di Nico Maccentelli

Faccio una premessa necessaria: l’analisi critica che farò su alcuni temi di questa opera, Senza chiedere permesso. Come rivoluzionare l’informazione, viene svolta con un approccio marxista rivoluzionario, ossia rispetta i paradigmi ideologico-politici dell’opera stessa. Anzi, proprio per essi e per la conseguente splendida analisi che il curatore Roberto Faenza fece, ho preso in considerazione questo suo saggio del 1973 e… senza chiedere permesso al curatore stesso che oggi probabilmente avrà altri punti di vista sull’argomento.

Infatti oggi, mentre le teorie dominanti sulle comunicazioni di massa non si pongono da alcun punto di vista che non sia quello “neutro”, puramente fenomenologico, il pregio di questo vero e proprio manuale di guerriglia comunicativa è proprio quello di rompere con gli impianti teorici convenzionali per conferire alla massa un altro valore e ruolo, oltre la passività. Quindi per dare ai movimenti e al popolo in genere un’arma critica e strumenti di intervento e comunicazione pratici che possano attivare partecipazione e rompere con l’informazione ufficiale e i valori dominanti propagati dal mainstream mediatico. 

Va da sé che la critica sostanziale che emerge da questo saggio riguardo il sistema dei media è una critica marxista e di classe. Lo è sia sul piano del punto di vista, delle pratiche e degli scopi che Senza chiedere permesso si prefigge, sia per la forte influenza che il contesto in cui è stato scritto aveva sugli intellettuali e gli studiosi della sinistra in genere. I movimenti di liberazione nel terzo mondo con la guerra in VietNam e le sue ricadute politiche con le mobilitazioni di massa antimilitariste, la vaste proteste sociali e politiche del lungo ’68 da Parigi a Berkeley, il socialismo reale ripartito tra URSS e Cina, la Rivoluzione Culturale, la forza sociale e politica dei movimenti operai, costituiscono lo scenario “naturale” in cui una parte della cultura di sinistra del tempo sviluppava sapere critico per una trasformazione sociale nel superamento del capitalismo.

Senza chiedere permesso, al di là degli aspetti tecnologici, talvolta anche anticipatori (e lo vedremo) ma comunque datati, rappresenta uno spunto di riflessione fondamentale per chiunque intenda coniugare media e democrazia, comunicazione e militanza, se non proprio affrontare il nodo fondamentale del potere capitalistico delle democrazie liberali borghesi.

Ho diviso la recensione in due parti per comodità nel mio lavoro in progress, ma è nella prima parte che sostanzialmente evidenzio le basi teoriche per la riformulazione di una visione antagonista, di democrazia di base e partecipata di quelli che sono i mezzi di comunicazione di massa.

 

Per un’analisi critica del sistema dei mezzi di comunicazione di massa

Dunque, questo saggio ci riporta a una critica del sistema dei media, oggi quasi del tutto scomparsa anche nel panorama politico dell’opposizione della sinistra radicale e di classe.

Della pervasività del sistema mediatico è stato scritto di tutto e di più: dalle tecniche di manipolazione delle informazioni a quelle dell’occultamento dei fatti e degli eventi, operate dagli uffici interni ai media stessi, in sintonia con le cancellerie e le centrali di intelligence. Tavole rotonde e convegni sull’argomento e sulle strategie per il consenso dell’opinione pubblica si sono sprecate.

Ma la dominante, alla fine, è sempre una critica alla disinformazione, al totalitarismo mediatico di chi ha il monopolio dell’informazione e della produzione culturale di contenuti che veicolano i valori della società dei consumi, che però non va oltre, ossia non critica il sistema dei media in quanto unidirezionale. Perché allora ci viene da chiederci: il sistema di comunicazione statale dei paesi del socialismo reale sovietico andava allora bene? Questa convinzione, vedremo, ha influenzato l’intera concezione della comunicazione alternativa o controinformazione anche negli anni successivi alla caduto del muro di Berlino.

