di Franco Pezzini

È appena uscito, a cura di chi scrive, Abraham Van Helsing e l’ultima crociata. Tutto Dracula volume 2, pp. 495, € 24, Odoya, Bologna 2019. Se ne riporta uno stralcio, con citazioni dal romanzo tratte da quell’edizione Feltrinelli 2011 a cura di Luigi Lunari, utilizzata a suo tempo per il corso TuttoDracula, 2012-2014, da cui è “figliato” il presente volume come il precedente Il Conte incubo. Il brano che segue, sul cap. 23 del romanzo, vede i cacciatori appostati in uno dei covi acquistati a Londra dal terrorista orientale Dracula, e uno dei loro pochi confronti diretti con lui: un episodio che permette d’altronde di aprire finestre verso altri miti eccellenti dell’età vittoriana.

L’occasione mi permette di ricordare con simpatia e gratitudine Lunari (1934-2019), conosciuto proprio in occasione di quella sua traduzione, intellettuale vivace ed eclettico dalla strabordante umanità, morto a Ferragosto di quest’anno.

Dracula il Saltatore

3 ottobre

La narrazione passa ora a Seward per poi tornare ad Harker: si tratta insomma nuovamente di un capitolo a più voci. E la prima parte è ancora datata al 3 ottobre, che riprende dal punto interrotto da Jonathan, in attesa coi due medici del ritorno di Arthur e Quincey [in missione per sterilizzare altri covi del vampiro a Londra]. […]  Nell’attesa Van Helsing cerca di “mantenere attivi i nostri cervelli” non lasciando che i presenti si ripieghino su se stessi. Soprattutto Harker, sopraffatto dalla tristezza [la moglie Mina è stata infettata da Dracula] e improvvisamente invecchiato – non solo nel colore dei capelli ma nei tratti segnati dal dolore – anche se ardente di un’energia febbrile, che può permettergli di reagire alla crisi. Dracula ringiovanisce (potremmo dire) facendo invecchiare gli altri…

Comunque Van Helsing, preoccupato per Jonathan, cerca di intrattenerlo. Ha studiato e ristudiato le carte relative al Conte, ed è sempre più convinto che occorra distruggerlo. Infatti “Tutto dà prova di suo progredire: non solo per quanto riguarda sua potenza, ma anche di sua coscienza di questo”. E il tema dei progressi di Dracula, del suo progressivo imparare e sperimentare nel nuovo stato di non-morto, anche in seguito ritornerà nell’analisi di Van Helsing: un proto-neuroscienziato che, ci aveva informato Renfield, “ha rivoluzionato la terapeutica, con la scoperta della continua evoluzione della materia cerebrale”.

Citando l’amico Arminius dell’Università di Budapest e riprendendo le informazioni già fornite nella lezione al cap. 18, il professore ricorda che Dracula “in vita è stato grande uomo. Soldato, statista, e alchimista – la quale alchimia era il punto più avanzato del sapere scientifico della sua epoca”. Questo tema dell’alchimia è interessante e originale: e da un lato preannuncia i riferimenti che nel capitolo successivo Van Helsing dispenserà sulle bizzarrie geologiche e chimiche della regione in cui il Conte ha abitato per secoli. Però dall’altro richiama quel confronto tra macro e microcosmo che vede il corpo umano stesso farsi athanor, fornello di trasformazione alchemica: e si può pensare a tutto il tema dell’alchimia del sangue, che verrà sviluppato da certi filoni esoterici del Novecento. Ma in realtà Stoker lascia i riferimenti vaghi, a evocare più genericamente un titanismo ermetico nel flirtare coi segreti della Natura, e la romantica, luciferina ambiguità di cui nell’Ottocento si paludava l’idea dell’alchimia.

