di Nico Maccentelli

Una grande favolona. Questa è la pellicola L’incredibile storia de’ l’Isola delle rose, prodotta da Groenlandia, la casa di produzione di cui è titolare il regista, Sydney Scibilia, che è anche sceneggiatore. Perché il film rispetto alle vicende dell’Isola delle Rose, così venne chiamata in esperanto, è quasi un’altra storia. Ovviamente, come spesso avviene, per ragioni di narrazione accattivante.

Deve esserci il conflitto amoroso tra il protagonista e la sua bella, rigorosamente fidanzata con un altro, che prelude a un finale a lieto fine. Deve esserci l’eccentricità dell’inventore pazzo che gira su un’auto fatta tutta da lui, la banda di amici che ricorda un po’ i soldati di Salvatores in Mediterraneo. Insomma, se volete vera la storia di quest’isola, guardatevi il documentario che trovate su qui. Se invece desiderate entrare in una storia di fantasia che prende spunto da quella piattaforma che rischiò di diventare uno stato proprio a 6 miglia e 500 metri dalle spiagge di Rimini, allora siete nel film giusto, perché costruito bene, con Elio Germano che si conferma uno dei migliori attori della nostra cinematografia (vedi Volevo nascondermi dove Germano interpreta il pittore Ligabue) e una scoppiettante Matilda De Angelis (Veloce come il vento, Una vita spericolata) che non a caso è già stata catturata da una major USA (Warner Bros.) per la fresca fresca miniserie Undoing niente po’ po’ di meno che con Nicole Kidman e Hug Grant.

Già questa coppia da sola fa scena, tra il dramma e la sitcom. I veri protagonisti, Giorgio Rosa e Gabriella Clerici, in realtà erano già sposati e con un figlio nel momento in cui l’isola nasce ed entra in attività. Lei era pure presidente dell’impresa di costruzioni, la SPIC Società Per Iniezione Cemento, che permise al vero Giorgio Rosa di realizzare il suo sogno temerario. Ma questo non inficia il contesto fedelmente ricostruito di quegli anni, i mitici Sessanta della ricostruzione economica, con il ’68 che già si affacciava con le spinte liberatorie e trasgressive nei costumi, nel voler mordere la mela di un consumismo elargito a piene mani da democristiani che si dividevano tra sagrestia e donnine.

A vedere le evidenti sponsorizzazioni viene da chiamarla l’Isola del Cynar, ma si può sorvolare su dei tocchi scenografici apprezzabili perché sapientemente vintage.

È uno di quei film che si sa già come finisce e che mettendo al centro le vicende dei vari personaggi, non rivela le ragioni della fine del resto scontata del piccolo falansterio in mezzo al mare. Oltre a quella più palese, ossia il fatto che non poteva esistere uno stato a pochi chilometri dai confini italiani, le altre ragioni sono: il gioco d’azzardo, che imperversava ma clandestinamente per tutta la Riviera romagnola e che l’extraterritorialità dell’isola avrebbe impedito alle autorità italiane di intervenire, la possibilità per la stessa ragione di un’eccessiva licenza nei costumi, la possibilità di prendere per chiunque una cittadinanza fuori dall’Italia, il che avrebbe creato una miriade di contenziosi fiscali e infine la vicinanza con le coste di un paese comunista, la Jugoslavia, che faceva sospettare alle autorità italiane che dietro l’operazione Insulo del la Rozoj ci fosse qualcuno o che ci sarebbe stato. Inoltre, sarebbe stato un pericoloso precedente, che avrebbe aperto la strada a progetti analoghi e non solo in Italia.

Ma al di là delle ragioni storiche e politiche, L’incredibile storia de’ l’Isola delle Rose è un inno alla ricerca di quella libertà totale dalle maglie oppressive di istituzioni che pervadono tutta la nostra vita in una rete di lacci e laccioli che rendono routinaria e a binari unici le nostre vite. Costruire qualcosa che di vita propria inizi a rappresentare una diversa e intangibile visione del mondo ha una sua potenza visionaria. È forse il sogno che ognuno di noi declina in mille modi, anche solo nei più piccoli gesti finalizzati a ritagliarsi tempo e spazio solo per se stessi. Un microcosmo sempre più aggredito dall’invasività di regole e indicazioni, da un controllo sociale che soprattutto in questo maledetto 2020 di pandemia stiamo vivendo in modo ossessivo come non mai. Ecco perché la storia abbandona la grigia cronaca, abbandona i fatti nudi e crudi per entrare nel mito attraverso il romanzo, dove la poetica narra dell’amore, dell’amicizia nella cornice di una ricerca spasmodica della libertà.

Quella de L’incredibile storia de’ l’Isola delle Rose parte dunque da un’operazione di scriptwriting che viene adottata in quasi tutta la cinematografia biografica e storica. Lo esigono le emozioni, il gusto degli spettatori abituati dalle narrazioni del cinema mainstream. come domanda del mercato dell’entertainment.

In conclusione, a differenza del gabbiano di Giorgio Gaber, a cui era rimasta solo “l’intenzione del volo”, l’Isola di quest’altro Giorgio, l’ingegner Rosa, ha provato a volare sul serio tra le intemperie di un mondo diviso in blocchi, dove non c’è spazio per i desideri, per la libertà di essere diversi, per essere altro rispetto al normale e misero vivere quotidiano. Diventando un’isola che non c’è.