di Giorgio Bona

Acqua di colonia, lozione antiforfora, unghiolina, verbena, limonata e vodka a piacere.

La lacrima della giovane comunista. Un cocktail per le grandi occasioni e per gli incontri celebri.

E se il mattino è bello iniziarlo con un caffè, ci sono giorni dell’anno in cui non bisognerebbe tirarsi indietro e fare come Veniska, il protagonista di Mosca-Petuskj di Venedikt Erofeev.

Prosit. Alegher.

L’ebbrezza, l’oblio, la realtà e la nausea sono una condizione esistenziale che riguarda tutti, non  soltanto chi prende una ciucca nera.

  1. Presi un periodo di aspettativa dal lavoro per frequentare un corso di russo nella grande capitale del socialismo reale.

Ci stavamo avvicinando stancamente alla nascita della Perestrojka, da lì a pochi anni. Al governo, nel frattempo, c’era ancora Leonid Breznev.

Prosperava il mercato nero e un dollaro si cambiava con tre rubli, una corsa in metropolitana costava cinque copechi e non esisteva il regime secco imposto da Eltsin negli anni successivi.

Soltanto poco prima. precisamente nel 1977 fu pubblicato in Italia, dall’editore Feltrinelli, un libro straordinario di uno scrittore russo uscito attraverso canali clandestini, Samizdat si dice, un’attività dissidente dove si copiavano e diffondevano a mano opere censurate. Mosca sulla vodka di Venedikt Erofeev, titolo originale Mosca – Petuskj con una traduzione di Pietro Zveteremitch.

Romanzo uscito per la prima volta in Israele nei primi anni 70 irruppe come un fulmine a ciel sereno, perché rivelò la straordinaria personalità di uno scrittore sensibile ai più deboli, un non eroe e personaggio per eccellenza.

Quel libro per me ebbe un significato profondo ed era il dono di una velocità della mente che frantumava i confini di ogni potere.

Un pomeriggio mi assentai dal mio gruppo di studio, presi la metropolitana e scesi sulla Via Arbat. Appuntamento davanti al Ristorante Praga con il mio conoscente e amico Ivan Kulykov, giornalista in pensione della Literaturnaja Gazeta e nei momenti liberi accompagnatore delle comitive italiane nel paese.

Ivan volle evitare i luoghi frequentati dai turisti e scelse una Pilnuska del KitaJ Gorod, il vecchio quartiere dietro la Piazza Rossa.

Ero appena tornato da un giro in una libreria della capitale dove avevo comprato le opere complete di Sergej Esenin, Marina Cveateva, Osip Mandelstam e Velemir Chebnikov. Si racconta che il regime sovietico non avesse mai amato i suoi poeti, tanto meno i prosatori. E non solo. Si racconta che fu anche una tomba per intellettuali ed artisti.

Ma questi libri si trovavano, le loro opere circolavano, non dovettero aspettare la politica del nuovo corso.

Ivan, grande conoscitore della letteratura russa, non conosceva Venedikt Erofeev, o almeno, fingeva di non conoscerlo. Anzi, ne negò persino l’esistenza.

Mosca sulla vodka era un invenzione e forse dietro Erofeev c’era un autore di identità segreta perfettamente integrato nella società moscovita.

Arrivò persino a storpiare il nome. Erofeiv. In russo significa alcolizzato. Lo scrittore sembrava portare nell’etimologia del proprio nome lo stigma del suo futuro destino.

Il grande senso della letteratura. Visse negli anni terribili sfidando il sistema. Espulso dall’università, renitente al servizio militare, senza dimora in un paese dove non si poteva essere senza fissa dimora, dove il vagabondaggio era reato, dormendo per otto anni di fila alla stazione Kursk, sui treni in sosta sulla linea Mosca Petuskj.

Andava di panchina in panchina, di fosso in fosso, da stazione a stazione. Per tutto questo tempo non staccò mai la penna dalla pagina.

Uomo dallo stile di vita sregolato, scrittore trascurato dalla critica ufficiale sovietica, consacrato dopo la morte in tutto il mondo e tradotto in 26 paesi.

Eppure, al centro di questo dramma, di questa esistenza così difficile, al centro della sua scrittura affiora la felicità, radost’ serdea, la gioia del cuore.

