di Carlo Modesti Pauer

(Seconda parte)

L’autore

Raoul, figlio di Cléophas Roy e Anastasie Poulin, una coppia di agricoltori cattolici, nasce a Beauceville in Québec il 15 luglio 1914. Alla vigilia della Depressione, la famiglia comincia ad avere problemi economici e, nonostante il suo grande interesse per la lettura e la storia, al giovane Raoul è impedito proseguire gli studi. Dopo un tentativo fallito di avviare una sua attività agricola, a diciassette anni – nonostante i dubbi sulla sua vocazione religiosa – entra in un seminario dei domenicani come fratello laico, probabilmente per migliorare la sua educazione e sfuggire alla mancanza di risorse culturali nella sua comunità. Ne esce dopo un anno; d’estate torna a lavorare la terra di famiglia, d’inverno riprende l’attività come taglialegna, cosa che farà per il resto degli anni Trenta. Intanto osserva la difficile situazione della gioventù franco-canadese nei cantieri, che gli infonde un nazionalismo già radicato. Ma l’esperienza decisiva sarà probabilmente il soggiorno a Montreal, dove va a lavorare intorno al 1935. Non parlando inglese, Roy è profondamente colpito dal “volto britannico” della città, dall’inferiorità economica dei franco-canadesi e da ciò che giudica snob o convenienza anglofila. A Montreal frequenta la biblioteca comunale, dove legge la collezione della rivista Action nationale grazie alla quale migliora la sua formazione intellettuale e consolida il suo nazionalismo. Dopo un anno nella grande città, torna a Beauce e si abbona al quotidiano nazionalista radicale La Nation, che alla fine degli anni 30 promuoveva l’indipendenza politica del Canada francese.

In cerca di risposte e conferme, insoddisfatto della sua educazione culturale, dal 1937 al 1939 scrive diverse lettere a Lionel Groulx, sacerdote cattolico, professore, storico e intellettuale nazionalista che insieme a Henri Bourassa è considerato la figura più eminente del nazionalismo franco-canadese nella prima metà del XX secolo. Sono lettere piuttosto confuse, in cui il giovane Roy sembra in conflitto con sé stesso: da un lato c’è il suo gusto per le idee, la storia e la difesa della nazione; dall’altro, affiora il suo desiderio di essere fedele alla vita tradizionale di un contadino, che ritiene però corrispondere a una condizione umana diminuita sul piano intellettuale e materiale, situazione che crede in gran parte dovuta al disprezzo dei governi per l’agricoltura. Questa condizione ingrata dei lavoratori sul campo e dell’intera nazione richiede, secondo lui, un cambiamento radicale dell’equilibrio economico che romperebbe con l’immobilità di cui beneficiano i trust capitalisti. E tale energica presa di potere, Roy la concepisce sull’esempio dell’Italia fascista e del Portogallo corporativo di Salazar, famosi all’epoca – e soprattutto su giornali come La Nation – per le loro riforme agrarie, interpretate come difesa di una classe fondamentale.

Il fascismo è concepito da Roy come un mezzo radicale per liberare il popolo franco-canadese dal potere dei capitalisti e dalla minaccia che gli anglosassoni rappresentano per la nazione, piuttosto che come un baluardo contro il comunismo, una dottrina che sembra invece attrarlo. In un passaggio della prima lettera di Roy a Groulx si coglie bene lo stato del suo pensiero nel 1937 sulla questione: “Anche se odio la guerra, sono un fascista perché credo che noi canadesi abbiamo bisogno più di ogni altra persona di un pugno di ferro per tirarci fuori dal pasticcio in cui siamo caduti. Credo che abbiamo bisogno di un leader – uno vero [corsivo ns.] – che guidi il nostro popolo dalla povertà alla ricchezza materiale e intellettuale e se non fosse possibile essere fascisti pur essendo cattolici bene allora sarei fascista comunque”.

