di Mauro Baldrati

Ci fu un tempo in cui era possibile realizzare delle performances dadaiste con un buon seguito di pubblico. Un tempo, forse, più libero. O più curioso. O più coraggioso. Una di queste, che ho conosciuto dall’interno, è la falsificazione di alcuni giornali, che oggi chiamano “giornaloni”, ovvero i quotidiani ad alta tiratura di impostazione mainstream. Usando la stessa grafica, e lo stesso stile, trattavano temi di attualità ribaltandone totalmente il significato. Insomma, uno sberleffo al Potere usando i suoi stessi strumenti. Furono falsificati La Gazzetta dello sport, Paese Sera, L’Unità, La Stampa, la Repubblica, e altri. Mitica la foto e la notizia dell’arresto di Ugo Tognazzi – che si era prestato alla sceneggiata – come capo delle Brigate Rosse. Gli autori erano alcuni del collettivo satirico de Il Male. In particolare io ho partecipato al falso Stella Rossa, realizzato nel 1983 da Frigidaire. Un amico, Alessandro Cauli, che possiede piccoli tesori in qualche cantina, mi ha inviato una scansione della prima pagina.

In quell’anno lavoravo in redazione. Un giorno ci informò della cosa il direttore, Vincenzo Sparagna. Era in compagnia di un giovane giornalista lituano collaboratore di Der spiegel, Shavik Shuster. Era in preparazione una copia del famoso giornale sovietico, dove si informavano i soldati che la guerra era finita. Raccontava il fantastico gesto eroico compiuto da due soldati/cuochi, i cugini Chonkin. Questi, tramite un complotto culinario, avevano fatto addormentare i vertici militari sovietici, senza i quali si apriva una nuova era: democrazia, ritorno in patria dei dissidenti, niente più guerra, addirittura in Afghanistan i soldati russi fraternizzavano con i mujaheddin. Sarebbe stata distribuita a Kabul e a Mosca. Il progetto era di Frigidaire e della francese Actuel, con la quale da tempo collaboravamo con scambi di servizi. Avevo già capito che Actuel ci avrebbe messo i soldi e noi i testi e l’organizzazione. Ovvero Shavik li stava scrivendo in russo e in italiano, insieme a Sparagna. Inoltre le spedizioni di due task force per la distribuzione sarebbero state a carico nostro. Tanino Liberatore disegnò un soldato russo che spezzava un Kalashnikov, mentre io immortalai la coppia di eroi, ovvero Shavik e Vincenzo in versione baffuta.

Gli stessi Shavik e Sparagna avrebbero raggiunto la Kabul occupata, via Pakistan, insieme al fotografo Cesare Dagliana. Della seconda task force il fotografo sarei stato io. L’azione consisteva nell’attacchinare alcune copie sui muri di Kabul e nelle edicole di Mosca, e fotografare le persone che si fermavano a leggere la stupefacente notizia. La cosa mi incuriosiva alquanto, ma subito arrivarono i dubbi. Il compenso, mille dollari più le spese, mi sembrava basso. Inoltre non c’erano garanzie sui tempi di pagamento. Anzi, sul pagamento vero e proprio. Conoscevo le difficoltà finanziare di Frigidaire. E forse il percorso di arrivo dei soldi dalla Francia sarebbe stato un po’ tortuoso. Inoltre eravamo – ero – ancora frastornati dalla retorica imperante post guerra fredda, per cui l’URSS era il regno del male assoluto, pertanto se fossimo stati catturati dopo la tortura saremmo finiti in un gulag in Siberia, dove saremmo morti di fame e di freddo in sei o sette mesi. Quindi rifiutai. Non era la storia giusta per me in quel periodo. Forse ero debole. E poco motivato. Oggi probabilmente accetterei, se fosse possibile tornare a quel tempo con la testa di oggi. Ma allora rifiutai.

Così fu necessario trovare un altro fotografo. ‘Na parola, si diceva a Roma. Alla fine il lavoro fu affidato a uno di quei tipi un po’ sui generis che bazzicavano in redazione, ogni tanto per vendere qualche droghetta, ma anche per proporre articoli o foto. Io non sapevo se sentirmi pentito o non pentito del mio rifiuto. Eppure una forza contraria mi aveva bloccato. Dovevo accettarlo.

Il servizio di Sparagna-Shuster andò abbastanza bene. Purtroppo il fotografo Dagliana realizzò le foto molto chiare, quasi bruciate, per la tensione (scattavano di notte col flash, scortati dai mujaheddin in condizioni molto più pericolose di quelle di Mosca). In quanto al servizio di Mosca… una tragedia. Il tipo aveva cannato tutte le foto. Inservibili. Non sono mai riuscito a capire cosa diavolo fosse successo. Più volte ho chiesto a Vincenzo, ma lui scrollava la testa e ringhiava: “Sta’ buono ti prego, sta’ buono!” Fatto sta che uscì solo il servizio su Kabul, con un bel reportage, l’arrivo in città, la convivenza coi mujaheddin, i dialoghi, le cene a base di litri di jogurth di capra, il terribile stato di occupazione russa. Fu anche presentato in alcune conferenze stampa molto affollate. Io devo proprio confessare che, accanto al disappunto per il servizio monco, provavo anche una sotterranea forma di soddisfazione, probabilmente perversa: io non sono andato? Ben gli sta! Come se fosse stata colpa di qualcuno se io stesso avevo rifiutato.

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