di Nico Maccentelli

(Capitoli 13 e 14)

13.

La scientifica aveva già tracciato la sagoma di gesso attorno al corpo esanime di una ragazza, dentro il labirinto del Laser game. Con un foro nella zona occipitale del cranio, presumibilmente determinato da un proiettile calibro trentotto, recitava il referto medico.

Ovviamente, niente pistola. La ricerca frenetica degli investigatori aveva messo a soqquadro l’intero locale: dentro e fuori il labirinto.

All’ingresso, una quindicina di giovani erano controllati a vista da un paio di agenti. I ragazzi avevano lo sguardo perso nel vuoto, mentre fuori un esercito di genitori furenti stava per lanciare una delle più furibonde rivolte contro la polizia di stato dai tempi di Bava Beccaris.

Anche Improta fissava il vuoto. Era curvo come un sacco di ortaggi pieno a metà. — Tutto da capo… — sussurrò. — È arrivato Piercamilli? — chiese a Cattabriga.

— No. E mi sembra che questa assenza sia molto tattica.

Improta mormorò: — I topi abbandonano la nave…

— Commissario, cosa facciamo dei ragazzi? — chiese un agente.

— Li mandi a casa. — Poi rivolgendosi all’ispettore: — Cattabriga, si armi di santa pazienza e li vada a visitare a casa, a scuola, su Marte, dove le pare, ma non ne voglio vedere in centrale uno, neppure se ha strangolato sei vecchie. Qui se portiamo ancora qualcuno in questura succede un casino che metà basta.

L’ispettore guardò il corpo della ragazza ormai incellophanato e pronto per l’obitorio. — C’è qualcosa che non abbiamo considerato, commissario.

— Sì, la mia pensione.

— A mio giudizio, se mi consente esprimere un’opinione…

Improta sospirò. — Dica Cattabriga.

— Se mi consente, ci sono due aspetti che dobbiamo approfondire.

— Sentiamo.

— Numero uno, questo posto. È dalla prima volta che c’ho messo piede che mi sembra strano.

— È una fottuta sala giochi. Solo un po’ più gotica delle altre. L’abbiamo esplorata palmo a palmo l’altra volta e questa, e non ne abbiamo cavato un ragno dal buco.

— Numero due: i gestori. Sono le uniche due persone ad essere state presenti in entrambi gli omicidi.

— Abbiamo già interrogato i ragazzi che aspettavano il turno di gioco all’ingresso e sono tutti concordi nel dire che nessuno dei due, Ciro e Salvatore, sono entrati nel labirinto durante la partita. Una volta avviato, il gioco va avanti da solo. E quando i ragazzi sono già esperti, non c’è bisogno della presenza di un controllore. Sono tutte cose che abbiamo appurato già, Cattabriga.

L’ispettore fece tre passi verso la sagoma di gesso del cadavere, che nel frattempo era già stato portato via dai necrofori. La fissò per un istante, poi guardò il muro nero che nonostante la luce dei fari di servizio della polizia, andava a perdersi nell’intrigo di angoli, svolte, pareti che costituivano un dedalo sviluppato in 400 metri quadri.

— Comunque io li ascolterei lo stesso quei due. E soprattutto mi farei spiegare bene come funziona questo posto.

— Certo! — urlò Improta, — perché le vittime sono state colpite da raggi laser. E già che ci siamo potremmo far fare il guanto di paraffina a Spock.

Il commissario squadrò per un istante Cattabriga, poi tirò l’ennesimo lungo respiro. — Ispettore, mi perdoni. È un momento difficile dell’indagine.

Si appoggiò affranto una mano sulla fronte. Sapeva che i consigli dell’ispettore erano le sole cose sensate da fare davanti a un mistero così inestricabile, ancore di salvezza lanciate verso ignoti fondali.

— Va bene. Farò saltare in aria questo maledetto baraccone se necessario, e spremeremo per bene i due napoletani. E che dio ce la mandi buona.

Un agente arrivò trafelato con un cellulare in mano. — Commissario, il questore in linea.

— Il questore?! Oh, mio dio! Passamelo.

Cattabriga vide il volto di Improta sbiancarsi. Il questore che si scomodava a parlare dell’inchiesta con un semplice commissario significava solo una cosa: cazzi amari in arrivo.

— Oh, dottore… sì … eh, lo so … sì, ci stiamo arrivando a capo… certo… con Piercamilli stiamo per prendere decisioni importanti… no, niente conferenze … ma la stampa … no, no, le spiego… ah, il sostituto Zucchi è molto arrabbiato? Ma noi facevamo il nostro… TRASFERIRMI AL COMMISSARIATO DI PALAZZUOLO SUL SENIO? Eh! eh! sempre in vena di scherzi! (scosta l’orecchio dal portatile stringendo gli occhi) … ha ragione dottore … sì … sì … sì … come desidera lei … buona giornata e mi saluti… (resta in ascolto per un attimo. Poi guarda Cattabriga) … ha riattaccato. Sono rovinato. Rovinato!

 

14.

