di Franco Pezzini

Un paio d’anni fa, iniziava a diffondersi capillarmente tra i cultori del gotico la notizia della scoperta di un misteriosissimo testo, una versione islandese del Dracula in forma di vero e proprio romanzo alternativo. Il quadro si è poi complicato per lo spuntare di una versione ancora diversa, stavolta svedese – o meglio due, come vedremo: e ora, forte di una prima tornata di studi sul complicato caso, l’edizione commentata del testo islandese, fitta di note (anche sui complessi problemi di traduzione dalla lingua dell’isola), appare in un bel volume per i tipi Carbonio.

Il concetto di “canone” – nei più vari sensi – implica per esclusione l’idea di altro materiale che, pur trattando il medesimo oggetto, non ne faccia parte: cioè i cosiddetti apocrifi, testi “non autentici” che sviluppano il canone stesso ampliandone l’area o correggendone il tiro. Il concetto, cui si ricorre tradizionalmente a proposito di testi antichi (e in particolare sacri, come gli apocrifi dell’Antico e del Nuovo Testamento) viene ormai utilizzato anche per la narrativa popolare: si pensi a un caso emblematico, le storie che “continuano” la saga doyliana di Sherlock Holmes. Ma il concetto si può anche ben applicare al Dracula, o meglio alla costellazione canonica che potremmo definire il “Codice Dracula”, da cui si è diramata nel tempo una quantità di apocrifi.

Cercando di fare un po’ d’ordine, il “Codice Dracula” comprende anzitutto le primissime edizioni del romanzo varate da Stoker, con ritocchi e stralci di qualche significato per la trama (per esempio la correzione testuale che differenzia dalla prima edizione inglese 1897 la prima americana, 1899, aprendo alla suggestione che il Conte si nutra anche di sangue maschile, in chiave di potenziale approccio omosessuale). Comprende poi il dattiloscritto originale, con le sue peculiarità rispetto al romanzo edito; il racconto-frammento Dracula’s Guest stralciato dal centinaio di pagine “perdute” a inizio romanzo (o meglio da una protoversione delle medesime); l’adattamento del testo in chiave di lettura drammatica confezionato da Stoker per assicurarsi il copyright; le note preparatorie al romanzo ed eventualmente i pochi scritti in cui l’autore parla del Dracula (un’intervista, un paio di lettere).

Stabilito dunque un canone, altri testi che riguardano quella storia, scritti o integrati da mani diverse ritoccandola, rileggendola sotto una diversa ottica, continuandola con sequel o prequel o comunque riprendendola, ricadono nella categoria dell’apocrifo. Un fenomeno particolarmente lussureggiante nel caso della saga stokeriana, tra quelle che più hanno mobilitato epigoni soprattutto a partire dagli anni Settanta. Anche se il concetto di apocrifo va rettamente inteso a proposito delle citate versioni islandese e svedese – tanto più a fronte di echi sensazionalistici del web che non aiutano a percepirne l’autentica natura.

Partiamo dalle informazioni-base: e cioè appunto dal fatto che l’edizione islandese Makt Myrkranna (“Poteri delle tenebre”, a cura di Valdimar Ásmundsson, 1901) e quella svedese Mörkrets Makter (stesso significato, a cura di un misterioso “A-e”, 1899) non sono traduzioni del Dracula che conosciamo ma piuttosto liberissime riscritture, con personaggi e vicende assenti nell’originale, riferimenti specifici alla cultura norrena, un gusto più vivacemente pulp, un erotismo diverso – non maggiore (come talora si trova detto) ma meno nevrotico – e alcuni curiosi ammiccamenti politici. Teniamo presente che il contratto con l’editore Constable non parlava di traduzioni, lasciando mano libera a Stoker di proporre il romanzo al di fuori del Regno Unito e delle Dipendenze della Corona; e dunque a maggior ragione era ammissibile la proposta in altre lingue di testi modificativi.