Durante la guerra, Roy lascia Beauce e si stabilisce definitivamente a Montreal, dove ricopre diversi lavori nell’industria aeronautica fino alla fine del conflitto. Nel frattempo, riprende a frequentare la biblioteca nei cui scaffali scopre un libro del pastore Decano di Canterbury, Hewlett Johnson (Premio Lenin per la pace 1950), che trasformerà la sua percezione dell’Unione Sovietica e del socialismo. In realtà è un riassunto bilingue del libro dello stesso Johnson The Socialist Sixth of the World (1939), in cui l’URSS appare in una luce molto più favorevole di quanto Roy l’avesse mai vista sulla stampa quebecchese del periodo. Nella lettura, rimane colpito dal trattamento favorevole riservato dall’Unione Sovietica alle culture ‘senza scrittura’, comprendendo – da autodidatta qual era – come il programma comunista avrebbe consolidato per molti di questi popoli, ‘alfabeti’ che gli avrebbero permesso di sviluppare una letteratura, quindi un’identità nazionale.

Nel 1945 si diploma all’Università di Ottawa in “Fondamenti di cooperazione” e riprende la formazione come assistente ingegnere in Ontario al British Commonwealth Air Training Plan. Contemporaneamente, sulla scorta delle letture e alla luce della sconfitta del fascismo italiano, si presenta al Partito Laburista Progressista (nuovo nome del Partito Comunista del Canada) che ha pubblicato l’opuscolo di Johnson, e chiede informazioni. Danièle Cuisinier – importante attivista della sezione Québec – gli spiega che il P.L.P. (P.O.P. in francese), vinte le elezioni avrebbe concesso una “Repubblica francofona” ai canadesi francesi, persuadendolo definitivamente dell’opportunità di iscriversi al Partito.

Il 23 novembre 1946, esce il primo numero del settimanale comunista Combat dove il compagno Raoul – che vi collaborerà per un anno – scrive nella presentazione: “La nostra rivista esige il rispetto dei diritti nazionali, politici ed economici dei canadesi francesi. Noi ci opponiamo a un Louis St-Laurent quando pretende che il Parlamento del Canada possa legalmente abolire l’uso del francese come lingua ufficiale. Sull’autonomia provinciale, non ci fermiamo alla sterile e, in fondo, antinazionale dottrina di Maurice Duplessis. Chiediamo misure per frenare il potere dei trust, per raggiungere l’uguaglianza nazionale, economica, politica e sociale di francesi.”

In linea con la visione di Roy, ovvero attenuare gli elementi che avrebbero potuto facilmente dispiacere ai franco-canadesi, sul piano religioso il settimanale evita l’anticlericalismo, anzi, riporta frequentemente le parole di ecclesiastici europei a favore della cooperazione con i socialisti, oppure smentisce decisamente l’immagine persecutoria del regime sovietico, raccontata dalla propaganda avversaria. Per il giornale, Roy firma la maggior parte dei suoi articoli dell’epoca (collabora anche con il quotidiano Searchlight, della Canadian Seamen’s Union, il sindacato marinai), tra questi scritti spiccano alcuni reportage, gli appunti di viaggio in Europa e un’indagine sui giovani. In una delle sue inchieste, affronta un caso di importazione di manodopera straniera a basso costo a Beauce, la sua regione natale. Ludger Dionne, un industriale di Saint-Georges de Beauce che sedeva alla Camera dei Comuni, aveva introdotto dalla Germania un centinaio di giovani polacche che si erano impegnate a lavorare a basso salario per due anni nelle sue fabbriche di rayon ed erano state costrette a dormire e mangiare in un convento. Su Combat, Roy presenta questa operazione come schiavitù e grave minaccia per la classe operaia canadese, perché esercita una spinta al ribasso sui salari, sottolineando l’“ipocrisia” dell’autonomismo di Duplessis piegato davanti ai trust capitalisti e ai banchieri di Wall Street. Così, socialismo e nazionalismo si fondono attorno al tema dell’immigrazione pilotata, la liberazione dei lavoratori canadesi richiede la socializzazione dell’economia, che è pensata in parte come una resistenza contro l’imperialismo americano, un tema molto presente in La Revue socialiste che Raoul fonderà dodici anni dopo e dove, ormai all’inizio degli anni Sessanta rifiuterà di associare la parola “nazionalismo” alla sua dottrina matura preferendo la definizione di “socialismo decolonizzante”.

