di Giovanni Iozzoli

Michele Colucci, Stefano Gallo, Enrico Gargiulo (a cura di), La residenza contesa. Rapporto 2022 sulle migrazioni interne in Italia, Il Mulino, Bologna, 2023, pp. 207, € 21,00

In questo interessante volume di recente uscita, i curatori affrontano un intreccio tematico ricco, intricato e di forte impatto politico: il rapporto tra residenza anagrafica, diritti sociali, diritto all’abitare. Un groviglio di questioni solo apparentemente di pertinenza dello studioso – e infatti il libro assume un taglio generale e di largo accesso. Infatti, i frenetici flussi odierni di popolazione, soprattutto dentro le metropoli italiane, viaggiano a ritmi più rapidi di uno schema, ancora prevalente, che subordina i diritti di cittadinanza ad un riconoscimento burocratico in cui il concetto tradizionale di “residenza” resta centrale.

Che fare quando centinaia di migliaia di persone – inclusi nuclei familiari e minori – non hanno la condizione per rientrare dentro i parametri classici della residenza? I problemi “storici” delle grandi occupazioni di immobili in città come Roma o Napoli, o i problemi d’inclusione di chi è arrivato in tempi più recenti da oltre frontiera, si intersecano tutti con le questioni sollevate dal libro.

Quindi, nonostante il taglio scientificamente rigoroso, di carne viva si sta parlando, non di statistica o sociologia. La ricerca è curata, oltre che dal prof. Gargiulo, dell’Università di Bologna, da Michele Colucci e Stefano Gallo, ricercatori del CNR, da anni impegnati nello studio dei fenomeni migratori e validi rappresentanti di una “sociologia militante” che assume l’analisi dei processi sociali dentro un orizzonte critico e trasformativo.

Riportiamo qui brevi stralci dell’introduzione

«La spinta a occuparci del tema della residenza, oggetto di questo volume, ha origine da un’evidenza con cui hanno fatto i conti generazioni di funzionari pubblici, scienziati sociali, osservatori e soprattutto persone in carne ed ossa, preoccupate di non trovare nei registri ufficiali un riscontro effettivo della propria esistenza. […] Soprattutto in età contemporanea, la certificazione anagrafica della residenza rappresenta una sorta di certificazione di esistenza in vita. Quando tutto fila liscio, quando la corrispondenza tra residenza reale e residenza legale non viene messa in discusssione, la questione non si pone. Ma appena sorgono problemi, intoppi o dinieghi, la questione può balzare agli occhi come un ostacolo insormontabile alla fruizione dei diritti più elementari. […] Il tema rappresenta una costante nelle inchieste sociali sull’Italia contemporanea fin dagli anni della ricostruzione post-bellica e del miracolo economico. Come verrà analizzato approfonditamente in diversi contributi del volume, l’Italia repubblicana eredita dal fascismo una legislazione che vincola il cambio di residenza da un comune all’altro (e quindi il diritto ad un percorso migratorio non irregolare) alla sussitenza di un contratto di lavoro nel luogo di destinazione. Questo “peccato originale” dell’Italia repubblicana produce immediatamente effetti sociali pesanti, aumentando le diseguaglianze e le discriminazioni: chi si sposta nelle medie e grandi città e non è in grado di rispettare i requisiti per il cambio di residenza viene privato della possibilità di iscriversi all’anagrafe e, quindi, di numerosi dirittti fondamentali. A essere interessate all’esclusione anagrafica sono fasce ampie e numerose della popolazione: circa un milione di persone alla fine degli anni cinquanta». […]

«Negli ultimi anni in Italia il peso dell’uso della residenza come strumento di accesso e negazione dei diritti sociali e civili è cresciuto in maniera esponenziale. Tale crescita ha conosciuto due momenti di grande visibilità pubblica, sui quali si soffermano lungamente alcuni contributi del libro: l’approvazione del “Piano casa” nel 2014, attraverso la cosiddetta “Legge Renzi-Lupi” e l’approvazione dei decreti sicurezza nel 2018 ad opera dell’allora ministro dell’Interno Salvini. Il tema della residenza ha quindi conosciuto un’inattesa popolarità, dovuta alle polemiche e alle proteste che hanno accompagnato tali provvedimenti. […] L’esclusione dalla residenza rischia di assumere in un futuro prossimo connotazioni discriminatorie ancora più subdole e sottili. Le trasformazioni tecnologiche che ormai da diversi anni stanno interessando l’anagrafe, rappresentano, almeno potenzialmente, nuovi filtri all’ingresso: il processo di digitalizzazione, soprattutto a seguito del passaggio ormi compiuto dalle anagrafi comunali a una Anagrafe nazionale della popolazione residente (Anpr), si sta traducendo nell’utilizzo di strumenti di identità digitale – Spid, Cie e Cns – quali vie d’accesso obbligate alle procedure amministrative. Per entrare in possesso di questi dispositivi, tuttavia, è necessario disporre di un documento di identificazione, il cui rilascio ha quasi sempre come prerequisito l’iscrizione in anagrafe, e di un certo grado di risorse cognitive, informatiche e infrastrutturali. Chi ne è privo , per ragioni di età, condizioni di vita, reddito o altro, rischia di rimanere tagliato fuori dalla possibilità di ottenere la registrazione, con tutte le conseguenze negative. […] Da questa prospettiva, le scienze sociali sono chiamate a fornire un contributo fondamentale, superando in primo luogo alcune semplificazioni terminologiche e concettuali. Generalmente, infatti, l’esclusione anagrafica ha determinato, tanto a livello scientifico quanto a livello politico e mediatico, la tendenza a considerare “invisibili” i cittadini abitanti ma non residenti. Un’immagine del genere, tuttavia, non fa giustizia di quanto, ieri come oggi, questi cittadini abbiano fatto di tutto per rendersi “visibili”. […] Per comprendere fino in fondo le origini e le conseguenze delle contraddizioni angrafiche e del tema della residenza è necessario allora riformulare la questione in termini di “invisibilizzazione”, enfatizzando cioè il fatto che la condizione di invisibilità – salvo rari casi – non è il frutto di scelte individuali ma è l’effetto di azioni istituzionali, più o meno deliberate ed esplicite, che rendono le persone “invisibili” in senso amministrativo».