di Henri Barbusse

Le critiche che si formulano contro il Comunismo riposano tutte su menzogne. La soppressione della proprietà? Il Comunismo non sopprime definitivamente tutta la proprietà individuale, perché la regola. Quando i contro-rivoluzionari gridano che i comunisti vogliono sopprimere la proprietà privata, proferiscono una contro-verità, perché non si può sopprimere tutta la proprietà privata: tale eliminazione appartiene al dominio puramente verbale e utopistico dell’astrazione: limitiamoci a constatare che il salario, qualunque forma prenda, non è che una consacrazione del principio e del fatto della proprietà. Bisogna dire, per essere esatti, che il Comunismo rimette sulle assise naturali il diritto di proprietà e ne regola la formazione, secondo le sole esigenze dell’interesse generale. La proprietà è ricalcata strettamente sul lavoro. Da questa grande correzione risultano la scomparsa automatica delle grosse e lunghe fortune, malattie del diritto di proprietà, la fine di ogni usurpazione e di ogni sfruttamento, ma resta un margine ristretto davanti a ciascuna aspirazione individuale.

Questo margine – che rappresenta ciò che l’interesse generale può lasciare di soddisfazioni egoistiche e di emulazione all’interesse particolare, senza soffrirne – è difficile oggi determinarlo. Determinarlo a priori è un abbordare il problema da una parte non giusta. Esso si determinerà spontaneamente dal gioco diun’organizzazione equa e intelligente. Non è qualcosa di fisso e di freddo come una linea. La società deve ordinarsi dalla base non dalle cime. Del resto le mentalità, oggi ancora turbate dagli scintillii e dalle sanzioni dell’antica lotta per la vita, via via che si libereranno dall’oscuro ideale, viziato di assurdità e incompatibile con la vita sociale, di «tutto a ciascuno», e s’impregneranno della concezione coordinata, purificata e luminosa di «tutto a tutti», si modificheranno in questo grande senso. Essi comprenderanno sempre meno l’attrattiva in gran parte artificiale che offre ancora agli uomini delle nostre generazioni la facoltà di possedere. L’idea di proprietà personale si atrofizzerà da sè a vantaggio dell’idea di proprietà armoniosa. La ragione non è solo un meccanismo aritmetico: questa non è che una parte della ragione, un’altra parte comprende la vita ed entra in tutti i suoi palpiti.

L’eccesso dell’ugualitarismo? Non c’è eccesso dal momento che non si persegue la chimera di trasformare tutte le personalità in cose identiche, ma si pretende solo di assicurare a tutti un maximum uguale di mezzi per vivere nelle contingenze della vita comune. Con ciò stesso si assicura – o meglio, si suscita, a causa dell’intimazione formale della legge – lo sviluppo diciascuno secondo lo sforzo, l’attitudine e la qualità, entro i limiti nei quali la causa pubblica non è lesa.

Come elimina le ipertrofie, questa legge automatica dell’interesse comune elimina le costrizioni inutili e nocive che diminuirebbero ciascuno senza profitto per tutti. La scienza dell’organizzazione dell’insieme non oltrepassa il suo scopo. Non si sopprime per sopprimere.

Il capitalismo è: «Troppo per alcuni e non abbastanza per gli altri». Si mette a posto questo non senso dispotico, facendo intervenire il principio contrario e non l’eccesso contrario.

L’insufficienza dell’attuazione del regime dei Soviet? Noi diciamo che questa attuazione non è incompleta se non in quanto è stata paralizzata e oppressa dalla Santa Alleanza reazionaria. La legge scritta e gli sforzi tentati lo provano. Il solo fatto che un governo integralmente repubblicano abbia durato nella nostra epoca, è miracoloso. Nelle condizioni in cui è avvenuta, l’esperienza vale per quello che ha apportato e non si può rimproverarle quello che non ha potuto fare materialmente.

La dittatura del Proletariato? È una misura provvisoria. Essa risulta, non da un articolo della legge in virtù del quale i poveri occuperebbero di qui innanzi il posto dei ricchi e reciprocamente, ma dalla necessità della conquista del potere da parte degli sfruttati, i soli capaci di fare con le loro mani uno stato sociale senza sfruttati nè sfruttatori.

L’Arte e la Letteratura sacrificate al lavoro manuale? La produzione intellettuale e artistica, abbandonata oggi al capriccio e al caso, arrestata e decimata stranamente dalla selezione arbitraria e grossolana che introduce il privilegio nell’istruzione, prenderà tutto il suo valore e tutta la sua estensione in seno ad una organizzazione di cui la produzione – quantità e qualità – costituisce la ragion d’essere e la vitalità. È beatamente ammesso, ma del tutto falso, che le grandi fortune particolari sono indispensabili per sviluppare i movimenti artistici. Le grandi fortune generano soprattutto la crapula e il cattivo gusto. Lo straripamento dell’oro serve anzitutto a mantenere le prostitute e i principi di Monaco; poi a dorare gli artisti mediocri – ufficiali o mondani. La fioritura attuale dell’arte della pittura francese serve, prima di tutto, a dare al consorzio dei mercanti di quadri utili paragonabili a quelli dei proprietari di miniere, di ferrovie o di banche. L’amatore illuminato è raro quanto l’artista. Ed è indiscutibile che solo una comunità sociale possederà l’ampiezza e i mezzi sufficienti per dare all’estensione e alla divulgazione della vita artistica un’organizzazione se non perfetta, perché il talento e la bellezza non si possono organizzare che parzialmente, almeno più sana e meno capricciosa dell’attuale.

 

(Da Le Couteau entre les dents, 1921)