Non sapeva neppure lui perché lo stesse facendo. Del resto uno dei ragazzi da visitare frequentava proprio il liceo Righi. Ma il servizio era un alibi, non poteva ingannare se stesso. Avrebbe potuto interrogarlo con comodo a casa, ma c’era qualcosa che lo portava in quella fottuta scuola di figli di papà. Sì, sapeva benissimo cos’era quel qualcosa. Anzi, chi era.

Cattabriga la vide subito. Era in mezzo a un capannello di ragazzi e ragazze. Come se avesse avvertito per chissà quale sesto senso il suo arrivo, Silvia girò la testa verso di lui, rimase per un attimo a fissarlo, poi tornò a conversare con gli amici.

Yuri si avvicinò al capannello ripentendosi fino all’ossessione: “Non sono qui per lei, non sono qui per lei, non sono qui per lei…”

Quando le fu di fianco, Silvia lo guardò con finto stupore. 

— Ispettore, che ci fa qua? È qui per me?

— Sto cercando un vostro compagno di scuola. Mauro Merini.

— Per arrestare anche lui, forse? — chiese la ragazza con tono polemico.

Cattabriga si sentì uno stupido e scosse la testa. Poi abbozzò un mezzo sorriso. — No. Devo solo fargli qualche domanda. Un semplice formalità.

— Ah — esclamò Silvia a voce alta e rivolta agli amici, — è una semplice formalità trattenere tre giorni un ragazzo, accusarlo ingiustamente, sbatterlo in prima pagina come un mostro, rovinargli la vita?

Yuri si sentì gli occhi di tutti i ragazzi puntati addosso. Fece mezzo passo indietro, raccolse tutto il suo coraggio e disse: — Senti, hai ragione. Mi dispiace.

— Mi dispiace?! Avete sentito? Gli dispiace! all’ispettore dispiace!

“Porca miseria, non dovevo venire qua” pensò Cattabriga. — Hai visto Stefano?

— Se ho visto Stefano? Sì, ma con il binocolo, perché adesso ogni volta che mi vede, mi evita come un’appestata. Eccolo, lo vedi là?

Yuri si voltò verso il punto indicato dalla ragazza. Stefano era tra alcuni amici. Si fissarono per un istante, perché poi il ragazzo gli volse le spalle con una smorfia di disprezzo.

— Adesso, grazie a voi, mi considera una infame.

La bocca della ragazza sembrò scintillare.

— Silvia, io adesso vado a parlare con il Merighi. Poi se vuoi… oggi pomeriggio sono fuori servizio… andiamo parlarne davanti a un buon caffè. Anzi no, guarda, mi prendo due ore subito. L’interrogatorio può aspettare…

— Cos’è questo interesse improvviso — domandò la ragazza con una punta di malizia, — uno scrupolo di coscienza?

— È vero, io e il commissario Improta abbiamo preso un grosso abbaglio. Però voglio farti capire che noi della polizia non siamo dei cinici insensibili…

— Senti ispettore — disse Silvia guardando con un sorriso allusivo una sua amica, — a questo punto non mi sembra il caso che tu mi venga a fare da assistente sociale. Non ho bisogno dei tuoi bei discorsini per capire di che pasta siete fatti voi altri.

Tra le labbra di lei apparve ancora un bagliore. Forse un gioco del sole.

— Hai ragione — disse Cattabriga. Fissò il viso della ragazza. L’aria smarrita che lei aveva avuto in camera, ora le sembrava lontana migliaia di anni luce. Adesso sul suo viso era dipinta una smorfia sprezzante e impertinente.

Aveva il petto in fuori in segno di sfida e, dalla maglietta sdrucita e con il logo di una delle tante University americane, spiccavano i due seni tondi, che sembravano vivere di vita propria ad ogni respiro.

“Non mi posso far mettere sotto da una lattante”, Cattabriga cercò di scacciare dalla testa ogni sensazione. Ripetè con un tono più energico: — Hai ragione. A ognuno la sua parte. Mi spiace ancora di avervi creato dei casini. Dillo anche a Stefano quando gli passerà. Perché gli passerà, lo sai anche tu. Auguri. “… e figli maschi” avrebbe voluto aggiungere. Lasciò il capannello bruscamente ed entrò nella scuola.

Come gli aveva detto la madre del Merighi, il ragazzo sarebbe uscito l’ora successiva, per cui riuscì a fargli qualche domanda di prammatica in un’auletta messa a disposizione dal preside. In realtà, in certi momenti, neanche lo aveva ascoltato. La sua testa era come in un labirinto. E al centro c’era Silvia.

Uscì dal liceo che erano già le due e il piazzale della scuola era già deserto. Ripensò alla balla che aveva detto a Silvia circa il pomeriggio libero. Avrebbe voluto staccare sul serio.

— Ispettore!

Yuri si girò verso la voce. Era Silvia. Era seduta sui gradini, verso il muro, in una posizione proprio ideale per fare delle improvvisate a chi esce. Rispose con un cenno della mano e si diresse verso di lei.