Van Helsing continua: “Aveva una grande intelligenza, e una cultura senza confronti, e un cuore che non conosceva né paura né rimorso”; un ritratto che, ribadiamolo, non corrisponde che in modica parte a quello del Dracula storico, guardando piuttosto a un profilo di liberissima reinvenzione, a un super-vilain divenuto tale proprio per l’assoluto sprezzo di ogni limite caratteriale o etico: e non a caso il vampiro è proprio la creatura che sfugge limiti e definizioni esistenziali. Van Helsing torna anzi a sottolineare che il Conte aveva “osato perfino frequentare Scholomance [la scuola di magia gestita dal diavolo], e non c’era ramo del sapere del suo tempo che lui non ha provato” (“He dared even to attend the Scholomance, and there was no branch of knowledge of his time that he did not essay”): a innestare la condanna del vampirismo in un dramma faustiano. Che dal titanismo romantico delle fonti ottocentesche d’ispirazione del romanzo (pensiamo agli eroi maledetti portati in scena da Irving) traghetta però idealmente a certi profili di nevrosi e alienazione nichilistica del Novecento.

Eccezionale in vita, il Conte rimane tale da non-morto e “in lui i poteri della mente sono sopravvissuti alla morte fisica; anche se pare che la sua memoria non rimanesse completa”. Una soluzione ovviamente, ancora una volta, funzionale allo sviluppo narrativo, per contenere la forza di un nemico troppo ingombrante per gli eroi: dove però forse Stoker recepisce una delle obiezioni fondamentali all’idea del vampirismo, il tema della rapida degenerazione del cervello dopo la morte, rileggendola in termini di libertà artistica. La morte condurrebbe così a una sorta di nuova, oscura infanzia:

 

In qualcuna delle facoltà del suo cervello era rimasto, ed è anche adesso, un bambino; però sta crescendo, e alcune cose che in principio erano infantili ormai hanno preso una dimensione adulta. Sta sperimentando, e lo fa piuttosto bene; e se non era che noi abbiamo attraversato la sua strada, lui poteva essere – e se noi falliremo, lo sarà – il padre o il capostipite di un nuovo genere di esseri, la cui strada si snoda non attraverso la Vita, ma attraverso la Morte.

 

Cioè – come già accennato – un Adam Dracula, con tutti gli echi possibili impliciti nel concetto, sia sul piano simbolico-religioso che su quello scientifico-evoluzionistico. Sorto in un contesto sociale dove le interpretazioni di Charles Darwin conoscevano recezioni distorte in termini di xenofobia culturale, il minaccioso straniero Dracula capace di allarmanti progressi in termini (anti)evoluzionistici è stato definito da qualche critico un perfetto esempio di mostro darwiniano. Forte infatti dell’antica tenacia, Dracula sviluppa a poco a poco il suo piano complesso: e, insieme al piano, cresce il suo cervello.

A quel punto Harker, angosciato che tutto ciò combatta contro Mina, chiede a Van Helsing di chiarire in che senso il nemico stia “sperimentando”: e il professore risponde che da quando è sbarcato in Inghilterra, il vampiro ha continuato a mettere alla prova il proprio potere; e buon per loro che il suo cervello sia ancora infantile nel senso già accennato, altrimenti sarebbe già stato troppo forte. Ma conta di conseguire i propri obiettivi, e avendo i secoli davanti a sé può procedere con tutta calma.

Harker però nuovamente chiede di capire, visto che dolore e preoccupazione devono avergli rallentato il cervello: e questo meccanismo, per cui il discepolo si rivolge a più riprese all’iniziatore con le proprie domande e quello pazientemente riprende il tema, rimanda simmetricamente ai dialoghi di Seward con Van Helsing nei giorni drammatici della morte di Lucy. Il professore fa notare “come, di recente, questo mostro è avanzato in conoscenza attraverso tentativi e esperimenti”, e spiega – per i lettori meno attenti – che per esempio ha usato Renfield per aggirare il tabù del permesso di entrare; ma anche che ora, evidentemente, ha capito che può spostare da solo le casse, senza farne conoscere l’ubicazione ad altri. Anzi, potrebbe avere l’intenzione di seppellirle sottoterra,

 

così che per lui sia comodo usarle [nel senso di entrarne e uscirne] non solo di notte ma anche in qualsiasi momento voglia cambiare sua forma [torniamo alla cassa come luogo del cambiamento]; e nessuno può sapere dove sono i suoi nascondigli! [So that only he use them in the night, or at such time as he can change his form, they do him equal well, and none may know these are his hiding place!].