Intanto, nell’autunno del 1947 alcuni importanti attivisti franco-canadesi accusati di frazionismo e “movimento nazionalista” lasciano il Partito, causando l’uscita di gran parte dei membri franco-canadesi del P.O.P. compreso Roy, il quale perde poi nel ‘49 il lavoro come dipendente (era traduttore) della “Canadian Seamen’s Union” travolta dalla grave crisi politica dovuta all’affiliazione comunista. Negli anni ’50 smette di pubblicare e apre una merceria che chiude all’inizio degli anni Sessanta per sostituirla con un caffè, il Mouton pendé, di scarso successo commerciale ma importante luogo d’incontro per i “cospiratori”. Nel 1959, riprende l’attività politica pubblica fondando la “Ligue de la main-d’oeuvre native du Québec”, un’operazione di breve durata che combina nazionalismo e socialismo in chiave peronista nella lotta per controllare e fermare l’immigrazione, una preoccupazione che rimarrà centrale nel discorso di Roy fino alla fine degli anni 70. Fallito il progetto della “Lega”, il 9 agosto 1960 dà vita ad “Azione Socialista per l’Indipendenza del Québec” (ASIQ), un altro piccolo gruppo indipendentista (anche questo con poche decine di affiliati) con una decisa impronta di sinistra anticolonialista che eserciterà però una forte attrazione sul movimento rivoluzionario degli anni Sessanta e Settanta. Questo ritorno all’attivismo concreto va inquadrato nella preoccupazione che la lotta per l’indipendenza del Québec, durante il periodo ’50-’59, stava scivolando in una prospettiva troppo legata alla destra e ciò per un uomo sinceramente di sinistra come si considerava lui, appariva intollerabile. Soprattutto perché lo spirito del tempo mostrava a un Roy ormai prossimo ai 50 anni, una tensione progressista che rifiutava in tutto l’Occidente i valori e i modelli di destra, in particolare nell’immaginario delle giovani generazioni nate tra l’inizio e la fine della Guerra.

In La Revue Socialiste, che pubblica dall’aprile 1959, spiega che “i canadesi francesi formano un popolo colonizzato e quasi interamente proletario, occupato da una classe medio-alta colonialista di lingua e di cultura straniera”. Il Québec è quindi una “nazione proletaria” e i quebecchesi sono una “classe etnica”. L’interpretazione di Roy è confortata dalle successive rilevazioni statistiche del 1961 su questo argomento: tra i quebecchesi di lingua francese e di lingua inglese, il divario di reddito medio è del 35%; nella scala salariale, i francofoni sono al dodicesimo posto su 14 gruppi etnici, appena davanti agli italiani[1] e ai nativi americani.

Anni di attivismo politico, in questo scenario di “azionismo giovanile”, danno nuovi frutti. Anche perché il clima pare favorevole. Nel 1961, dalla Francia giunge notizia che l’8 gennaio, grazie a un referendum, Charles De Gaulle[2] ha ottenuto i pieni poteri per negoziare con i nazionalisti algerini. Un segnale incoraggiante, cui si aggiunge la triste notizia del 17 gennaio, quando a Elisabethville è assassinato l’ex-primo ministro congolese Patrice Lumumba[3], padre nobile della lotta per l’indipendenza del Congo. Ma l’eco delle lotte nel quadro della decolonizzazione in mezzo mondo è crescente, perfino dall’Italia giungono informazioni in questa direzione che trovano l’apogeo in quello stesso 1961, quando in Alto Adige tra l’11 e il 12 giugno[4] un gruppo di autonomisti sudtirolesi aderenti al BAS, “Befreiungsausschuss Südtirol” (Comitato per la liberazione del Sudtirolo), compie numerosi attentati dinamitardi. È la “notte dei fuochi” in cui decine di ordigni al plastico provocarono l’abbattimento di altrettanti tralicci dell’alta tensione con l’obiettivo di gettare la regione in crisi per shock elettrico da blackout.

