di Paolo Lago

Roberta Calandra, Otto. Tutti siamo tutti, prefazione di G. Mastrangelo, Edizioni Croce, Roma, 2020, pp. 271, € 18,00.

Nel film Cloud Atlas (2012), diretto da Lana e Lilly Wachowski e da Tom Tykwer, tratto dal romanzo L’atlante delle nuvole di David Mitchell, sei storie ambientate in tempi e luoghi diversi si intrecciano fra di loro, tutte legate dai motivi della reincarnazione e del destino. Alcuni personaggi che compaiono nel corso del tempo, caratterizzati da una voglia sulla pelle a forma di stella cometa, in tutte le storie, cercheranno di cambiare il mondo in cui vivono. Anche i personaggi di Otto – il recente romanzo di Roberta Calandra uscito per Edizioni Croce – che, a loro insaputa, si ritrovano attraverso i secoli sotto identità diverse, cercano di cambiare la realtà in cui vivono tramite dinamiche di resistenza che si oppongono fermamente ad ogni processo di prevaricazione e di violenza nei confronti dei più deboli. Come Cloud Atlas, anche Otto imbastisce una serie di personaggi, di spazi, di luoghi, di periodi storici che si intersecano e si legano.

Il titolo del romanzo si riferisce agli otto personaggi protagonisti, tutti legati fra di loro, che ricompaiono in uno spazio e in un tempo diverso sotto una diversa sembianza: Philippe e Olympia durante la Rivoluzione Francese, Gabriel e William, due poeti romantici inglesi dell’Ottocento, Milena e Greta in un lager nazista, Giacomo ed Elena nella Roma dei primi anni Duemila. I personaggi del romanzo cercano, come accennato, di cambiare la realtà che li circonda per mezzo di una resistenza all’oppressione e al lento e diffuso annientamento della dimensione umana che ritornano e si ripropongono in spazi e tempi diversi. Le storie inscenate dall’abile penna dell’autrice assumono l’aspetto di una lunga fiaba che si srotola attraverso lo spazio e il tempo, in una dimensione di erranza che sembra conferire senso all’intera narrazione. È proprio il continuo intrecciarsi dei personaggi e degli scenari che carica di senso il racconto, rivestendo di una inedita connotazione quegli stessi luoghi consegnati al dramma della Storia. Gli orrori scaturiti dalla Rivoluzione Francese, le ribellioni dei primi anni Venti dell’Ottocento, la sconvolgente dimensione disumana della quotidianità in un lager nazista, scorci di inizio Duemila funestati dalla distruzione delle Torri Gemelle di New York. Come nella struttura della fiaba analizzata da Propp, anche in Otto sono presenti alcune delle funzioni chiave rilevate dal teorico russo: l’allontanamento che, come nell’antico romanzo greco, separa costantemente la coppia di innamorati (intesi come gli “eroi” della storia), la partenza, il ritorno, la prova da superare e, solo in un caso, il topico happy end con il ricongiungimento finale. A queste funzioni si affiancano anche dei personaggi-tipo, caratteristici, secondo Propp, della “morfologia della fiaba”: l’eroe, l’antagonista, l’aiutante magico che, spesso, può anche configurarsi come un oggetto magico. A passare di mano in mano attraverso il tempo e lo spazio è infatti una collana di perle che assume quasi la funzione di “oggetto magico” dalle valenze sacrali, riuscendo a donare conforto ai personaggi nelle situazioni più difficili.

Nel primo episodio, dopo un prologo che si ricollega all’ultima storia raccontata, Olympia combatte strenuamente per la libertà e i diritti delle donne fino a essere rinchiusa, alla stregua di una folle, alla Salpetriére, “una sorta di manicomio-prigione femminile”. Il “suo progetto più ambizioso” era la stesura della “Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina”, “un testo che ha l’intenzione di rendere consapevoli le donne, al fine di chiederne la reintegrazione completa come soggetti politici”. Come una Cassandra destinata a non essere creduta e trattata da folle, Olympia “non smette di arringare le sue sfortunate compagne, ricevendo in cambio di tanta sicumera punizioni sempre più violente”. La Salpetriére, descritta con piglio storico e cronachistico dalla scrittrice, finisce per assomigliare all’ospedale di Bicêtre come è tratteggiato da Michel Foucault nella Storia della follia nell’età classica, definito dallo studioso come “un’enorme riserva di terrori”, nel quale gli “insensati” si ritrovavano al fianco degli indigenti, dei mendicanti e di molti prigionieri politici o che, semplicemente, lì erano stati spediti per rancori personali dei potenti. Anche Olympia è vittima del “grande internamento” di cui parla Foucault, della separazione della cosiddetta follia dalla ‘normalità’, dell’esclusione del diverso. E, sullo sfondo, campeggia la passione che lega i due amanti, Olympia e Philippe, in una magica danza destinata a sopravvivere nei secoli, nonostante tutto l’orrore che la Storia può generare.