 

Però – tranquillizza Jonathan – Dracula arriva tardi. Tutti i rifugi sono già stati esorcizzati, tranne uno che individueranno prima del tramonto, e a quel punto non avrà più una tana: per questo il professore ha scelto di muoversi a un’ora più tarda. Così (sembra intenda) non hanno trovato il vampiro a riposo in una delle basi. Ovvio, devono essere anche più prudenti di lui… Comunque, conclude, è ormai l’una, e Arthur e Quincey dovrebbero essere ormai di ritorno, rinforzando la squadra.

A quel punto un doppio colpo dalla porta d’ingresso li fa sobbalzare, ma è solo il ragazzo del telegrafo che consegna a Van Helsing un telegramma di Mina. Che recita

 

Attenti a D. È arrivato qui ora, 12,45, di corsa da Carfax e di fretta si è diretto verso sud. Sembra voler fare il giro e forse vi cerca. [Look out for D. He has just now, 12:45, come from Carfax hurriedly and hastened towards the South. He seems to be going the round and may want to see you.]

 

Sembra di capire che Mina – che avevamo trovato alla finestra – abbia avvistato il Conte, plausibilmente furioso, mentre imboccava la strada verso sud. Ma può darsi che la condivisione di sangue abbia reso Mina capace di cogliere il suo passaggio anche senza una visione diretta: la dinamica non è troppo chiara.

In ogni caso Jonathan ringrazia Dio, non vedendo l’ora di incontrare il nemico: Van Helsing allora gli rammenta che Dio agisce “secondo suoi tempi e modi”, e lo esorta a evitare timori e baldanza, visto che “quello che adesso noi desideriamo potrebbe essere nostra fine”. Anzi, ad Harker che si dice pronto a vendere l’anima (“I would sell my soul”) pur di spazzare via il mostro, il professore ricorda che Dio non acquista anime in tal modo, e per contro il diavolo non mantiene le promesse: dove il tema del patto col diavolo richiama ancora idealmente alla dimensione faustiana del romanzo, con echi sparsi fin da quei primi capitoli in cui Jonathan contratta – sia pure per conto dello studio Hawkins – col mefistofelico Conte. Torniamo a rammentare che Henry Irving aveva portato in scena il Faust nel 1886, pochi anni prima dell’inizio dell’operazione di scrittura del Dracula.

Van Helsing esorta ancora a una serena fermezza, dal momento il vampiro ha poteri e limiti degli esseri umani e fino al tramonto non può trasformarsi: è l’una e venti, ci metterà ancora un po’ ad arrivare e c’è da sperare che giungano prima gli amici. Questo tema dell’attesa dei cacciatori in tensione è giocato da Stoker con efficacia, ancora una volta in pagine troppo spesso poco considerate.

In effetti una mezz’oretta dopo il telegramma ecco nuovamente bussare alla porta, e i nostri sobbalzano; poi, armati (arma spirituale nella sinistra, materiale nella destra) raggiungono l’anticamera, Van Helsing schiude a metà la porta… e possono finalmente tirare un sospiro di sollievo all’apparire di Arthur e Quincey. Che, chiusasi la porta alle spalle, annunciano di aver trovato i due covi, e sterilizzato in entrambi sei casse; per cui – conclude Quincey – non resta loro che aspettare lì. Se poi il Conte non apparisse per le cinque dovrebbero tornare alla base per non lasciar sola Mina dopo il tramonto. Ma Van Helsing ribatte che Dracula sarà lì tra non molto, e ricostruisce lo spostamento:

  • da Carfax si è diretto verso sud, quindi ha passato il fiume e può averlo fatto solo con la bassa marea poco prima dell’una: in questa fase il Conte nutre solo sospetti sulle mosse avversarie, e dunque si è diretto dove ritiene ci sia minore interferenza della squadra;
  • a Bermondsey (base sud) dev’essere passato poco dopo Arthur e Quincey…
  • …che evidentemente l’hanno preceduto anche a Mile End (base est), per raggiungere la quale, ripassando il fiume, ha però di certo perso un po’ di tempo;
  • ne segue che ormai sta per piombare a Piccadilly, per cui devono aver pronto subito un piano d’attacco.

