Giovanni Rossi, Led Zeppelin ’71, La notte del Vigorelli, Tsunami Edizioni, pp. 272, 20.00€.
Giunta ormai alla seconda edizione, dopo quella del 2014, l’inchiesta/ricostruzione dell’unico concerto (abortito) dei Led Zeppelin in Italia, non si limita ad essere soltanto un bel libro di giornalismo musicale. Prendendo spunto dai fatti di cronaca l’autore, Giovanni Rossi, compie una panoramica a 360 gradi sull’Italia di quegli anni – con il ’68 già lontano alle spalle e il ’77 ancora remoto a venire – tracciando un rapporto storico, sociologico e politico puntuale di uno dei momenti più difficili ma anche esaltanti attraversati dalle giovani generazioni dell’epoca: il 1971, un anno cruciale in cui necessità popolare di cambiamento e volontà istituzionale di conservazione si scontrano già con violenza ma in modo ancora immaturo e confuso. Conflitti che non deflagrano più solo nelle fabbriche e nelle università, ma anche nei luoghi deputati alla cultura e al tempo libero.
Chi ha vissuto quel periodo lo ricorda con un brivido ambivalente di rimpianto e di sollievo. Sollievo per il tramonto successivo, faticoso ma inderogabile, dei cascami di un ancien régime opprimente e fortunatamente sepolto, rimpianto per le possibilità che allora si squadernavano illusoriamente infinite e, nel tempo, si sono ridotte, sfilacciate, erose, fino a rivelarsi fallaci e disattese.
Nel corso del ’71 i Tupamaros rapiscono l’ambasciatore inglese in Uruguay; in Egitto apre la diga di Assuan; Amin Dada prende il potere in Uganda; le missioni Apollo 14 e 15 preludono sommessamente al crepuscolo dell’era spaziale; le truppe sudvietnamite invadono il Laos; a Città del Messico si consuma la strage del Corpus Domini; Nixon cancella gli accordi di Bretton Woods ponendo fine alla convertibilità del dollaro in oro; Jim Morrison viene ritrovato morto nella vasca da bagno della sua stanza in un albergo di Parigi, mentre George Harrison vara il Concert for Bangla Desh e John Lennon pubblica Imagine. Intanto in Italia la commissione d’inchiesta su SIFAR e Piano Solo smentisce l’ipotesi di qualsiasi possibile golpe proprio mentre Paese Sera rende noto il tentativo di un altro golpe, quello di Junio Valerio Borghese del 7 dicembre 1970, e il Principe Nero, colpito da mandato di cattura, rifugia in Spagna; il giudice di Treviso emette mandato di cattura verso i neofasciti padovani Freda e Ventura in relazione agli attentati del 1969; Franco Basaglia diventa direttore del manicomio di Trieste e la Corte Costituzionale abroga l’articolo 553 del codice penale che vieta la produzione, il commercio e la pubblicità degli anticoncezionali. Il ventunesimo Festival di Sanremo viene vinto da Nada e Nicola di Bari con Il cuore è uno zingaro, secondi i Ricchi e Poveri e Josè Feliciano con Che sarà, ma saranno significativamente i terzi classificati, Lucio Dalla e l’Equipe 84 con 4 Marzo 1943, a primeggiare nelle vendite: anche il pubblico popolare chiede tematiche e melodie almeno un po’ diverse.
Così Ezio Radaelli, impresario e barone dell’industria dell’intrattenimento, fino dal 1962 ideatore e patron del Cantagiro – formula presa a modello dal Giro d’Italia di ciclismo, che consisteva in una carovana canora in giro per l’Italia con i cantanti in competizione, giudicati da giurie popolari scelte tra il pubblico delle varie città – fiuta l’aria di rinnovamento: nel ’71 il Cantagiro diventerà Cantamondo, non avrà classifica e affiancherà ad ogni tappa alle star nostrane anche big della musica internazionale come Aretha Franklin, Miriam Makeba, Nina Simone, King Curtis, Charles Aznavour, Sam & Dave, Donovan e, dulcis in fundo, i Led Zeppelin, per la prima volta in tour in Italia, che chiuderanno la manifestazione canora. Quello che non risulta perfettamente chiaro all’impresario è che alcuni mondi musicali sono ormai sempre più fieramente incompatibili, che il pubblico di gruppi rock come i Led Zeppelin (lasciamo per ora da parte gli alfieri del Rhythm&Blues o il menestrello folk-psichedelico Donovan) non ne vuole minimamente sapere di una musica leggera e leggerissima, vista, non a torto, come di regime perchè ammannita giornalmente dalla Rai in Tv e in radio: Gianni Morandi e sodali (Lucio Dalla compreso) non hanno la minima speranza di condividere indenni lo stesso palco con la band di Whole Lotta Love. Un’inconciliabilità che porterà alla catastrofe.