Ecco dunque che nell’autunno del 1961, i primi graffiti fioriscono sui muri di Ottawa, Hull, Montreal e Québec: “Abbasso la Confederazione! Viva il Québec libero!”. Il vicepresidente del RIN (Rassemblement pour l’indépendance nationale), Marcel Chaput, biochimico, giornalista e militante, pubblica un’opera scioccante che diventa un best-seller Pourquoi je suis séparatiste (Perché sono separatista, 1961). Eletto subito dopo presidente del movimento, perde il lavoro come funzionario federale. Poi, il 1° luglio 1962, durante il Canada Day (festività nazionale del Canada, sorto nel 1867), allora chiamato Dominion Day, nuovi graffiti appaiono sui muri di Montreal. In Dominion Square, sull’imponente monumento eretto in memoria di Sir John A. MacDonald, uno dei padri della federazione canadese, si legge un’iscrizione ironica: “Sono un separatista”. È stato dipinto di rosso durante la notte da un giovane di 18 anni del RIN, Jacques Giroux, che sarà uno dei primi militanti del FLQ.

Poco prima, alla vigilia del 24 giugno 1962, festa regionale dei franco-canadesi, si registra un’altra operazione di “commando”. A Montreal è denunciato il furto di una pecora che doveva partecipare alla tradizionale parata di Saint-Jean-Baptiste insieme al santo patrono della nazione. Il rapimento è rivendicato da un misterioso ed effimero Movimento di Liberazione Nazionale, che vuole denunciare questo “simbolo di sottomissione e alienazione”[5]. Il colpo di mano è stato compiuto da studenti membri del RIN, alcuni dei quali si sarebbero uniti al FLQ. Per tutta l’estate del 1962, le azioni dirette sono registrate quasi ovunque, pitturando le iscrizioni in inglese sui segnali stradali e dipingendo lo slogan ‘Québec libre’ sui muri di vari edifici e monumenti. Tutti questi gesti, solo apparentemente innocui, sono il prodromo di metodi d’azione molto più radicali che verranno. Intanto, in “La Revue Socialiste” sotto il titolo Efficacité de la violence (n. 6, autunno 1962), Raoul Roy scrive su queste “operazioni pittoriche” e le altre attività dimostrative di propaganda organizzata fuori dal recinto istituzionale: “In queste forme di azione, un certo numero di giovani coraggiosi, ardenti e audaci si sono sporcati le mani, per così dire. È probabile che tutto questo continui. Può essere visto come un allenamento per una lotta più dura”. E aggiunge: “Siamo un popolo pacifico, pacifista e civile. È un’eredità da mantenere. Ma sarà forse necessario fare dei capricci nonostante tutto, per sferrare colpi molto spettacolari contro il colonialismo. A meno che i separatisti del Québec non si accontentino di elezioni in elezioni di una piccola percentuale di voti, come stanno raccogliendo i separatisti di Porto Rico, sarà necessario considerare altre forme di azione più suscettibili di scuotere e sconvolgere l’apparato dell’occupazione colonialista in Québec”. Per concludere con decisione: “Siamo a questo punto e non ci resta altra alternativa che la violenza per farci sentire”. Non è un caso se oggi Raoul Roy sia considerato da molti il ​​padre spirituale del Front de libération du Québec (FLQ).