Ma a quel punto impone silenzio, “Tutti pronti con le vostre armi! In guardia!”, e “nel silenzio tutti abbiamo sentito una chiave introdursi piano nella serratura della porta d’ingresso”. Seward registra ammirato “il modo in cui una personalità superiore riesce a manifestarsi”: Quincey Morris, che era sempre il pianificatore “In tutte le nostre battute di caccia e altre avventure condotte in varie parti del mondo” (a evocare le vacanze esotiche di rampolli di facoltose famiglie anglosassoni, ma in particolare il modello dell’americano cacciatore di tracce), qui obbedisce immediatamente ai segni muti – uno sguardo, un gesto – coi quali Van Helsing li piazza in posizione. Il professore, Harker e lo stesso Seward dietro alla porta, in modo che all’entrata del Conte il primo gli si pari davanti e gli altri gli taglino l’uscita; Arthur e Quincey fuori dall’immediata visuale, ma pronti a bloccare la finestra. “Noi tutti aspettavamo col fiato sospeso mentre ogni secondo sembrava scorrere con la lentezza di un incubo. Risuonarono nell’anticamera passi lenti e prudenti: il Conte era evidentemente preparato a una qualche sorpresa, o comunque la temeva”… finché all’improvviso, “con un solo balzo” se lo ritrovano dentro. Il movimento è tanto veloce che non si accenna neanche all’aprirsi della porta: e il Conte si apre la strada tra gli avversari, prima che chiunque possa tentare qualunque cosa per fermarlo. “Nei suoi movimenti c’era qualcosa di così simile ai movimenti di una pantera – qualcosa di così non umano che subito è sembrato farci superare lo choc del suo arrivo”: dove l’espressione un po’ barocca (“There was something so pantherlike in the movement, something so unhuman, that it seemed to sober us all from the shock of his coming”) sembra significare che lo choc stesso per quell’irruzione così assurdamente veloce viene archiviato da un’altra impressione ancora più scioccante sull’inumanità di quel tipo di movimento. Con Dracula, non solo si iniettano nel racconto di vampiri caratteristiche del genere avventuroso – eroi giovani e dinamici, azione, velocità – ma è lo stesso vampiro che viene dinamizzato come a effetti speciali in modo del tutto nuovo.

Comunque è Harker a reagire per primo, balzando davanti alla “porta che conduceva alla sala sul davanti della casa” (probabilmente il locale ha due porte): e sul volto del Conte l’iniziale ghigno a canini snudati lascia subito posto al “freddo sguardo di un disdegno leonino” (“a cold stare of lion-like disdain”). Seward parlava prima di batture di caccia, e il Conte ha già assommato caratteristiche di pantera (pantherlike) e di leone (lion-like): il contesto è quello di una caccia, ed è interessante notare che la stessa terminologia da caccia grossa tornerà in un racconto di poco successivo su un agguato in una casa abbandonata a un arcicattivo, “L’avventura della casa vuota” (1903) con l’agguato di Holmes ricomparso alla – potremmo definire – seconda incarnazione del Male, il colonnello Moran. Le cui avventure esotiche, il record di tigri uccise e le memorie di caccia attribuitegli giustificano le metafore e similitudini alla “dark jungle of criminal London”, alla caccia a una “wild beast” e specificamente a una tigre, cui Watson assimila il colonnello (anzi nel contesto non stupisce che a sua volta Holmes gli balzi addosso “like a tiger”).

Poi però l’espressione del vampiro muta di nuovo quando gli avversari gli si fanno addosso: e qui c’è un’osservazione curiosa, perché Seward che si era sperticato in elogi sulla capacità organizzativa di Van Helsing ammette che si sono mossi “concordemente, d’impulso” (“with a single impulse”) e che “Era un peccato che non avessimo un piano d’attacco meglio organizzato, perché anche in quel momento io mi chiedevo che cosa dovevamo fare”.