Giovanni Rossi, come in un giallo ben costruito, predispone, capitolo per capitolo, scenari e dramatis personae. Una Milano in cui da pochi giorni la signora Licia Pinelli, vedova di Pino, ha denunciato (il 24 giugno 1971, il concerto è fissato per il 5 luglio) il Commissario Calabresi e i suoi accoliti questurini per omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di autorità, mettendo in fibrillazione tutta l’estrema sinistra cittadina. San Siro, luogo più indicato per l’evento, è inagibile per lavori di ristrutturazione e si ripiega sul velodromo Vigorelli. Nel frattempo una fiumana di giovani sciama da tutta Italia – chi in auto, chi in treno, chi in autostop – verso il concerto dell’anno. Poche sono state fino ad allora le occasioni di vedere i grandi del rock nel nostro paese: a Roma, i Beatles al Teatro Adriano nel 1965, Jimi Hendrix al Brancaccio nel 1968, i Rolling Stones nel 1967 e nel 1970, in varie città tra cui Roma e Milano. Ma non erano ancora eventi di massa come questo.
I Led Zeppelin sono al culmine della loro fama. Hanno pubblicato tre LP (il gruppo rifiuta di fare 45 giri) che li hanno portati ai vertici delle classifiche: giusto il terzo, meno rock blues e più folk, non ha raccolto consensi unanimi, ma la perfetta sintesi fra la musa elettrica e quella acustica sta per arrivare, a novembre, con il IV (quello di Starway to Heaven per intenderci) di cui il quartetto ha già in serbo ricche anticipazioni live. La stampa italiana, evidenziando la sua incompetenza musicale e la totale estraneità rispetto alla cultura del rock, li etichetta concordemente nei titoli di cronaca come “i successori dei Beatles”.
Il pubblico che si prepara ad assediare il Vigorelli è fin troppo variegato. Prima i regolarmente paganti: innocue famiglie borghesi spesso in compagnia di bambini e adolescenti, interessate al Cantagiro e del tutto ignare dei Led Zeppelin; pubblico giovanile tranquillo o quasi, ansioso di ascoltare i Led Zeppelin ma insofferente al Cantagiro. Poi i non paganti che tenteranno di forzare gli ingressi: autoriduttori, divisi in quelli politicizzati che rivendicano musica gratis per tutti e semplici portoghesi che vogliono imbucarsi al concerto; militanti di estrema sinistra, non necessariamente autoriduttori ma intenzionati a fare casino sfruttando l’importanza dell’evento per avere una risonanza mediatica sulle loro rivendicazioni politiche; fasci infiltrati, anche loro lì per fare casino e sabotare i “capelloni”. A chiudere in bellezza oltre 2500 sbirri in tenuta antisommossa. Una polveriera in attesa di scoppiare.
Rossi ben descrive l’escalation degli eventi. Apre Gianni Morandi accolto da gran parte del pubblico con fischi e lanci di ortaggi: tenta con ammirevole coraggio una svolta, a modo suo, verso l’engagement, cantando la versione italiana di Here’s To You di Joan Baez, ma una lattina lo coglie dritto in faccia ed è costretto a ritirarsi praticamente in lacrime (il contraccolpo sarà duro: abbandonerà le scene per più di cinque anni, andando a studiare contrabbasso al conservatorio…). Stessa sorte per i Vianella (Wilma Goich ed Edoardo Vianello: non sono più i tempi dei Watussi…). Lucio Dalla e Milva, meno impavidi, si rifiutano di uscire e, alla romana, “se danno”. Lo stesso Radaelli interviene e saggiamente manda fuori i New Trolls. Il gruppo progressive genovese, per quanto molto lontano dai Led Zeppelin, viene accolto con rispetto: è pur sempre una band rock, non canta canzonette, possiede solide capacità strumentali ed ha appena varato un best seller come Concerto Grosso per i New Trolls, innesto rock-barocco, un po’ pretenzioso ma bello, su musiche di Luis Enriquez Bacalov, che viene eseguito quasi per intero nell’attenzione generale del pubblico e degli stessi componenti dei Led Zeppelin che hanno ormai raggiunto il retropalco perché chiamati a cominciare il loro numero un’ora prima del previsto. La buona accoglienza riservata ai New Trolls dimostra come l’avversione degli spettatori sia indirizzata unicamente verso i cantanti “leggeri”, melodici e antiquati che usurpano le scene italiane da troppo tempo.