Negli anni universitari riunì intorno a sé un gruppo di giovani studenti ammaliati dal suo modo di comportarsi e diventò per loro una guida da ascoltare e imitare.

Si rifiutò di diventare oktjabrënok (pioniere) e komsomolek. Insultò pubblicamente la segretaria del Komsomol e questa fu una delle cause per cui fu espulso dall’Università Lomosov.

Per gran parte della sua vita non ebbe un lavoro stabile. Rappresentava un’eccezione davvero rara nell’universo sovietico, un’ombra del sottosuolo priva di documenti che in URSS difficilmente si poteva trovare.

Fino alla fine dei miei giorni non intraprenderò nulla per realizzare un tentativo di ascensione. Me ne resterò in basso e dal basso sputerò su tutta la vostra scala sociale. Ecco! Per ogni scalino della scala sociale uno sputacchio. Per salire su sta scala bisogna essere una faccia da culo senza paura e senza infamia.

Le autorità non interferirono mai nella sua vita e tantomeno sull’attività creativa dello scrittore.

Non mi hanno mai convocato al KGB perché non sapevano dove trovarmi…

Guarda che scemi! Ero seduto su uno scalino della Lubjanka a farmi una vodka…

Nei suoi scritti il viaggio dell’io si sviluppa in un quadro straordinario dove i confini si frantumano, lo spazio e il tempo fuggono da una determinazione razionale, qualsiasi logica viene capovolta, ogni principio viene messo in discussione.

A Mosca, nel 1957, mentre faceva lo scaricatore  in un negozio di alimentari, riuscì addirittura a convincere i colleghi a comporre poesie ispirate ai grandi classici della letteratura mondiale e a creare un’antologia del movimento operaio.

Le sue azioni, le sue parole, combinarono elementi di invenzione e di gioco, di serietà e di sottile ironia.

Eppure di lui non resta che un unico romanzo. Sembra che ne avesse scritti altri due e che era talmente ubriaco che dimenticò i manoscritti sul treno dove aveva passato la notte.

Testi andati perduti. Bruciati dalla suocera per accendere la stufa, mangiati dalla capra nell’isba Mjolina, utilizzati come merce di scambio

Chiesi a Ivan di indicarmi Petuskj e mi disse che non conosceva tale località. Scoprii in seguito che Petuskj era una piccola cittadina che distava circa 120 Km da Mosca.

A Petuskj il gelsomino non smette mai di fiorire e gli uccelli cantano sempre…

Petuskj forse per Ivan rappresentava quello che era per Venedikt: un’utopia realizzata soltanto nello sguardo del protagonista del suo libro o, forse, un eden ormai proibito, una resa che vanificasse sforzi e sangue versato.

Di Venedikt Erofeev non restava nulla anche dopo la politica del nuovo corso. Non rientrava forse tra quegli scrittori “riabilitati” dopo il rinnovamento.

Anche i suoi lavori Venedikt li considerava merce del capitale. Cambiava volentieri il suo manoscritto per una bottiglia di vodka. Era più interessato all’alcol che alla letteratura e infatti offri i suoi scritti per comprarsi da bere. Per cinque rubli, il prezzo di una bottiglia…

Il nuovo corso non lo ha messo tra gli scrittori da riabilitare. Forse era scomodo a qualunque sistema. Un grande riconoscimento gli giunse dopo la morte, avvenuta per un tumore alla laringe che lo costrinse a parlare per cinque anni con un apparecchio che gli rendeva una voce metallica e stridente. Morì nel 1990 e il suo successo arrivò prima all’estero. Come si dice; nessuno è profeta in patria.

Ora la Russia gli rende onore e lo considera come uno dei più grandi scrittori del 900.

Tutto questo vale un brindisi. Prosit. La lacrima della giovane comunista.

Il 24 novembre 2017 a Mosca si svolse un’asta con la vendita di una copia manoscritta di appunti: 15 fogli venduti per 220.000 rubli, pari a circa 30.000 Euri.

Il tempo rende giustizia. A volte è impietoso e noi non riusciamo quasi mai a cambiare il suo corso. E la storia restituisce il maltolto. Non aggiungo altro. Ah, ancora una cosa, per chiudere con un detto delle mie parti che ha una rilevanza oltre i confini: u temp a l’è me ‘l cü e ‘l fa cul che al vö lü. Alegher.