Dell’edizione islandese era già nota l’introduzione a firma dello stesso Stoker (sull’attribuzione si discute, mancando l’originale inglese, ma si propende per un’autenticità almeno di base), a causa di alcune bizzarrie contenute. Anzitutto l’affermazione che i fatti riportati sarebbero autentici anche se l’interpretazione potrebbe essere diversa; la menzione di alcuni delitti avvenuti prima di quelli dello Squartatore e in apparenza riconducibili alla serie detta “del Torso del Tamigi” (a partire dal 1887); il riferimento piuttosto criptico a “eminenti personalità straniere” a un certo punto sparite da Londra; la dichiarata familiarità dell’autore e comunque la pretesa realtà delle figure dietro vari personaggi, tra i quali un Thomas Harker dal nome di battesimo stranamente diverso da quello (Jonathan) del romanzo a noi noto.

La stranezza di queste righe era stata insomma da tempo rilevata, ma a un certo punto il fotografo e ricercatore d’arte Hans Corneel De Roos – un appassionato al tema che vanterebbe anche l’identificazione del vero luogo pensato da Stoker per il Castello Dracula e altre scoperte roboanti – si è preso la briga di verificare il testo della presunta “traduzione”. Di qui l’emersione della sua natura autonoma, che ha condotto all’edizione di lingua inglese Powers of Darkness. The Lost Version of Dracula (2017) presentata ora in italiano in forma aggiornata come I poteri delle tenebre. Dracula, il manoscritto ritrovato per i tipi Carbonio (Milano 2019, trad. di Maura Parolini e Matteo Curtoni, pp. 289, euro 16).

Curato dal giornalista e scrittore Valdimar Ásmundsson (1852-1902), Makt Myrkranna compare inizialmente a puntate sul quotidiano Fjallkonan (tra il gennaio 1900 e il marzo 1901) e viene poi subito raccolto in volume. Il testo è lungo quasi la metà del Dracula e risulta un dittico. La Parte I titolata “Il Castello nei Carpazi” – quasi a echeggiare il titolo di un celebre romanzo di Verne –, narrata in soggettiva con scansione diaristica, corrisponde più o meno ai capp. 1-4 dell’originale (in sostanza, il soggiorno di Harker al Castello) ma in realtà è considerevolmente più lunga. Mentre la Parte II scritta in terza persona e divisa in capitoli reinventa tutto il resto in una strana sintesi a tratti un po’ goffa.

Per quanto riguarda invece la versione svedese a cura di un misterioso “A-e” (il giornalista Anders Albert Andersson-Edenberg, 1834-1913?) – o meglio le due versioni, una delle quali abbreviata, riscoperte da Rickard Berghorn proprio sull’onda del clamore per la pista islandese – si attende una traduzione per il pubblico internazionale, anche se qualche informazione ovviamente già circola. Il romanzo appare a puntate in Svezia sul giornale Dagen dal 10 giugno 1899 al 7 febbraio 1900, e contemporaneamente su Aftonbladets Halfvecko-Upplaga dal 16 agosto 1899 al 31 marzo 1900: e per tutta una prima parte il contenuto è uguale. Ma dopo che Harker è fuggito dal castello usando come fune un lenzuolo, Aftonbladets inizia a riassumere, come poi farà la versione islandese che evidentemente ne deriva (va detto che gli studiosi di letteratura islandesi già sospettavano una fonte scandinava). La versione islandese è però ancora più scorciata, e per esempio elimina il personaggio di Renfield che Aftonbladets conservava; per contro presenta autonomi arricchimenti nel segno della saghe norrene (inseriti con ogni evidenza da Ásmundsson, specialista in materia). Per quanto concerne la versione italiana, la prefazione di Dacre Stoker (aprile 2017) è precedente la comprensione del motivo della scorciatura (“Purtroppo è improbabile che scopriremo mai perché Ásmundsson avesse pubblicato Makt Myrkranna in forma abbreviata”, eccetera, p. 18), ma la spiegazione – peraltro ormai circolante tramite il tam-tam del web – è fornita nell’Introduzione di de Roos (9 ottobre 2018).