Dunque, ciò di cui in questi ultimi decenni si è parlato poco e in modo non sufficientemente esaustivo è la struttura stessa del sistema dei media, il suo statuto ontologico, cosa che il saggio di Faenza invece va a mettere in discussione. Del resto, il contesto storico e politico dell’epoca (inizi anni ’70) vedeva l’esistenza nel mondo di movimenti e organizzazioni che mettevano in discussione radicalmente il sistema di potere capitalista in ogni suo ambito. Oggi invece, il pensiero unico neoliberale, e le nostalgie del controcanto del modello Pravda, hanno influito, a mio modo di vedere, persino sui gruppi più antagonisti su diversi aspetti politici e di relazione con la società. Un’influenza inconsapevole, tuttavia alla base dei limiti di un’azione politica antagonista. E la comunicazione è forse l’aspetto più rilevante e limitante.

Senza chiedere il permesso indica il punto fondamentale su cui sarebbe bene riprendere un’analisi e un percorso politico e di presenza sociale per un’avanguardia politica. 

Partiamo da una questione che fa da diapason dell’intero saggio:” La costituzione italiana, che nell’art. 21 sancisce il diritto di espressione e di opinione di tutti i cittadini, protegge il nostro diritto di accesso ai mezzi di comunicazione. In realtà noi non abbiamo alcuna possibilità di esprimere le nostre opinioni, le nostre esperienze, le nostre esigenze.”1

Questo passaggio è fondamentale non tanto per fare “gli avvocati della costituzione”, ma perché fotografa esattamente quello che è ed è stato in tutti i sistemi politici e sociali sin dalla nascita dei mezzi di comunicazione di massa: giornali, radio, tv, persino l’era della rete con i suoi dispositivi di controllo sviluppati dai grandi gestori in accordo con i centri del potere (anche se in quest’ultima fase il curatore non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto).

Infatti, per media oggi si intendono dei mezzi di comunicazione unidirezionali, ossia un emittente comunica qualcosa a un ricevente, ma il ricevente non ha alcuna possibilità di fare lo stesso. 

“è un falso chiamarli mezzi di “comunicazione” quando con essi la comunicazione resta solo un’esigenza non soddisfatta. Nel momento in cui possiamo ricevere ma non rispondere ai messaggi, perdiamo la nostra capacità di soggetti e veniamo degradati al livello di oggetti.”2

Questa concezione unidirezionale che Faenza criticava nel suo saggio, è stata accettata e praticata anche da chi il sistema lo critica radicalmente. Se pensiamo quanto la manipolazione dell’opinione pubblica influisca sui processi democratici e di esercizio del potere nelle democrazie parlamentari (e non solo), non possiamo non renderci conto di come la comunicazione sociale e i media siano non un mero supporto a un sistema democratico, ma elementi ben connaturati alla struttura stessa del sistema istituzionale, delle sue espressioni politiche e delle sue innervature sociali. 

Pertanto già la loro unidirezionalità rappresenta in realtà non un fatto strutturale propositivo nella democrazie rappresentative, bensì l’elemento essenziale della crisi di democrazia dei sistemi politici parlamentari nel capitalismo.

Una delle ragioni con le quali si autolegittima la concezione unidirezionale dominante delle comunicazioni di massa, e che è supportata teoricamente dagli studi “neutrali” su questa materia, è la seguente: le masse non sono in grado di comunicare. Punto di vista assunto storicamente e politicamente anche da chi critica il sistema da sinistra. Faenza sulla questione è molto chiaro:

“Un atteggiamento comune tanto tra i conservatori quanto tra i progressisti e anche molti rivoluzionari è la sfiducia nella creatività delle masse. Le masse, dicono gli uni, non hanno nulla da comunicare. Le masse, dicono gli altri, sonooppresse e tenute nell’ignoranza, pertanto non sono in grado di comunicare. Prima che le masse possano usare i mezzi di comunicazione, devono venire liberate dall’oppressione. Prima che possano usare i mezzi di comunicazione, è necessaria la fase dell’informazione, che educa, libera e propaganda la linea giusta. È così che i vertici concepiscono generalmente il loro rapporto con le masse. Siccome è la linea politica quella che conta, non è importante che le masse comunichino, è importante che siano informate.”3 

Con buona pace di tutti: conservatori e progressisti, riformisti e rivoluzionari, capitalisti e socialisti e comunisti.