Nel frattempo gli autoriduttori stanno premendo sugli ingressi e le camionette della polizia che presidiano tutta la zona cominciano a concentrarsi nei punti di accesso. I primi candelotti già piovono nelle strade circostanti, dove si stanno raccogliendo gruppi di manifestanti intenzionati a farsi sentire ma non a forzare le porte del Vigorelli: per il momento i fumi che invadono il velodromo sono solo quelli, ancora contenuti, provenienti dall’esterno.
Arriva finalmente l’ora dei Led Zeppelin che – mentre la situazione rapidamente degenera e scariche sempre più nutrite di candelotti lacrimogeni vengono sparati dalle “forze dell’ordine” a parabola anche oltre le aperture dei tetti, direttamente dentro il velodromo e addirittura sul palco – avranno la professionalità di reggere per ben 50 minuti: la scaletta comprende Immigrant Song in medley con Mr. You’re a Better Man Than I degli Yardbirds, il gruppo precedente di Jimmy Page, Heartbraker, Since I’ve Been Lovin’ You, l’allora ancora inedita Black Dog, Dazed and Confused, Whole Lotta Love. Robert Plant invita più volte alla calma, e scherza col pubblico invitandolo a soffiare tutti insieme per allontanare il gas che sta progressivamente invadendo la scena: presto però i colpi di tosse gli impediranno di cantare mentre con gli occhi accecati e lacrimanti i ragazzi del dirigibile vedranno il pubblico, passato dall’entusiasmo al terrore, invadere di corsa il palcoscenico e venir loro addosso. Hanno chiuso tutte le uscite e l’unica via di fuga passa per il palco e per i camerini. Soccorsa dal promoter e dai roadies la band si rifugia in uno sgabuzzino mentre la marea umana infuria calpestando e distruggendo strumenti e impianto sonoro. Non stupisce che l’esperienza, a posteriori, li abbia determinati ad un’unica, drastica conclusione: “Mai più in Italia”.
Per pura fortuna comunque non ci scappa il morto. Un carabiniere perde un occhio per una sassata, decine di feriti e contusi su entrambi i fronti, quasi un centinaio di fermi e di arresti. Decine di milioni di danni agli edifici del Vigorelli. Anche Radaelli dovrà rimborsare i Led Zeppelin – il cui ingaggio già gli è costato un occhio della testa – svuotando paurosamente il suo nutrito portafoglio e il Cantagiro stesso subisce un colpo mortale: sopravviverà ancora in sordina fino al 1974 per scomparire del tutto, almeno nella forma classica. Si è davvero consumata un’epoca.
Ovviamente la stampa si dividerà nei giorni successivi in due netti fronti avversi. I “moderati”, Corriere della sera, Il Giorno, La Notte, L’Avvenire, La Stampa, Domenica del Corriere, sosterranno la linea della provocazione deliberata ad opera di gruppuscoli eversivi intenzionati, con il pretesto dell’evento musicale, a scatenare la guerriglia urbana attaccando le forze di polizia che non hanno potuto evitare di reagire. I giornali di sinistra, Lotta Continua, Il Manifesto, L’Unità, accuseranno invece la polizia di aver volutamente scatenato un attacco rivolto contro pacifici manifestanti fuori dal Vigorelli e contro il pubblico inerme all’interno. Come sempre la verità sta probabilmente nel mezzo: la manifestazione non fu davvero così pacifica perché qualche razzo antigrandine e qualche molotov venne lanciata contro i celerini anche dalle barricate dei difensori. Più attendibile forse la stampa musicale estera o quella italiana non schierata apertamente su una precisa linea politica, come Ciao 2001, che raccogliendo anche la testimonianza diretta degli stessi Led Zeppelin, imputava la colpa del tralignare nel caos di una situazione all’inizio ancora gestibile, alla polizia che per contenere poche decine di autoriduttori si era lanciata in una serie esagerata di brutali cariche e in un lancio inutile e spropositato di candelotti lacrimogeni: “Erano quei tipi in uniforme che non avevano capito un cazzo di quel che stava accadendo ! Quindicimila persone che cercano disperate una via d’uscita per via dei gas lacrimogeni e quegli sbirri non lo capiscono!” dirà Robert Plant.
L’incombere degli anni di piombo a venire già si profila in queste asimmetrie fra azione e reazione, un copione già scritto che, ben più amaramente, un’intera generazione avrebbe presto interpretato in un ruolo o nell’altro: i fatti del Vigorelli, come ben evidenzia il libro, ne sono infausta metafora e prefigurazione.