Fondato nel 1963, il FLQ è il nome collettivo usato da diverse reti di attivisti e cellule autonome che sostenevano l’azione diretta e la lotta armata per ottenere l’indipendenza del Québec, da realizzare all’interno di un’insurrezione di ispirazione social-comunista che avrebbe condotto al rovesciamento del governo, all’emancipazione dal Canada e all’istituzione di una società operaia. Infatti, nel quadro politico l’impulso della “Révolution tranquille” negli anni Sessanta che condusse la regione al riconoscimento linguistico (il diritto di lavorare in francese), alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, alla creazione di banche e aziende nazionali, aveva un’impronta marcatamente liberale che lasciava scoperte le questioni di classe, ispirandosi piuttosto al modello socioeconomico degli USA. Con il FLQ entra in scena la nuova generazione, che vuole rompere tanto con la riluttanza e la sclerosi retrospettiva dei suoi predecessori nazionalisti, quanto con la federalista e antinazionalista caparbietà della vecchia sinistra liberale e sindacale. Questo processo non è opera solo di giovani intellettuali, come s’è brevemente riassunto ma fu voluto e costruito dall’impegno dottrinale e polemico intrapreso da studiosi e militanti nati prima della generazione del Parti pris[6], quali – appunto – Raoul Roy. È lui a indicare gli avversari da combattere che sono, nell’ordine: il dominio politico di Ottawa; il dominio economico anglo-canadese; il dominio economico americano che sta raggiungendo in Québec e Canada un ritmo ineguagliato nel mondo intero; il dominio del capitalismo franco-canadese; e, infine, l’influenza del clericalismo. La soluzione, secondo Roy, è “l’assoluta indipendenza del Québec e la liberazione nazionale-proletaria dei franco-canadesi”. L’indipendenza è una condizione per la costruzione del socialismo e non ci sarà vera liberazione senza “un socialismo del Québec adattato alle condizioni particolari del Nord America”.

All’alba del 12 aprile ’62, dopo le prime azioni di quello che a breve diventerà il FLQ, la polizia lancia un’operazione di rastrellamento negli ambienti separatisti, il cd. “raid del Venerdì Santo”. Muniti di mandati per la ricerca di esplosivi, gli inquirenti arrestano una ventina di attivisti del RIN e dell’ASIQ, tra cui il leader Raoul Roy. Alcuni di essi sono detenuti per quasi 48 ore e duramente interrogati. Durante il blitz i poliziotti sequestrano scatole di documenti, tra cui il manoscritto di una tesi di laurea preparata da uno studente di scienze politiche dell’Università di Montreal, Édouard Cloutier, segretario della sezione universitaria del RIN e collaboratore del quotidiano L’Indépendance. Arrestano anche il professor Jacques Lucques, uno dei fondatori del Comitato di liberazione nazionale. I nomi di Lucques e Cloutier sono nei mandati di cattura perché fermati insieme il 18 agosto 1961 a Ville Mont-Royal, mentre stavano dipingendo con vernice rossa lo slogan “Québec libre”.

Dopo l’arresto, l’ASIQ è attiva fino al 1963 circa, quando Roy dovrà andare in esilio per alcuni mesi in Francia perché secondo le indagini dei magistrati è sospettato di essere un leader della prima ondata del FLQ. Tra le prove, gli investigatori segnalano che diversi membri del gruppo frequentavano il suo movimento, con il “covo” nel retrobottega del Caffè. Questo soggiorno all’estero rafforzerà ulteriormente la convinzione di Roy di associare definitivamente il separatismo del Québec alla lotta della sinistra per la decolonizzazione dei popoli del Terzo mondo. È a Parigi che entra in contatto con l’effervescente dibattito sorto all’indomani dalla pubblicazione del fondamentale lavoro di Frantz Fanon Les Damnés de la terre (I dannati della terra, 1961). Al suo ritorno, Roy ha maturato la convinzione di partecipare al quotidiano “populista” Free Québec del Front républicain pour l’indépendance (FRI) e lottare per costruire il nuovo Partito come una formazione indipendentista regolare da affiancare – senza mai renderlo davvero esplicito – alle pratiche irregolari del FLQ. Nella sua dichiarazione di principi, il FRI afferma che ricorrerà a “tutti i mezzi legittimi conosciuti per raggiungere l’indipendenza nazionale”, stabilire poi cosa sia legittimo o meno, non spetta necessariamente al governo di Ottawa e men che meno all’imperialismo anglo-americano.

