON POSSONO VINCERE. In Inghilterra nel 1938 SI SAPEVA DI PERDERE. […] Un esperto militare disse, a me straniero: “Perderemo l’India e tutti i possedimenti orientali”. EBBENE, perché non ASCOLTARONO questi uomini? Perché il popolo britannico non ascoltò LORO, invece di dar retta a dei porci? Come mai? Gli Astor, il Times, il Manchester Guardian, e gli altri. Il fratello usuraio a capo degli usurai diresse la Bbc, prima che la stalla venisse ripulita, e venne rimpiazzato da un traditore del popolo inglese ugualmente menzognero, seguito da un altro figlio di puttana e da un bastardino di Churchill. […] Proclami per la prosecuzione del conflitto (e non per la persecuzione dei bastardi che l’hanno causato). […] E il bombardamento di PARIGI? Come vi ho già detto, NON è stato compiuto per ragioni militari, ma per PREVENIRE la fine delle guerre: è stato per inasprire gli animi dei francesi, cosicché non vi potrà essere alcuna pace tra la Francia e l’Inghilterra. Eh si, trasciniamo altri Paesi, nella speranza di strappare la Martinica e il Magascar. Ma, per amor di Dio, analizziamo il modello, analizzate questa POLITICA, analizziamo il modello: come si presenta? Oggi sta facendo di tutto per la prosecuzione della guerra?

 

Anche questo era Ezra Pound, attualissimo anche oggi, il folle condannato (invano per i suoi persecutori e detrattori) per dodici anni all’oblìo e alla pena: il pozzo senza fine di ieri e dei giorni che verranno.

 

Bibiografia:

  • “Pound, Radiodiscorsi” – Introduzioni contrapposte di Andrea Colombo e Piero Sanavio. Edizioni del Girasole, Ravenna – 1998
  • Piero Sanavio – “La gabbia di Ezra Pound” – Fazi Editori, Milano, 1986
  • “Ezra Pound – Canti I -VII tradotti e annotati da Patrizia Valduga, con uno scritto di Giovanni Raboni. Edizioni Mondadori, Milano – 2022
  • Giovanni Raboni – “Autori politicamente scorretti”, sul “Corriere della Sera” – 18 maggio 1997 (su Marcello Simonetta, Pound poeta di regime)
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