Il capitalismo non potrebbe controllare nulla e riprodursi senza questa unidirezionalità dei media, senza la mancanza di partecipazione popolare alla produzione di comunicazione.

Non avremmo produzione coatta di consenso, passivizzazione delle masse a mere consumatrici di notizie preconfezionate anche su ciò che accade dietro l’angolo di casa, spettacolarizzazione dei valori costitutivi della società dei consumi.

Nelle teorie delle comunicazioni di massa odierne, viene fatta una distinzione di qualità democratica tra il sistema occidentale: USA con i media commerciali, BBC tv di Stato britannica e modelli di media del capitalismo delle democrazie liberali, e dall’altra i media nel socialismo reale (il cosiddetto “mondo comunista” novecentesco), con la sua centralizzazione burocratica dei media come mezzi di comunicazione di Stato. In realtà, considerazione mia, entrambe non sono altro che forme diverse di controllo dell’opinione pubblica e del consenso sociale dall’alto, ottenute con modalità diverse di gerarchizzazione della produzione e diffusione dell’informazione.

In realtà, se seguiamo la critica di Faenza nel suo saggio, la scarsa o nulla qualità democratica a entrambi i sistemi mediatici è immediatamente chiara, se prendiamo l’unidirezionalità emittente/ricevente come denominatore comune, ben connesso al funzionamento stesso di sistemi sociali e politici differenti.

A ben guardare, il sistema mediatico del capitalismo liberale, di controllo gerarchizzato e di autocontrollo da parte dei centri di produzione mediatica secondo standard comunicativi prefissati da un’agenda politica, è molto più sofisticato ed efficace del modello sovietico: è il vero pilastro delle democrazie borghesi liberali, la macchina “perfetta” di manipolazione dell’opinione pubblica, di produzione del consenso e passivizzazione della massa. E ciò costituisce un vulnus molto grave per la qualità democratica nel capitalismo occidentale liberale. In pratica è ciò che lo rende totalitarismo capitalista, una delle ragioni sostanziali dell’egemonia classista borghese sulla società intera, senza i cannoni di Bava Beccaris (però sempre presenti e possibili…).

Come sopra accennato, anche nella tradizione politica del marxismo ortodosso abbiamo un’impostazione fortemente centralizzata e gerarchizzata dei mezzi di comunicazione di massa: sin dai tempi successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, che in quelli successivi della stalinizzazione e poi ancora per tutto l’arco della seconda metà del Novecento e ancora oggi in Cina. Un modello che ha fatto scuola non solo nei paesi socialisti dall’Albania alla Corea del Nord e in numerosi governi nati da rivoluzioni democratico-borghesi nel terzo e quarto mondo, ma anche nella concezione del rapporto partito/masse dei vari partiti e organizzazioni interne ai vasti movimenti sociali del lungo ’68. Senza distinzioni di “ismi”, trotschismi o stalinismi vari. Una concezione “dall’alto verso il basso” senza alcuna bidirezionalità dialettica né nell’organizzazione, né nella comunicazione. Un aspetto che non può non riguardare il dibattito nell’ambito delle forze comuniste e socialiste che su questo tema non ha fatto alcun passo in avanti se non a livello empirico, nell’autoproduzione da parte di gruppi e centri sociali e nei mezzi di comunicazione espressione di istanze e momenti di lotta e occupazione.

La questione è e resta quella posta da Senza chiedere permesso…: la mancanza di partecipazione popolare ai mezzi di comunicazione di massa è alla base della mancanza di partecipazione politica, di produzione culturale, di circolazione delle idee, di sviluppo di un immaginario soggettivo e collettivo che vada oltre la riproduzione di stereotipi e di quello che possiamo definire “pensiero prevenuto”.

 

La comunicazione orizzontale

Senza chiedere permesso ha rappresentato un tentativo a partire dalle tecnologie dell’epoca (il videotape) di ribaltare questa relazione emittente/ricevente per promuovere a livello sociale, operaio, popolare, nelle lotte e nel territorio, una comunicazione orizzontale alternativa che fosse di contrasto a quello che allora era il monopolio della Tv di Stato, la RAI.