La ragazza si alzò e gli corse incontro. — Mi spiace per prima — disse lei. Lo guardava con aria sbarazzina, sorrideva. Sulle prime il poliziotto non seppe più che pensare. Sapeva solo che dare corda alla ragazza sarebbe stata una leggerezza. Ma poi gli si fece strada un sospetto poco attinente con le indagini: “Questa ne vuole, forse ne vuole”. Silvia continuava a guardarlo con strani lampi agli occhi, parlava, ma lui non la sentiva.

— … ma devi anche capire il casino che avete combinato…

“Vuole far colpo…”

— … gente che va in vacanza improvvisamente…

“Vuole giocare…”

— … interrogatori, neanche fossimo tutti…

“Vuole vendicarsi facendomi impazzire…”

— … non vi rendete conto che noi siamo solo dei…

“Vuole, vuole, vuole, cosa vuole? Attento a non scottarti. Questa ti mette nei casini”.

Lei sembrò leggergli nel pensiero e rise. — Ma mi stai ascoltando?

Yuri annuì.

Lei gli indicò un punto vago della città. — Allora siamo ancora in tempo per il tuo caffè.

Finirono in uno dei tanti bar fuori porta. I tavolini liberty e le sedie false tonné facevano a cazzotti con la saletta interna, santuario di smazzate serali tra vecchi in pensione, piena di vecchi tavoli quadrati dai tappeti verdi lisi e unti, con buchi qua e là. Un ambiente dove il fumo ristagnava impregnando i muri. Scelsero il liberty.

Alla terza sigaretta Silvia chiese: — Avete uno straccio di idea sull’autore dei due crimini?

Yuri finì il caffè, prese tempo, si guardò intorno. Nel bar c’erano solo un paio di avventori al banco. Loro erano gli unici nella zona séparé. — Vuoi sapere la verità, Silvia?

— Spara.

— No. Non abbiamo alcuna idea. Siamo in alto mare. Quel labirinto ci sta facendo impazzire. E se proprio lo vuoi sapere, io non ho mai creduto alla colpevolezza di Stefano.

— Questo l’avevo intuito.

— E allora perché farmi quella scenata davanti ai tuoi amici?

Silvia non rispose.

L’ispettore incassò un’altra conferma ai suoi sospetti. Riportò il discorso sulle indagini. — È chiaro che se avessi degli elementi in mano non potrei certo dirteli. Comunque voglio essere sincero con te. Questo è uno dei casi più difficili che siano mai capitati in questa città.

Silvia si morse un labbro. — Senti ispettore… e dello sputtanamento dei miei genitori, che ne pensi?

Cattabriga vide infrangersi la sua bella intuizione. “Ecco cosa vuole, ecco perché mi è venuta a cercare!”.

— Sono fatti loro. Noi entriamo nella vita privata delle persone quando proprio non possiamo farne a meno.

— Certo. Ma qualcuno ha spifferato la vita privata dei miei alla stampa. Lo sai come chiamano adesso mia madre a scuola? — E senza attendere risposta: — Mrs. Candid Camera o Candy in Camera, la porca assassina, la virtuosa del fotness… e poi le battute che girano, del tipo: l’ano scorso a Marienbad…

— Guarda che noi siamo stati molto discreti — la interruppe l’ispettore. — Dal nostro ufficio non è uscito nulla.

— Sarà stato lo spirito santo! — commentò la ragazza con un sorriso ironico. E aggiunse: — Lo so che tu non c’entri nulla. Non sarei qui con te in questo momento se avessi questa convinzione.

— Grazie — Rispose Yuri. — Ma anche tu, Silvia. Possibile che non ti fossi accorta del gioco che faceva Luca?

La ragazza fece un sorriso strano. — E che ne sai tu? — Dalla bocca le uscì un’altra scintilla.

— Mi spieghi che cos’hai in bocca?

Silvia aprì le labbra e fece saettare fuori la lingua. Aveva un brillantino quasi sulla punta. — Visto? L’ho fatto fare l’altro ieri. I baci sono molto più sensuali così. Vuoi provare? — E mise una mano sulla sua.

Yuri provò una fitta intensa al petto e si girò istintivamente verso il bancone. Il barista, intento a sciacquare dei bicchieri, non li stava minimamente osservando.

Fissò la mano della ragazza: era sottile. Le dita erano piene di anelli e con le unghie laccate di bianco.

Silvia lo fissava con i suoi occhi blu. Era uno sguardo intenso e profondo, che Yuri sentì fin sotto il ventre.

— Cosa mi dici, ispettore?

Cattabriga non seppe mai dove riuscì a trovare la forza per dire con un filo di voce: — Dico che s’è fatto tardi.

Levò la mano e aggiunse: — È meglio andare.

— Ispettore… — sussurrò lei con aria delusa.

— Sì?

— Ce l’hai una donna?

— Chissà… — commentò lui sibillino.

Silvia sussurrò: — Io ho il sospetto di no.

Due minuti dopo, mentre la guardava allontanarsi nel traffico del tardo pomeriggio, Yuri avrebbe voluto urlarle: “Sì Silvia, il tuo sospetto è giusto… ma cristo santo, perché hai voluto trasformare il mio in certezza?!”.

E improvvisamente si sentì un coglione.

(Fine della settima puntata, la prossima: domenica 21/04/2019)

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