La versione “completa” del Dagen è lunga quasi il doppio del Dracula canonico, e la portata delle differenze emerge in modo più clamoroso, ma già nell’islandese varie peculiarità spiccano. A parte una serie di cambiamenti nei nomi dei personaggi e la presenza di figure nuove, troviamo una scrittura meno organizzata e letteraria che nel Dracula, e senz’altro più pulp. C’è il Conte che fa commenti grassocci da vecchio libertino sui soggetti di quadri della sua galleria (lasciando turbato il povero ospite), teorizza l’endogamia come più sana dell’esogamia e cita Conan Doyle deliziandosi a pensare ai delitti che vengono perpetrati nel ventre di Londra. Ci sono le sirene del sesso tramite la presenza al castello di una femme fatale – una sola vampira invece di tre – bionda e attraente con vertiginose scollature, che insidia Harker in scene grondanti erotismo fin de siècle. C’è la setta che pratica sacrifici umani sotto il castello ma progetta di espandersi, con Dracula (Draculitz nella svedese) quale gran sacerdote in cappa rossa che ammannisce ragazze ignude a scimmieschi succhiasangue minori. C’è un sottotesto ideologico-politico minaccioso, perché Dracula non vuole spargere solo il vampirismo, ma cospira con potenti di tutto il pianeta per un nuovo ordine mondiale basato su istanze razziali e un diritto fascista del più forte: come appunto sarebbero i vampiri, nuovo step darwinistico di sviluppo (o degenerazione) della razza che sembra prefigurare il nazismo. Il tutto con un sapore di feuilleton e political thriller, a metà tra il monito e una satira grottesca, nerissima.

Le domande aperte sono molte. Anzitutto parrebbe curiosa la costosissima scelta di un lavoro autorale, creativo di “A-e” quando una traduzione del Dracula edito sarebbe stata più economica: la Svezia non aveva ancora aderito alla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, 1886, e le traduzioni erano spesso abusive. Ma vari elementi fanno pensare all’utilizzo di qualche versione precedente e più grezza del Dracula approntata da Stoker durante gli anni Novanta, poi manipolata (quanto?) dall’editor svedese e in seguito dall’islandese. Alcuni riferimenti – non tutti – potrebbero infatti trovare nessi con idee documentate negli appunti preliminari ma poi non sviluppate nel romanzo-canone (per esempio il fatto che al servizio di Dracula sia una donna muta), oppure presenti in forma sfuggente nel medesimo o nel Dracula’s Guest. A livello esemplificativo, limitiamoci qui a un paio di nodi di particolare interesse partendo dalla versione ora tradotta in italiano.

Il primo riguarda la misteriosa dama bionda che trastulla Thomas Harker al castello, in un tira-e-molla seduttivo assai più prolungato di quanto descritto nel Dracula. Rispetto alle tre colleghe lì presenti, la dama è qui una figura più malinconica e meno esplicitamente predatoria, il che rende persino più difficile all’affascinato Harker il distaccarsene. Per inciso, il riferimento alle vertiginose scollature richiama semplicemente agli abiti del primo Ottocento, considerati scandalosissimi in età vittoriana: non si tratta insomma dei seni pervicacemente all’aria della vampira di Dracula 3D.

Ora, il Conte presenta ad Harker la dama come vedova di un nobiluomo austriaco (p. 120): una scelta geografica non strana, ma neppure scontata per un set transilvano. Però anche nel terzetto di vampire del Dracula canonico la vampira bionda (le altre due sono brune) è identificabile, almeno virtualmente, in una contessa austriaca. Ad Harker ricorda un viso noto che non sa riconoscere, e in effetti – testimonia il dattiloscritto originale del Dracula in una frase poi omessa – si tratterebbe della stessa vampira incontrata presso Monaco la Notte di Valpurga, cioè la stiriana/austriaca Contessa Dolingen del racconto-frammento Dracula’s Guest. Tutto bene? Non tanto, perché l’autore di I poteri delle tenebre non può conoscere il Dracula’s Guest edito solo nel 1914, e neppure il dattiloscritto con la frase che esplicita il nesso (dattiloscritto che avrà una storia tortuosa ma ben difficilmente passa per le mani di autori svedesi o islandesi). Si tratta di un caso? È l’ennesimo richiamo alla Carmilla di Le Fanu (che però è bruna)? O il curatore di I poteri delle tenebre – fin dalla versione svedese – ha avuto per le mani materiale di Stoker che presentava la dama vampira bionda come austriaca (almeno per matrimonio)?

