Einaudi, Torino 2020, pagg.160 € 18

di Mauro Baldrati

Il blues, come il punk, è una musica semplice e ripetitiva. Ma lo è come il respiro, il battito cardiaco. Come le penne all’arrabbiata. E’ una forma di ripetizione creativa. Ogni nuovo pezzo blues, eseguito più o meno con gli stessi accordi, è un’avventura che nasce. Per questo l’appassionato non si stanca di ascoltare quel ritmo, quegli accordi, quell’armonica.

Il nuovo libro di Donatella di Pietrantonio, l’ultimo di una trilogia, attiva un meccanismo simile. La sequenza editoriale inizia con Bella mia (2014), prosegue con L’arminuta (2017), e si conclude con Borgo sud (2020). Gli accordi, il canto sono gli stessi. La stessa semplicità veicola la scrittura, parca, apparentemente minimalista, in realtà governata da un’autocoscienza che difficilmente si può trovare nella narrativa dei nostri giorni. Scivola come un a-solo di armonica di Paul Butterflied, sa tenere la tensione come la chitarra di Mike Bloomfield.

Anche i luoghi sono negli stessi accordi: L’Aquila del terremoto di Bella mia; il duro, arcaico entroterra abruzzese de L’arminuta; Pescara e il mercato del pesce di Borgo sud. Pure i personaggi appartengono alla stessa specie, come i vari esemplari di pioppi, o tigli, tutti diversi ma simili nella morfologia naturale. La narratrice è sempre lei, anche se l’identità, apparentemente, cambia: bambina e poi ragazzina ne L’arminuta, ceramista in Bella mia e professoressa in Borgo sud. Ma è il medesimo personaggio sotto le righe, serio, persino brusco, il cui occhio “normale” serve per rappresentare gli eccessi degli altri comprimari. Pur avendo una personalità ben delineata, si assume volentieri il ruolo di protagonista-spalla, che guarda, ascolta, racconta, senza giudicare; oppure, se giudica, lo fa attraverso il proprio stupore, il proprio disagio. La sua normalità è uno strumento per dare luce agli eccessi dei vari alter ego: i fratelli diabolici e insopportabili, il nipote adolescente ostile svalvolato dei due romanzi precedenti; la sorella spericolata, come un esserino primordiale che si caccia nei guai per seguire i propri istinti in Borgo sud. E lei, la narratrice, li segue, li fa danzare dalla sua piccola cabina di regia. Ricorda Sal Paradiso che anima Dean, lo fa urlare, ridere, amare, mentre lui se ne sta un po’ appartato dietro le quinte. C’è come un trasferimento di energia tra il narratore, che la tiene compressa, e l’alter ego, che invece la fa deflagrare.

Il processo creativo è interessante. Qui non vogliamo certo riproporre un’analisi alla Sainte Beuve, ovvero indaga il personaggio dell’autore per capire l’opera, però il fatto che l’autrice sia figlia unica e abbia creato dei fratelli e una sorella di intensità letteraria sovralimentata come Adriana di Borgo sud è affascinante. L’abbiamo già conosciuta ne L’arminuta, bambina che fa la pipì a letto, lo stesso letto singolo che deve dividere con lei, una girata di testa e l’altra di piedi. Ora le sorelle sono diventate donne, pronte per la nuova avventura di Borgo sud. Adriana non è un personaggio costruito a tavolino. Forse è il frutto di un desiderio non soddisfatto, o di una solitudine in cerca di riscatto. Fatto sta che la Dipietrantonio è riuscita a combinare chimicamente questi sentimenti, questa contraddizioni nell’opera, con un lavoro di pulizia che rasenta la perfezione.

L’Arminuta, che ha vinto il Campiello, resta il suo capolavoro, ma Borgo sud lo segue a contatto di paraurti, seguito a sua volta da Bella mia. E qui è doverosa una precisazione. L’autrice in questo momento è adulata dal mainstream. Ovviamente il motivo è l’unico che interessa al sistema: vende. E noi, che operiamo nel sottosuolo dell’antagonismo e dell’opposizione, siamo scarsamente interessati a ciò che domina nei livelli di sopra. Il nostro obiettivo sarebbe creare un mondo dove l’arte abbia il giusto spazio, fuori dal vippismo e dalla dittatura del marketing. Ma un bravo anarco-comunista non si tira indietro. Non ha paura di dire bello al Bello, ovunque si trovi. Perché la Bellezza non chiede il permesso. Non accetta gli inviti interessati. Si mostra dove vuole. Forse dove gli capita. E le sue apparizioni ultimamente sono così rare da diventare preziose.

Borgo sud rappresenta un’accelerazione, forse una maturazione rispetto ai due romanzi precedenti. La narratrice porta avanti due progressioni: Adriana, la sua avventura pericolosa su questa terra: è sedotta senza pietà dal ghigno beffardo di un amore impossibile e violento, e ne paga le conseguenze; la protagonista è sposata, ma il marito – l’altro – resta una figura impenetrabile, il cui mistero non si può svelare. E in questo ha in sé, forse, un’ostilità. La crisi coniugale procede inesorabile, con una cadenza da thriller, fino alla rivelazione finale, preparata con la dovuta calma dall’esperta autrice, che non esita, non si dilunga, ma fila con precisione la sua rapida ragnatela. Chiude la trilogia, per cui ci domandiamo: diventerà una quadrilogia, e una pentalogia?

E poi?