Il FRI, nato dalle ceneri del Partito Repubblicano di Marcel Chaput, è guidato da un certo “Chénier”, nient’altro che lo pseudonimo del professor Jacques Lucques, l’ex militante del RIN che nell’autunno del 1962 era stato uno dei fondatori clandestini del Comitato di Liberazione Nazionale, antenato del FLQ. Lucques è anche il direttore del giornale del movimento, Québec Libre; il cui motto è “Liberate la nazione” per “un Québec politicamente sovrano, economicamente libero e socialmente giusto”. Il simbolo è lo stesso dell’ex Comitato di Liberazione Nazionale, il giglio rosso su una sagoma del Québec in nero.

Nella prima metà degli anni Sessanta, dunque, l’elaborazione teorica dell’autodidatta Raoul vede al centro del discorso il nazionalismo e quindi la rivoluzione più importante è l’indipendenza. Il socialismo è lo strumento scelto per realizzare la liberazione economica dei franco-canadesi e garantire la loro reale autonomia. Oltre alle fondamentali misure per il welfare, lo Stato quebecchese dovrà conseguire la nazionalizzazione e la socializzazione delle imprese e dei settori economici controllati da interessi stranieri, anglo-canadesi e statunitensi in particolare. Tuttavia, con centinaia di kilometri di confine che dividono il Québec dagli aggressivi USA (in comune hanno le celebri Cascate del Niagara), Roy è consapevole del minaccioso scenario geopolitico nel quale opera e perciò negli scritti di propaganda non emerge una tendenza esplicita all’abolizione della proprietà privata e al rovesciamento completo dei rapporti di classe.

Nel 1965 è ingaggiato dal quotidiano “Métro-express” e l’anno successivo diventa bibliotecario presso la “Société Radio-Canada” (dove rimarrà fino al pensionamento alla fine degli anni ’70). Contemporaneamente, in questa complessa cornice biografica e storico-politica, Roy elabora il progetto e avvia le ricerche per realizzare il libro Gesù guerrigliero dell’indipendenza che vedrà la luce dieci anni più tardi[7]. Raggiunta l’età della pensione, si unisce al Comitato per il Risveglio Indipendente (CRI), fondato nel 1981 e divenuto nel 1987 il Crocevia della Resistenza per l’Indipendenza (noto poi come S.O.S. Genocidio). Negli ultimi anni, continua a pubblicare libri[8]e un gran numero di articoli su diverse riviste tra cui Les Cahiers de la décolonisation du Franc-Canada, L’Espoir, L’Indépendantiste, La Revue Indépendantiste e La Revue Socialiste. Muore a Montreal il 14 novembre 1996.

 

[1] L’emigrazione italiana in Canada ha inizio dopo l’Unità, nella seconda metà del XIX secolo; il primo grande afflusso è tra il 1900 e il 1912 quando hanno abbandonato l’Italia in sessantamila, per lo più contadini veneti e friulani. Nel dopoguerra, l’ambasciata italiana in Canada registra 152.245 residenti che nel 1961 sono diventati 459.351 (il 70% in Ontario e il 20% in Québec, il restante 10% sparso tra altre provincie). Tra di essi, in termini di rappresentanza regionale, il numero più alto d’emigrati (circa 40mila) è rappresentato dal piccolo Molise, la regione con in proporzione la più grande emorragia di abitanti del XX secolo verso l’estero (un milione su oltre 20 milioni).