Un secondo esempio riguarda una pagina poco considerata del Dracula canonico. Van Helsing sta cercando di chiarire al discepolo dottor Seward che esistono dimensioni della realtà non facilmente comprensibili: “Conoscete voi tutto quanto di anatomia comparata e potete dire pertanto che in certi uomini esistono qualità di bestie e in certi no?”. Tale la traduzione di Francesco Saba Sardi (Mondadori) per l’originale che suona: “Do you know the altogether of comparative anatomy and can say wherefore the qualities of brutes are in some men, and not in others?”. Dove brutes sta per bestie, bestiacce: in effetti più avanti il termine verrà usato per i pipistrelli. Ma gli uomini-bestia di I poteri delle tenebre – quelli scimmieschi o piuttosto lupeschi che si accaniscono nel tempio sotterraneo su vittime femminili (p. 176) – sono brutes in modo persino più paradigmatico; e vari ritratti del clan Dracula mostrano proprio quei connotati fisici animaleschi (p. 128). Considerando che nei primi progetti lupi e lupi mannari erano molto più presenti che nel Dracula canonico, si è tentati di vedere il riferimento ai brutes come riguardante non solo le connotazioni lupesche del Conte o le sue metamorfosi dirette, ma proprio qualche ipotetica comparsata – in qualche fase della genesi del romanzo – di tali uomini-bestia potenzialmente mutanti, al servizio del Conte e idealmente appartenenti alla sua razza. Per inciso ne I poteri delle tenebre le idee dell’Origine delle specie sono espressamente citate (“Per quello che sono riuscito a capire, nella mente del Conte aleggiava una vaga idea della legge di Darwin, che però lui aveva adattato alla sua maniera”, p. 129): e visto che sulla dialettica evoluzione/involuzione presente nel Dracula Stoker tornerà anche altrove (si pensi a La tana del Verme bianco) non stupirebbe che a condurre all’esito degli uomini-bestia fossero già autentiche suggestioni stokeriane.

Certo, queste restano semplici ipotesi, da avanzare con le cautele del caso. E comunque il ricorso a eventuali materiali dai cassetti di Stoker li vedrebbe modificati, alterati, arricchiti. Per esempio nella versione svedese si cita la cosiddetta “cospirazione orleanista” (in rapporto a presunti piani golpisti del pretendente al trono di Francia Louis Philippe Robert, duca d’Orléans, secondo voci circolanti nel periodo 1898-99, dunque posteriori all’uscita del Dracula) a confermare almeno integrazioni tarde. Del resto, proprio conoscendo una volontà dell’editor di modificare il testo o dando libertà in tal senso, la scelta di Stoker di recuperare dai cassetti una qualche versione vecchia e altrimenti inutilizzabile – invece del romanzo compiuto cui è ormai affezionato – apparirebbe assai più comprensibile. Resta il fatto che il ricorso alla categoria dell’apocrifo richiede in questo caso almeno una certa elasticità e qualche distinguo.

Rimane poi discusso per quali canali il materiale possa arrivare in Svezia (dove gli Stoker avevano amici), e comunque quanto Bram abbia contezza delle singole modifiche apportate. Ma, come evidente dal Dracula canonico e già rilevato dalla critica, l’autore nutre una profonda fascinazione per le antiche storie nordiche; quanto all’Islanda, è al tempo di moda tra gli intellettuali inglesi.

L’ipotesi è insomma che Stoker accetti di proporre una versione dal sapore più pulp – per pragmatismo e necessità economica, anche se un Dracula nelle lingue degli amatissimi vichinghi deve entusiasmarlo –, nello stesso modo in cui Arthur Conan Doyle accetta che le avventure di Holmes vengano alterate da William Gillette a teatro e poi al cinema (fino a far vivere al detective – per dare l’idea della portata della licenza – nientemeno che una tradizionalissima love story).

Chiaramente I poteri delle tenebre non è il Dracula-Director’s Cut di cui si sente talora straparlare. Ma si tratta di una scoperta che arricchisce in modo inatteso il quadro del mito-Dracula, ne sviluppa la dimensione di epopea-labirinto, e spariglia le carte affiancando al canone del romanzo (coi suoi testi-chiave) un proto-apocrifo elusivo e scatenato, con pagine di oscurità nordica di straordinaria suggestione. Un testo insomma godibilissimo, che val la pena leggere.