Un tentativo ingenuo, e oggi ci sarebbe molto da ridefinire soprattutto sul piano tecnologico e con l’avvento della rete, ma con elementi d’analisi del sistema dei media e della tattica da sviluppare sul piano della contro-comunicazione che risultano essere preziosi soprattutto se prendiamo coscienza del fatto che non esiste rappresentanza politica e sociale antagonista al capitale senza comunicazione orizzontale, senza un network riconoscibile nella società che attiva ed esprime i percorsi dell’antagonismo stesso, le istanze popolari che emergono dalle contraddizioni sociali. Ma soprattutto senza la partecipazione diretta dei soggetti organizzati e non solo organizzati, in organismi di massa che producono iniziative, proposte progettuali a ogni livello, immediate, locali e generali. Il consiliarismo o è comunicazione orizzontale o non è.

Una sottolineatura di un pregio di questo saggio è la capacità anticipatrice di Roberto Faenza, determinata proprio da questa visione rivoluzionaria dei media.

Accenderemo i televisori e saremo in grado di ricevere non soltanto i soliti servizi televisivi, ma anche quelli della radio, el telefono e persino della stampa.4

È la descrizione degli attuali dispositivi di comunicazione, tv connessa, tablet, smartphone, pc, ecc. fatta nel lontano 1973.

È come dire prima la rivoluzione poi la comunicazione. In realtà La comunicazione orizzontale è lo strumento per l’organizzazione collettiva.

Nel saggio di Roberto Faenza si prendono a spunto concetti fondamentali da Mao Tse Tung e considerazioni dall’attivista delle Black Panther Kathleen Cleaver, riguardo “insegnare alle masse, educarle e prepararle” alla rivoluzione, da cui emergono metodologie di intervento come l’inchiesta e il ruolo dei rivoluzionari come “facilitatori” nella comunicazione antagonista.

“Da molto tempo sostengo che dobbiamo insegnare alle masse con precisione ciò che abbiamo ricevuto da esse (notare: questa frase da me sottolineata) con confusione. Per stabilire stabilire lo stretto contatto con le masse occorre conoscere le loro esigenze e i loro desideri. In ogni lavoro con le masse occorre partire dalla conoscenza delle loro esigenze.”5

“La repressione in America ha raggiunto un tale grado di intensità che nessun nucleo rivoluzionario, tanto meno il così detto movimento, è riuscito a venirne fuori. (…) Questa situazione ci porta a muovere verso un livello più generale, che non è più quello del partito e della lotta armata contro un nemico incredibilmente armato, ma quello dell’educazione e della preparazione delle masse, che è un problema di comunicazione. A questo punto molti dei nostri militanti hanno deciso di diventare dei ‘facilitatori’”6.

Il compito delle avanguardie politiche non si limita dunque a inchieste dall’esterno e a dettare poi la linea politica, come credono praticamente quasi tutti i gruppucoli di oggi. Educare, preparare e insegnare alle masse ciò che è stato ricevuto da esse con confusione, significa attivare la comunicazione orrizzontale. Un’inchiesta deve nascere dall’attivismo dal basso. Solo così ha senso la leninista “coscienza dall’esterno” come principio del binomio dialettico avanguardia/classe e non come modello reiterato nel tempo in modo antidialettico. Tale “esterno” è la sintesi di un processo di organizzazione e comunicazione molto più complesso del giornaletto o della webfanzina, della visione meccanicistica fin qui avuta. Un esterno che esiste solo se c’è un interno che ne fa da cuore e motore. Un esterno che non è separato dall’interno. Spesso si fa confusione sul ruolo del militante bolscevico di professione portato a modello universale, al di là della fase politica in cui era necessario e delle condizioni storiche e sociali della classe operaia e dei contadini russi dell’epoca.

Senza chiedere permesso rompe con questa visione meccanicistica, poiché mette in relazione l’attività rivoluzionaria con le masse proprio attraverso la bidirezionalità e reciprocità emittente/ricevente della comunicazione. Ed essere “facilitatori”, anche nelle condizioni peggiori sul piano della coscienza collettiva e dell’identità politica, significa lavorare sul campo per unire lotta a comunicazione, per attivare nei movimenti e nelle masse quegli strumenti di comunicazione orizzontale che rompono con l’inattivismo che è anche mentale, della routine quotidiana, della mancanza di alternative.

