a cura di Beppe Ricca, Paolo Patuelli e Manuel Colosio

[La trasmissione radiofonica Il disagio nella civiltà di Radio Onda d’Urto ha recentemente dedicato un ciclo di puntate alla narrazione della guerra a cui hanno preso parte Gioacchino Toni, Alberto Negri, Lucio Manisco, Domenico Quirico e Sandro Moiso. Oltre alla presentazione dell’iniziativa curata da Beppe Ricca, Paolo Patuelli e Manuel Colosio, si riportano i link alle diverse puntate andate in onda – ght].

***

Sergente Hartman: soldato semplice Joker, tu credi alla vergine Maria?
Soldato Joker: signorno signore…

Inizia così, in Full Metal Jacket di Stanley Kubrik, memorabile pellicola sulla perversione della guerra, un simpatico colloquio tra il Sergente Hartman e il soldato Joker che si conclude con l’affermazione negativa di quest’ultimo circa la relazione con il trascendente, in questo caso Maria la vergine e con un passaggio di grado per il soldato Joker che premia “il fegato” di tale affermazione…d’altro canto, ci vuole “del fegato” in guerra per fare i conti con il Reale.

Il procedere umano attraverso la guerra, o dell’infinita verità negata.

La psicoanalisi accede alla guerra solo tramite le tracce che essa lascia sui viventi e sui discorsi. Tracce soggettive depositate nelle parole perché le guerre hanno questo potere: segnare il discorso ben più che i periodi di pace e, benchè questi abbiano nel mezzo la possibilità infinita concessa all’umano (amare, filiare, fare economia) il vocabolario guerresco viene utilizzato per caratterizzare ogni legame umano.

La guerra è la civiltà (nella cifra del suo disagio) attraverso la formula di Lacan: l’inconscio è la politica, ovvero, una delle modalità del commercio interumano, la più universale e permanente. Da qui il procedere della storia dove la guerra è il banco di prova della docilità al discorso del padrone.

Presente in tempo di pace, la docilità si impone come assoluta in tempo di guerra. La guerra quindi non è il contrario della civiltà, ma il suo coronamento più alto che si fa legame sociale chiamando in causa i tre registri: Simbolico, Immaginario e del Reale.

La guerra quindi, nel suo divenire, che attraversa l’umanità e l’uomo, è una forma di legame sociale entro la quale incarnare lo spirito per il quale occorre far avanzare degli esseri umani in battaglia, verso un luogo di probabile morte, in mezzo a rumori assordanti, e dove e richiesto un lavoro psichico importante perché questi implica che il soggetto vada contro quasi tutte le risposte abituali e naturali dell’essere vivente, scandagliando e rispondendo ad un principio di godimento assoluto.

Non ci chiediamo più chi è responsabile di usare discorsivamente la morte – e tutti i significanti che essa richiama – agitandola come conseguenza della nostra non adesione al progetto che costui (il dogma della fede alla guerra) ci propone: non ci si chiede più chi è che comanda con la morte e la minaccia sulle nostre vite.

Ci sentiamo al sicuro, perché ci pensiamo ben amministrati e non comandati da un potere minaccioso e mortifero. Pensiamo di autodeterminarci mentre in realtà riproduciamo automatismi, ripetiamo una quotidianità rassicurante.

Pacificati nel riflesso dello schermo televisivo viviamo il presente del corpo e della mente nell’inedia da totale e prolungata mancanza di alimento politico.

Così la visione ridondante e ripetuta della morte altrui esposta dai teleschermi inquadra, come fissata in un fotogramma, la nostra vita nella ripetizione sintomatica, producendo inerzia e impotenza.

La guerra va contro la guerra immaginata. Emerge così, non la sublimazione di quanto accade in analisi ma la chiacchiera che diventa intrattenimento, fissità nella narrazione mediatica.

Oggi, grazie all’aver archiviato la questione della morte dell’altro nella narrazione da fiction e nell’intrattenimento televisivo, possiamo ammirare distrattamente il biglietto vincente, seppur logoro e sporco di sangue, da un divano che non è esattamente quello di Freud.

Con il soldato Joker e con alcuni giornalisti che si sono implicati nel tema della verità affronteremo questa (sporca) guerra, dentro le macerie fumanti, ascoltando la narrazione delle vittime (tutte) provando ad interrogare la perversa questione del legame sociale.

E comunque, insieme a voi che ci ascoltate.

  • La prima puntata con Gioacchino Toni, della redazione di “Carmilla on line”, studioso dei fenomeni artistici e audiovisivi contemporanei. Ascolta o scarica
  • La seconda puntata con il giornalista Alberto Negri, storico cronista di guerra e attualmente editorialista de “Il Manifesto”. Ascolta o scarica
  • Nella terza puntata il giornalista Lucio Manisco, per anni corrispondente dagli USA per Raitre e negli anni 90 direttore di Liberazione. Ascolta o scarica
  • Nella quarta puntata Domenico Quirico, cronista di guerra e giornalista de “La Stampa”.  Ascolta o scarica
  • Nella quinta e ultima puntata Sandro Moiso, della redazione di “Carmilla on line”. Ascolta o scarica