Ammette anche di non sapere se poi, alla prova dei fatti, le loro “lethal weapons” avrebbero funzionato: ma Harker tenta un affondo con il suo “great Kukri knife” e solo il balzo all’indietro diabolicamente rapido del Conte gli evita di restarne trafitto. È interessante che sia lo stanziale Jonathan e non uno dei facoltosi giramondo Arthur, Quincey e Jack a brandire quest’arma esotica usata anche come attrezzo da lavoro, originaria del Nepal e utilizzata in particolare nei reggimenti Gurkha della British Indian Army. Tra la fine della Indian Rebellion, 1857 e la Prima Guerra Mondiale i reggimenti Gurkha operarono non solo in Oriente (Burma, Afghanistan, India, Malesia, Cina, Tibet) ma anche a Malta durante la guerra russo-turca (1877–78), e a Cipro: comunque Jonathan può averlo acquistato in Inghilterra.

La punta però raggiunge la stoffa della giacca del Conte (“the cloth of his coat”), con uno squarcio da cui cadono “un rotolo di banconote e un fiume di monete” (“a bundle of bank notes and a stream of gold”). Mentre un’espressione infernale si disegna sul volto di Dracula, Harker si prepara a un secondo affondo e Seward si fa avanti con crocifisso e ostia, subito imitato da qualcuno dei compagni. Con risvolti mistici – “Ho sentito una straordinaria forza fluirmi lungo il braccio” – del tipo sovrannaturalistico che poi ispirerà autori popolari come Dennis Wheatley quando descrive eroi in lotta col Male, ma che possono essere intesi anche nella loro dimensione emotiva.

Comunque Dracula retrocede, ed

 

È impossibile descrivere l’espressione di odio e di malvagità sconfitta – di rabbia e d’ira infernale – che si è dipinta sul volto del Conte. Il suo volto di cera si è fatto verde e giallastro in vivido contrasto con gli occhi fiammeggianti [“His waxen hue became greenish-yellow by the contrast of his burning eyes”: ancora una volta la maschera di cera, maschera mortuaria e gorgoneion, che acquista tonalità di livore verde/giallastro, quasi in sostituzione dell’arrossamento che avrebbe un vivo forse per la putredine del sangue che irrora il corpo non-morto, cfr. per esempio in Ap 6, 8 il cavallo verde: “Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano”]; mentre la rossa cicatrice sulla sua fronte spiccava sul pallore della pelle come una piaga palpitante [and the red scar on the forehead showed on the pallid skin like a palpitating wound].

 

Dove torna il tema della ferita inferta da Harker sul capo di Dracula, che però il campione di trasformismo non sembra essere stato in grado di far sparire. O non vuole farla sparire, a memento simbolico della vendetta, come il servo del re dei Persiani con l’ordine di comunicargli ogni giorno: “Sire, ricordati degli Ateniesi”? In ogni caso questa strana cicatrice sembra presentare un peso simbolico: da un lato per le solite specularità richiama il segno sulla pelle di Mina, ma più in generale evoca un intero filone di ferite mistiche, in particolare della letteratura cavalleresca. Si pensi alla piaga incurabile del Re Vulnerato Anfortas delle storie graaliche – del resto se il Graal epifanizza in un castello, Dracula ha ricevuto la ferita mentre si trova ancora nel proprio castello covo di misteri d’immortalità anti-graalica, per il solito motivo della simbologia invertita – o alla mutilazione di Clinschor, castrato da un marito tradito come Jonathan.

Con “un guizzo serpentino” (“a sinuous dive”) il vampiro riesce però a sgusciare sotto il braccio di Harker evitando il colpo; “raccolta una manciata di monete dal pavimento” balza attraverso la sala e sfondando la finestra si lancia giù, tanto che Seward può cogliere anche “il tintinnio delle monete […] sulle pietre”. Ai cacciatori accorsi alla finestra, il Conte appare però rialzarsi indenne, risalire una rampa e attraversare il cortile, spalancando la porta di una scuderia o rimessa che vi si apre (“He, rushing up the steps, crossed the flagged yard, and pushed open the stable door”). E la scena presenta almeno due suggestioni intriganti.