 

Senza chiedere permesso oggi

Il contesto in cui si svilupperebbe la comunicazione orizzontale Senza chiedere permesso lo indica nella rivoluzione del videotape, ossia del sistema analogico associato a un’altra grande trasformazione tecnologica: la tv via cavo. L’autoproduzione di contributi video associata a una sorta di diffusione della controinformazione popolare nei caseggiati, nelle università, nelle fabbriche. Siamo agli inizi degli anni ’70 e mentre in Italia e nel Regno Unito si sviluppavano modelli radiofonici e televisivi di Stato, negli USA avevamo il grande sistema mediatico dei network commerciali. Nei decenni successivi avremmo poi visto la commercializzazione anche del cavo con canali per lo più specifici, ma soprattutto in Italia l’avvento del modello statunitense con l’era di Mediaset e delle tv commerciali. 

Tuttavia, proprio oggi in cui l’evoluzione tecnologica dei media è progredita fino al digitale, alla multimedialità, alla rete, ai social media e all’interconnessione dei più diversi dispositivi di ricezione e nel contempo emissione di contenuti, la possibilità di una comunicazione orizzontale diviene ancora più concreta.

Lo smartphone e i social per esempio hanno fatto da veicolo collettivo di mobilitazione popolare in numerose proteste e rivolte sociali dalla Cina all’Egitto. Oggi con la rete, i social e i dispositivi diviene molto difficile per i regimi coprire le repressioni. Del Cile di Piñera e dei suoi massacri sappiamo tutto. La mobilitazione delle donne partita con un flashmob antisistema e anti- patriarcato da questo paese si è propagata velocemente in numerosi altri paesi con un linguaggio e contenuti antagonistici comuni. Eventi di comunicazione che evidenziano tutte le potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa utilizzati anche se sporadicamente come comunicazione orizzontale.

La guerriglia di massa diviene anche guerra sociale dal basso verso l’alto sul piano dell’informazione, nella trasmissione di esperienze, pratiche, riflessioni, analisi delle diversità e dei punti in comune. Solo le avanguardie gruppuscolari di un’ortodossia marxista ingessata non lo sanno e non lo praticano. Ma questa concezione della comunicazione orizzontale è invece propria del marxismo rivoluzionario, della partecipazione popolare ai processi di lotta, all’organizzazione di classe.

A chiusura di questa prima parte va detto che se intendiamo dichiarare la fine di una sinistra supina alle logiche economiche neoliberali, dei cespuglietti a sinistra del PD che vogliono “migliorare” ciò che si può solo distruggere, dobbiamo mettere fine anche a quella visione della comunicazione che relega nella passività generale la massa.

In altre parole, è finito anche il tempo dei giornaletti autoreferenziali, stampati o in rete, che declinano l’inconsistenza e le velleità gruppuscolari d’avaguardia, da partitini, dei tanti sogetti frammentati nella galassia di una sinistra antagonista. Utili giusto per le cerchie ritrette di aficionados ma non per arrivare a un pubblico più allargato, ma soprattutto inservibili per attivare percorsi di partecipazione popolare e autorganizzazione.

La rivoluzione può solo manifestarsi attraverso l’organizzazione e la partecipazione popolare dal basso e da elementi che la attivino in percorsi di democrazia diretta: la comunicazione orizzontale è elemento, fondamentale, imprescindibile e quindi decisivo, strumento di consiliarismo permanente, elemento di una costituente popolare. Diversamente continuerà a riprodursi anche nei discorsi rivoluzionari più roboanti il rapporto emittente/ricevente, attivismo/passività, che tanto avvilisce anche gli zoccoli politici più “duri e puri”.

 

NOTE:

  1. Senza chiedere permesso come rivoluzionare l’informazione, di Roberto Faenza, pag. 13.
  2. Ibidem, pag 18.
  3. Ibidem, pag 42.
  4. Ibidem, pag 21.
  5. Ibidem, Mao Tse Tung, pag. 43
  6. Ibidem, Kathleen Cleaver attivista delle Black Panthers, pag. 56