[2] Per questa scelta, il presidente francese sfuggirà a due attentati. Il primo è l’attacco di Pont-sur-Seine dell’8 settembre 1961. Mentre l’auto di De Gaulle attraversa la cittadina, un’esplosione viene innescata manualmente all’altezza del veicolo. Non ci sono morti e feriti perché l’umidità ha ridotto la potenza degli esplosivi e neutralizzato parte dell’ordigno. L’anno seguente, il 22 agosto 1962, il generale sfuggirà a un doppio attentato alle porte di Parigi noto come l’attacco di Petit-Clamart, chiamato dai suoi autori (OAS-Métropole/OAS-CNR) “Operazione Charlotte Corday”. Il Bersaglio lo racconterà così: “L’auto che mi stava portando per prendere un volo alla base aerea di Villacoublay, con mia moglie, mio ​​genero Alain de Boissieu e l’autista Francis Marroux è stata improvvisamente oggetto di un agguato organizzato con cura: mitragliata da diverse armi automatiche, poi inseguita da altri tiratori in automobile. Dei circa 150 proiettili piovuti su di noi, quattordici hanno centrato il nostro veicolo. Eppure – incredibile fortuna! – nessuno di noi è colpito”. Oltre alla “incredibile fortuna” però, si deve ricordare che l’automobile presidenziale era una Citroen DS, un gioiello di design della tecnologia francese. L’ammiraglia del marchio era dotata di quattro rivoluzionarie sospensioni idro-pneumatiche indipendenti che permisero, nonostante lo scoppio di uno pneumatico, all’autista di proseguire tranquillamente la corsa su tre ruote, essendo la DS autolivellante.

In entrambe i casi, la mente degli attentati fu individuata nel tenente colonnello Jean-Marie Bastien-Thiry, operativo nella cospirazione con lo pseudonimo di Germain, processato, condannato a morte e fucilato nel 1963.

Gli attentati ispireranno il romanzo – meritatamente celebre – Il giorno dello sciacallo (The Day of the Jackal, 1971) di Frederick Forsyth, cui seguirà l’omonimo indimenticabile thriller diretto da Fred Zinnemann nel ’73.

[3] Lumumba e due suoi fidati collaboratori (Maurice Mpolo, ministro degli Interni, e Joseph Okito, presidente del Senato) sono catturati e giustiziati a Elisabethville (l’attuale Lubumbashi) da membri del Katanga secessionista (finanziato da Washington e dal governo belga); i loro corpi fatti a pezzi sono sciolti nell’acido. Solo oggi, Patrice è tornato a casa. Un dente è stato restituito dal Belgio alla Repubblica Democratica del Congo e dal 30 giugno 2022 è custodito nel suo mausoleo.

[4] La data non è casuale, corrisponde alla notte in cui tradizionalmente sono accesi i cosiddetti “fuochi del Sacro Cuore” per celebrare la vittoria di Andreas Hofer contro le truppe francesi napoleoniche (3 giugno 1796).

[5] È qui opportuno ricordare che affatto per caso il caffè di Roy – aperto solo un paio d’anni prima – aveva come insegna Le mouton pendé, ovvero “la pecora impiccata”.

[6] Parti pris era una rivista politica e culturale del Québec, ispirata al marxismo-leninismo, al movimento di decolonizzazione e a una forma di esistenzialismo sartriano. Fondata nel 1963 da André Major, Paul Chamberland, Pierre Maheu, Jean-Marc Piotte e André Brochu, ha svolto un ruolo politico e sociale importante durante la “Révolution tranquille”. Chiuse i battenti nel 1968.

[7] È lo stesso Autore a riferire nell’introduzione alla prima edizione del 1975, di aver lavorato per dieci anni al libro.

[8] Pubblicazioni monografiche: Per una bandiera indipendentista, 1965; Resistenza e indipendenza, 1793-1798, 1973; Socialismo! Quale?, 1976; Canadesi francesi e separatisti americani, 1774-1783, 1977; Marxismo: disprezzo per i popoli colonizzati?, 1977; Gli indomiti patrioti di La Durantaye, 1977; Lettera agli ebrei di Montreal, 1979; Pietre miliari della ricostruzione nazionale, 1981; René Lévesque era un impostore?, 1985.