di Valerio Evangelisti

Geraldina Colotti, Dopo Chávez. Come nascono le bandiere, ed. Jaca Book, 2018, pp, 226, € 22,00.

Fine 2017. Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro annuncia che, nel pacchetto alimentare destinato alle famiglie a prezzi calmierati, sarà compresa la coscia di maiale: tradizionale cibo natalizio per i venezuelani. In effetti, il suo governo ha ordinato in Portogallo tonnellate di quel taglio di carne suina. Solo che il Venezuela soffre le sanzioni dell’Unione Europea. Le banche portoghesi incaricate del pagamento rifiutano di fare da tramite. I carichi, già confezionati, non partono.

Allora il governo di Caracas si rivolge alla vicina Colombia, dove acquista una quantità equivalente di cosce. La carne arriva alla frontiera. Qui viene bloccata da pretesti burocratici, e trattenuta il tempo necessario perché vada a male. Maduro non riesce a mantenere la sua promessa. La gente del Venezuela non avrà il suo piatto di Natale. Colpa di chi? Di Maduro, è ovvio.

Questo episodio non è narrato, per limiti temporali, nell’ultimo, formidabile libro di Geraldina Colotti: Dopo Chávez. Lo aggiungo io perché è significativo della morsa micidiale in cui i “democratici” paesi occidentali usano stringere le realtà che ardiscono richiamarsi al “progressismo” o addirittura al “socialismo”. Quando non è possibile un intervento militare diretto, le si soffoca, le si affama. Per poi addebitare le sofferenze di quei popoli all’ordinamento politico che hanno scelto. Nella speranza di trovare un cagasotto alla Tsipras, pronto a rinnegare ogni promessa e ogni principio, con guaiti da botolo, al primo strattone del guinzaglio.

Contro il Venezuela chavista gli Stati Uniti (e, in via solo in parte subordinata, l’Unione Europea) hanno provato di tutto, con la piena complicità della destra locale. Dal colpo di Stato diretto (2002) a una ferocissima guerriglia di strada, che nel 2014 e nel 2017 ha provocato oltre un centinaio di morti e innumerevoli feriti. Costellata da atrocità degne dell’ISIS, attuate dalla Jeunesse dorée dei quartieri bene, apertamente fascista. E poi un’aggressione economica altrettanto spietata, per esempio con la creazione di agenzie di rating fasulle (Dollar Today, con base in Miami, oppure Dollar Hoy) che gonfiassero l’inflazione oltre il sopportabile.

Chavista torturato dai giovani “democratici”, 2017

Perché tanto odio, che ricorda quanto accaduto a suo tempo con Cuba, il Cile di Allende, il Nicaragua sandinista? Contro un paese che non ha mai aggredito nessuno, e che si attiene, nelle forme di governo, al proprio dettato costituzionale? (a differenza del Brasile del golpista Temer, della Colombia in cui gli oppositori sono uccisi a centinaia, dell’osceno Honduras, ecc.).

Geraldina Colotti, come nel precedente Talpe a Caracas, lo spiega nei dettagli e con dovizia di esempi. Il Venezuela è una bestemmia, nel quadro geopolitico attuale. Pur tra mille difficoltà, destina il 70% delle proprie risorse alle classi povere o disagiate. Smantella le baraccopoli costruendo e assegnando case popolari ammobiliate, con tanto di elettrodomestici (due milioni di appartamenti, fino a oggi). Assicura la pensione alle donne a 55 anni di età, agli uomini a 60, a prescindere dai contributi (impossibili da calcolare, dove domina ancora l’economia informale). Dalla vittoria di Chávez a oggi, il numero dei pensionati è salito da 300 mila a tre milioni. L’assistenza medica è gratuita, la scuola anche, a ogni livello.

Ma, soprattutto, Geraldina Colotti esplora le istanze di base, extrastatali, della rivoluzione venezuelana. Le fabbriche recuperate e autogestite (oltre 500), i collettivi femministi, le comuni agricole (migliaia), le iniziative dal basso scolastiche e culturali, fino ai “collettivi” (di cui mi sono già occupato qui), alla milizie rivoluzionarie e alla chiesa dei poveri. E’ un quadro impressionante, quello che ne scaturisce, e confortante. L’antiliberalismo in azione, alla faccia del “pensiero unico” e della oligarchia impropriamente detta “democrazia rappresentativa”.

“Collectivos” in movimento

Ciò non per sola iniziativa di un governo che può piacere o non piacere. Chávez definì il contesto. L’autonomia proletaria vi si è riversata, sfogandovi la propria creatività. Al punto che seguita a mantenersi fedele al legato del Comandante, in stragrande maggioranza, malgrado le penurie quotidiane e le ristrettezze cui è sottoposta dal sabotaggio economico. Sa da dove proviene, e cosa accadrebbe se tornassero al potere i padroni di sempre.

Letto il testo della Colotti, riesce difficile capire l’indifferenza, la diffidenza, o addirittura l’ostilità, di una parte della sinistra italiana più o meno estrema (mi rifiuto di usare il termine “radicale”, che non vuol dire un cazzo), nei confronti dell’esperimento venezuelano, chavista o post-chavista. C’è chi lo accusa di arrendevolezza (!), chi di autoritarismo. Passi per alcuni rinnegati di laggiù, che pur di abbattere l’odiato “regime” sono pronti ad allearsi all’estrema destra (i “sociologi” Nicmer Evans, Antonio Vivas Santana, ecc.), ma è davvero paradossale che la condanna venga da certi “trotzkisti” italiani (non tutti, per fortuna). Non risulta che Lenin e Trotzkij fossero grandi cultori della democrazia formale.

A parte queste sbavature di frange al margine, sarebbe opportuno che la sinistra italiana antagonista e anticapitalista (non ce n’è un’altra, per definizione) prestasse attenzione a ciò che accade in America Latina, e in Venezuela soprattutto. A prezzo di una durissima lotta di classe, vi si sfida l’imperialismo a volto scoperto. L’Assemblea Nazionale Costituente venezuelana sta rendendo permanenti per le classi subalterne diritti che qui vengono calpestati ogni giorno. E’ un paese distante, ma la lotta di fondo è la stessa. Il libro fondamentale di Geraldina Colotti è una guida di viaggio, ma anche un suggerimento d’azione.

 

Domenica 6 maggio alle 18, a Bologna, presso il Circolo Granma di via Ferrarese 2, Geraldina Colotti presenterà il suo volume. Sarà introdotta da Valerio Evangelisti e dal professor Luciano Vasapollo, dell’università La Sapienza di Roma.