di Gioacchino Toni

Nell’ambito delle iniziative e delle pubblicazioni dedicate all’intrecciarsi di vicende artistiche e impegno politico in Italia a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, vale la pensa segnalare l’uscita del saggio di Federica Boragina, Editoria e controcultura: la storia dell’Ed.912, (posmedia books, 2021), dedicato all’importante esperienza editoriale milanese che ha preso il via negli anni Sessanta.

Fondata nel 1966 da Gianni-Emilio Simonetti, Gianni Sassi e Sergio Albergoni, a cui si aggiungeranno poi Tommaso Trini, Germano Celant, Mario Diacono e Maria Volpi, la casa editrice Ed.912 prende vita all’interno di una scena artistica del capoluogo lombardo particolarmente effervescente a cavallo tra i due decenni, una scena che non manca di intrecciarsi con i nascenti ambienti controculturali e politici. Sul finire degli anni Sessanta l’avventura di Ed.912 si allontana dall’iniziale ambito strettamente artistico per abbracciare la montante cultura alternativa della “città dei capelloni”.

Il volume di Boragina si apre ricostruendo l’ambiente artistico-culturale milanese che farà da premessa all’esperienza della casa editrice Ed.912 a partire dalla mostra organizzata da Daniela Palazzoli e Gianni-Emilio Simonetti nel 1964 Gesto e Segno presso la galleria Blu di Milano – incipit dell’avventura Fluxus italiana – e dall’esperienza della East 128 di Fernanda Pivano ed Ettore Sottsass dei primi anni Sessanta – a cavallo tra Palo Alto in California e la città meneghina –, passando poi dalla breve stagione della rivista Pianeta Fresco e poi di Mondo Beat, che non mancò di scagliarsi apertamente contro Pivano e Feltrinelli accusati, nel loro agire all’interno dell’industria culturale, di banalizzare, quando non di commercializzare, la protesta giovanile.

L’attività di Ed.912 prende il via con la realizzazione del numero zero della rivista da-a/u delà intitolato Ready-Game-Bum che nella sua forma oggettuale si propone come una scatola, su cui campeggia l’inquietante scritta “Attention (handle with care) contains explosive”, contenente una radio a galena e un provocatorio messaggio dattiloscritto che invita a innescare un’esplosione. Oltre a giochi linguistici dal sapore non-sense, evidenti sin dal nome della testata, occorre sottolineare il ricorso a caratteri a stampa minuscoli e maiuscoli ed a trattini di punteggiatura che richiamano i giochi grafici di George Maciunas.

Le prime proposte di Ed.912 tendono a porre l’attenzione non tanto sulla tipologia dei prodotti editoriali, quanto piuttosto «sul carattere corale delle attività di sostegno, diffusione e sperimentazione. L’ambizione è avere un orizzonte internazionale, facendo da collettore e diffusore della cosiddetta “nuova nuova avanguardia”» (p. 57).

Se sin dagli esordi Ed.912 non manca di esporsi politicamente, dichiarandosi disponibile ad inviare gratuitamente le sue pubblicazioni ai reclusi nei campi profughi e nelle carceri civili e militari, allo stesso tempo non disdegna di dialogare con l’industria culturale accettando la distribuzione delle proprie realizzazioni nelle librerie Feltrinelli e di ricorrere ad annunci pubblicitari.

Tra le realizzazioni più importanti della casa editrice, oltre alla rivista bit, in doppia lingua italiano-inglese, di cui vengono pubblicati dieci numeri usciti in maniera irregolare dal marzo 1967 al giugno 1968, si possono ricordare le tre serie di manifesti d’artista (“dEDsign”, “Situazione” e “No”) realizzati in 500 esemplari numerati con l’obiettivo di condurre l’arte ad invadere l’ambito della comunicazione pubblicitaria e della propaganda politica.

Nonostante l’esplicito riferimento a temi politici, nazionali e internazionali, nonché l’esplicita vicinanza al clima della contestazione, nel corso del 1967 l’Ed.912, attraverso la produzione di manifesti, da un lato ha evidenziato la vicinanza dei linguaggi artistici all’espressività extra-artistica dei movimenti giovanili, dall’altro orientando la stessa operatività artistica verso una dimensione plurale, seriale, capace di veicolare una “rivoluzione culturale” dall’interno del sistema dell’arte (p. 105).

Il quinto numero di bit ha fatto parlare di sé per la celebre grafica di copertina realizzata da Pietro Gallina recante la sagoma di una donna, con una copia della rivista in tasca, che dirige il getto di una bomboletta spray verso il volto di un poliziotto in uniforme inglese. La rivista suggerisce di acquistare una bomboletta messa in vendita dall’editore con un invito perentorio: “Dipingi di giallo il tuo poliziotto”.

Sul finire del 1967 il clima nel capoluogo lombardo si surriscalda e la rivista stessa passa velocemente dalla critica culturale ironica a dare spazio alle molteplici iniziative di lotta e contestazione che attraversano la società dalle università alle fabbriche fino alle mostre e alle iniziative artistiche e culturali. Tale scelta è accompagnata anche da una nuova produzione di manifesti che continua a ricorrere al succinto e diretto linguaggio della pubblicità. Tra il 1968 ed il 1969 la casa editrice dà alle stampe un volume dedicato al Maggio francese e due relativi all’Internazionale Situazionista (L’estremismo coerente dei situazionisti e Capitalismo moderno e rivoluzione).

L’ultima parte del volume di Federica Boragina si sofferma invece sulle travagliate vicende editoriali del libro …ma l’amor mio non muore. Origini documenti strategie della «cultura alternativa» e dell’«underground» in Italia, uscito originariamente per la casa editrice Arcana nel 1971, riuscendo a scampare al sequestro delle copie stampate soltanto perché queste furono vendute prima.

Ristampato recentemente da DeriveApprodi, il volume si presenta come una sorta di sguaiata antologia di rivolta esistenziale, prima ancora che politica, contenente consigli pratici relativi al difendersi dai gas lacrimogeni, alla fabbricazione di bottiglie incendiarie, sostanze stupefacenti, ripetitori radio pirata, oltre che volantini, stralci di giornali, illustrazioni e fumetti insieme a commenti situazionisti, beat ecc. “Una critica ironica, divertita, colta, cattiva allo stato presente delle cose” curata, oltre che da Gianni-Emilio Simonetti, da Riccardo Sgarbi, Guido Vivi e altri.