La prima è naturalmente il tema del denaro. Abbiamo visto che Dracula è un avido tesaurizzatore che va in cerca di tesori sepolti, ammassa monete nel suo castello e minaccia il facchino che vuole più soldi: mentre i buoni spendono con larghezza per la buona causa, valorizzano cioè la ricchezza dono di Dio, il Conte mostra verso di essa un rapporto forzato e predatorio. E la sua foga nel chinarsi a raccogliere una manciata di soldi nel pieno dello scontro è in fondo l’ennesima, grottesca icona della profanazione, in questo caso di un bene-benedizione di Dio.

Ma c’è un secondo spunto, legato alle mitologie vittoriane. Dracula balza giù dalla finestra, si rialza illeso in un cortile chiuso e ora lo vedremo sfuggire per quella via: ed è possibile che per questo vampiro acrobata Stoker trovi ispirazione in un personaggio di una leggenda metropolitana del tempo, quello Spring-heeled Jack, Jack dai tacchi a molla o Jack il Saltatore, così chiamato per il suo stranissimo modo di fuggire. Questa creatura che avrebbe infestato le notti di Londra – ma avvistata in seguito anche in altre aree della Gran Bretagna e persino oltreoceano – sarebbe stata infatti in grado di compiere balzi prodigiosi, saltando senza necessità di rincorse dalla base di un edificio fin sul tetto a decine di metri, defilandosi così di fronte agli sguardi basiti di testimoni ed eventuali inseguitori. Se fantasmi saltanti sono menzionati a Londra fin dal primo Ottocento e un misterioso “peculiar leaping man” (un “curioso uomo che salta”) emerge citato dalla stampa britannica nel 1817, la prima testimonianza articolata su Jack il Saltatore rimonta all’ottobre 1837: in due giorni successivi lo strambo personaggio prima forza una ragazza ai propri baci, strappandole i vestiti e toccandola con artigli freddi da cadavere, e poi terrorizza un cocchiere saltando all’improvviso sulla sua carrozza, e dileguandosi con un altro salto oltre un muro di nove piedi (m. 2,7). Nel periodo successivo si moltiplicano le denunce di aggressioni imputategli, e la stampa che inizialmente usa nomi come “Leaping Terror” e “Suburban Ghost” prende via via a parlare di “Spring Heeled Jack”; poi, dopo un periodo di calo, un nuovo picco si ha negli anni Quaranta, con apparizioni un po’ ovunque in Inghilterra. Spesso le testimonianze parlano di una figura umana piuttosto robusta, dal sembiante teatralmente demoniaco: occhi fiammeggianti, viso spaventoso sormontato da un elmetto o da corna, mantello nero e artigli affilatissimi di metallo. Si ipotizzerà un improbabile acrobata deforme, o piuttosto un briccone che capitalizza le paure della gente: come un certo aristocratico irlandese eccentrico e propenso a ubriachezze e vandalismi, Henry de la Poer Beresford, terzo marchese di Waterford, che ha occhi bizzarramente sporgenti e – guarda caso – si trova spesso nei paraggi quando Jack si manifesta. Ma se è possibile che lui sia responsabile di alcune comparsate, è un fatto che dopo la sua morte nel 1859 la creatura continui a colpire, fino a ispirare – si dice – la scelta del nome di un più sanguinario epigono, lo Squartatore. D’altra parte il Saltatore presenta già i connotati di un buon soggetto per isterie di massa: e la sua descrizione vede interessanti punti di contatto con la ben più recente leggenda metropolitana marca USA del Mothman, l’uomo falena, scuro con occhi fiammeggianti e ali non troppo diverse dal mantello del protomodello vittoriano.

