di Cesare Battisti

Il capitale si riproduce sui propri obbrobri. Nel 2005 lo scienziato Anthony Fauci avvisò il governo USA che presto avremmo avuto la prima pandemia di infezione polmonare a causa degli attacchi all’ecosistema, e che altre infezioni sarebbero seguite. Dal 2005 a oggi, l’ordine mondiale costituito sulla crescita economica a ogni costo ha fatto tutto il possibile perché il disastro largamente annunciato divenisse realtà.

Se tra le tenebre del Covid 19 ci mettessimo a diffondere teorie di complotti e di stragi pianificate, certo non aiuteremmo il mondo a capire quello che ci sta succedendo. Bisogna però riconoscere che coloro che potevano e nulla hanno fatto per scongiurare il pandemonio hanno assunto una posizione quantomeno sospetta.

Mai prima d’ora, i signori della guerra dichiarata al pianeta Terra erano riusciti a spingere il desiderio di sicurezza dei cittadini a un punto tale, da far loro accettare la reclusione di massa preventiva. Il lockdown, come si usa dire: un’espressione che negli USA significa nientemeno che segregazione. Dove l’azione di polizia ed esercito nelle vie si rende indispensabile per dissuadere i soliti “incontenibili”. Ed ecco che si sta tutti al chiuso, facendo anche la morale a chi osa esternare qualche dubbio sull’efficacia e, eventualmente, sui reali fini di tali manovre.

Intanto, mentre da noi fiorisce l’industria delle multe, in alcuni paesi “dimenticati da Dio” diventa perfino legittimo sparare sugli incauti che si avventurano all’aperto.

Dall’avvento del Covid 19 seguire un programma qualunque, a qualsiasi ora, alla televisione, leggere un giornale della “grande stampa” nazionale e internazionale è come imboccare l’incubo di un futuro che nemmeno il buon George Orwell aveva osato paventare: non una sola parola, una sola immagine che non sia diretta a fomentare il panico collettivo. Da supporre che le voci dissidenti, o almeno critiche ch’eppur esistono, siano opportunamente ignorate dai produttori di opinione pubblica. Ciò non poteva però impedire ad alcune menti libere di esprimere il loro punto di vista differente su quanto sta realmente accadendo qui e altrove.

Senza nulla togliere alla drammaticità del virus, sono una boccata d’ossigeno le parole di Giorgio Agamben: “…La limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo”. Alla luce di ciò, come non vedere che il Covid 19 è stato utilizzato come banco di prova per un eventuale stato d’emergenza da instaurare in caso di ribellione sociale su scala globale? Non si vuole dire che il virus sia stato creato apposta a questi fini – mostreremmo il fianco a chi i complotti li fa ma deride chi ne parla – ma che questo sia stato cavalcato ad arte e mestiere dai signori della guerra (non a caso attorno al Covid 19 è fiorita una terminologia bellica), mettendo in campo tutte le risorse di cui il potere dispone per domare una ribellione di massa, ciò è sotto gli occhi di tutti.

E come se non bastassero le armi convenzionali, si tirano in ballo le più spaventose tecnologie per il controllo sociale. Si diceva il secolo scorso, tra compagni appassionati di letteratura di genere: un giorno avremo tutti un transistor – è stato molto tempo fa – installato nel corpo fin dalla nascita, così sapranno ogni istante quello che diciamo e dove ci troviamo. Deliri di gioventù, tempi in cui ci si ritrovava nelle piazze a discutere di arte e rivoluzione. Usanze stravolte dall’assalto stragista dello Stato al pensiero libero e rivoluzionario del secolo scorso. Con il conseguente declino politico e culturale delle masse che si protrae fino a oggi.

Finalmente il sogno del potere capitalista, non più riunione ma separazione, è divenuto un dato di fatto. Rintracciare i contatti (o contact tracing, come piace dire a chi se non parla inglese ha l’impressione di non dire niente) non è una novità. I nostri cellulari sono seguiti passo a passo dai satelliti e, all’occasione, anche le nostre conversazioni non sfuggono al “grande orecchio”. Evidentemente, questo non era sufficiente per tenerci a bada col dovuto tempismo e precisione. La tecnologia militare di punta dispone infatti di mezzi ben più sofisticati, ordinariamente usati in operazioni di spionaggio, soprattutto dai reparti dell’antiterrorismo. Solo la resistenza di alcuni istituti internazionali garantisti ha finora impedito che l’intera società sia presa di mira in modo indiscriminato dalla tecnologia ultra spiona.

Il Covid 19 ha messo fine a questa remora etica. Oggi si reclama a gran voce che bisogna sapere dove ognuno di noi va e con chi si incontra. E a questo ha pensato l’anno scorso la Rice University, su commissione della Fondazione Gates. Con l’invenzione di punti quantici a base di rame che, iniettati nel corpo insieme al vaccino anti Covid 19, sarebbero come un codice a barre leggibile con apposito apparecchio (“L’arte della guerra”, Manlio Dinucci). Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

Si continua a dire “nulla sarà come prima”, e c’è da crederci. Purtroppo temo che non sarà nel senso auspicato dai più ottimisti, ossia una sorta di redenzione dalla follia capitalista. Ci si sta invece avviando verso giorni in cui la parola Comunità sarà prima bandita, e poi via via svuotata di senso civico. Nell’era dei corpi separati, riunione è sovversione. Il virus si è perfezionato, l’unico antidoto è la separazione, l’obbedienza. Quella cui stiamo assistendo non è più una guerra alle ideologie, ma l’assalto decisivo del capitale contro l’essere umano in quanto comunione di corpo e spirito.

È il 25 aprile, nel carcere di Oristano, l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Così ci hanno detto e noi lo abbiamo creduto. Tanto che ogni anno il popolo è sceso in piazza, Non solo per non dimenticare la Liberazione, quanto per farla diventare una realtà, un giorno, almeno per i nostri figli. Ora la piazza non c’è più, il popolo è segregato. Il capitale stragista ha occupato la scena, relegando un sogno di libertà a una mera infezione virale.

Paradossalmente, un territorio dove la Comunità è destinata a persistere fino all’ultima matricola è il carcere. I mezzi per sopravvivere qui non esistono, neanche sarebbero possibili. A Oristano mascherine e guanti sono proibiti per ordine della direzione: servono a occultare visi e impronte digitali. Gli agenti sono mantenuti in stato di allerta permanente. Le carceri sono bombe in procinto di esplodere. Le sbarre, invece di separare, uniscono i sentimenti di rivolta. I detenuti non ci stanno a morire per mano di leggi che celebrano la vendetta. Allora si uniscono, gridano più forte del virus, vogliono comunicare con la gente, dire che una soluzione è possibile. Parliamone.