Olympia resiste al sistema dell’oppressione, della segregazione e dell’internamento, come resistono anche Gabriel e William nella seconda parte del romanzo, che prende avvio nell’Inghilterra del 1820. Avvolti dalla passione, i due devono fare i conti con la società inglese che considera l’omosessualità come un reato punibile con la morte: se William sceglierà di schierarsi al fianco degli indipendentisti greci (furono diversi gli intellettuali e gli artisti che accorsero in Grecia da tutta Europa per combattere per la causa dell’indipendenza), Gabriel porterà romanticamente avanti la sua protesta personale contro le dinamiche sociali che hanno provocato l’allontanamento di William, conducendo una vita sregolata fino alla consunzione. Anche a Roma William frequenta le riunioni clandestine dei ribelli finendo poi arrestato. La Storia, quella con la “S” maiuscola, fa infatti spesso irruzione all’interno del racconto, il quale si dipana in una dimensione fantastica e fiabesca senza però mai perdere di vista la realtà storica che fa da sfondo alle vicende. L’elemento magico e fiabesco viene introdotto dalla ricorrente apparizione dell’oggetto che, appunto, si è definito come “magico”, la collana di perle che compare, a forma di otto, nella copertina del libro. Il racconto che vede protagonisti i due poeti inglesi si chiude con l’immagine della collana di perle che cade a terra, mentre anche la parte precedente, relativa alla Rivoluzione Francese, si focalizzava, nei suoi momenti finali, sulla stessa collana fra le mani di Philippe.

Una vera e propria opera di resistenza viene attuata anche da Milena e Greta nell’inferno del lager nazista di Ravensbruck. Nelle due ragazze rivivono Philippe e Olympia, Gabriel e William, personaggi che si rincontrano, adesso, in uno dei più terribili momenti della storia dell’umanità. La passione, legata a doppio filo dalla magica predestinazione che li avvolge (di cui è emblema, anche qui, la collana di perle, nascosta agli aguzzini con i più diversi sotterfugi), riesce a preservare le due giovani donne da molte situazioni disumane che si trovano a vivere all’interno del lager. La scrittura di Roberta Calandra raggiunge dei momenti veramente alti nel riuscire a descrivere, con tonalità crude e realistiche, eppure circonfuse di magica grazia, ciò che, per definizione, è inenarrabile: l’Olocausto, la tragedia dei campi di sterminio, alcuni dei baratri più profondi degli orrori della Storia. Eppure, anche qui, quest’ultima è sempre presente nella sua interezza, la fedeltà storica non viene mai tradita.

Infine, incontriamo Giacomo ed Elena, in un ritorno quasi contemporaneo (siamo agli inizi del Duemila) dei personaggi precedenti, in un’azione narrativa che si dipana soprattutto a Roma nell’ambiente fatuo e cinico dell’alta borghesia (all’inizio, Giacomo è un giovane attore in cerca di fortuna mentre Elena una già affermata regista teatrale). Ed è Elena, qui, a possedere la collana di perle, estremo lascito della madre morta suicida.
I vari episodi, oltre che agli eventi storici, attingono a diverse fonti bibliografiche, riportate in calce al libro. Se nel primo episodio, tra di esse, incontriamo anche una lettera del marchese De Sade alla moglie e la Dichiarazione dei diritti della Donna e della Cittadina di Olympia de Gouges, alla cui vita è ispirata la figura della protagonista femminile, nel secondo si moltiplicano quelle letterarie: l’autrice attinge a svariati poeti romantici inglesi, da Keats a Percy Bishe Shelley. Nel terzo episodio, l’intera vicenda attinge a Milena, l’amica di Kafka, di Margarete Buber Neumann mentre nel quarto, incentrato sull’universo del teatro, tra le fonti incontriamo Shakespeare e Artaud ma anche il Manifesto per un nuovo teatro di Pasolini.

La narrazione di Otto, attingendo a vere e proprie “radici storiche” (lo stesso Propp afferma che le fiabe e i “racconti di fate” possiedono radici ben solide all’interno della realtà storica), si srotola perciò in un vero e proprio viaggio attraverso lo spazio e il tempo, mettendo in connessione, appunto, come Cloud Atlas, spazi e tempi diversi. I personaggi sono avvolti da un nomadismo identitario che riflette la società contemporanea, caratterizzata da un flusso continuo di informazioni, di cambi di identità sociale, di veri e propri spostamenti migratori attraverso spazi lontanissimi fra di loro. E se la struttura di Otto, come quella di Cloud Atlas (e come quella di una recente raccolta di racconti di Cristoph Ransmayr, Atlante di un uomo irrequieto) potrebbe quasi essere una metafora del nomadismo identitario che investe la società contemporanea, il finale rimane comunque aperto, con la parola “FINE” seguita da un punto interrogativo. La vicenda narrata da Otto, come l’urlo finale del personaggio di Paolo in Teorema di Pasolini (autore, come abbiamo visto, citato tra le “fonti”), è allora probabilmente destinata “a durare oltre ogni possibile fine”.