Insomma si mobilitano vigilantes e la polizia ce la mette tutta, ma invano: Jack sfugge sempre. Ma nel frattempo del personaggio si stanno impadronendo la carta stampata (tre pamphlet sugli eventi già nel 1838, in seguito vari penny dreadful e romanzi popolari) e il teatro, che amano raffigurarlo con stivali e baffoni. Un nuovo picco di apparizioni si ha con gli anni Settanta: nel 1877 dei soldati gli sparano addosso invano. E se le ultime comparsate si registrano in Inghilterra agli inizi del Novecento (vi riapparirà, secondo alcuni, negli anni Settanta) negli Stati Uniti si sprecheranno denunce tra il 1938 e il 1945. Per la fughe di Dracula Stoker dispone insomma di un ottimo modello.

Comunque, ormai al sicuro in distanza sulla porta spalancata della scuderia, il vampiro – inevitabile pensare al Mefistofele di Irving, con quanto di teatrale ciò comporti – si volta e parla ai suoi nemici:

 

Voi pensate di averla vinta su di me, voi – con quelle pallide facce, lì tutti in fila, come pecore di fronte al macellaio. [“You think to baffle me, you with your pale faces all in a row, like sheep in a butcher’s”: “[…] era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” è espressione biblica, Is 53, 7]. Ma ve ne pentirete, dal primo all’ultimo! Voi credete di avermi sottratto un luogo dove riposare; ma io ne ho degli altri! E la mia vendetta è appena cominciata! Io vivo nei secoli, e il tempo è dalla mia parte. [Si noti che l’espressione “My revenge is just begun!” – e che connota il classico villain popolare – sembra riferirsi a qualcosa di assai più antico delle manovre dei nostri eroi: di qui lo spazio a infinite letture, ma Stoker lascia il tutto piuttosto generico.] Le donne che voi tutti amate sono già mie; e grazie a loro anche voi e altri come voi sarete presto miei – creature mie, per obbedire ai miei comandi e farsi sciacalli obbedienti quando avrò fame e sete. [“Your girls that you all love are mine already. And through them you and others shall yet be mine, my creatures, to do my bidding and to be my jackals when I want to feed”: Dracula parla di girls, Mina ma anche Lucy, a sbeffeggiarne i partner e fingere d’ignorare il trattamento subito da quest’ultima; e ciò che Jonathan vagheggiava di fare per amore, cioè abbandonarsi al morso di Mina una volta che lei fosse una vampira, Dracula lo vede in funzione strumentale per arricchire le proprie truppe. Se poi, tornando al linguaggio della caccia grossa, Dracula è pantherlike e lion-like, i suoi avversari gli appaiono semplici jackals: forse non tanto in relazione all’idea di obbedienza delle “my creatures” evocata subito prima, quanto al fatto che gli sciacalli campano dei resti lasciati dai grandi predatori. Come i vampiri asserviti, che si nutrono di quanto avanza al loro master.]

 

E con un “Bah!” di sprezzo, varca la soglia della scuderia chiudendosi dentro col catenaccio. Seguirlo lì dentro è molto difficile, e spostandosi verso l’anticamera Van Helsing cerca di sollevare gli animi: hanno imparato parecchio da quell’incontro ravvicinato, e a dispetto delle parole baldanzose Dracula li teme, teme il tempo, teme ciò che (letteralmente) vuole, cioè i suoi stessi bisogni – traduce Lunari – o le privazioni – traduce Saba Sardi (“he fears us. He fears time, he fears want!”). “Non fosse così, perché lui tanta fretta? Anche il tono di sua voce lo tradisce, se mie orecchie non ingannano me. Perché prendere quei soldi?”: e spedisce gli amici, “cacciatori di bestie selvagge” in fretta sulle tracce del Conte, riservandosi il compito di far terra bruciata in quella tana perché Dracula non possa trarne più niente. Raccoglie dunque le monete, preleva i documenti, e il resto lo brucia nel camino.

Arthur e Quincey corrono giù in cortile e Jonathan si cala addirittura dalla finestra, ma ora che riescono a forzare la porta della scuderia non trovano più nulla. Invano Van Helsing e Seward cercano di raccogliere notizie, “le stradine sul retro erano deserte e nessuno lo aveva visto passare”.

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