di Luca Cangianti

Roberto Carocci, La Repubblica Romana. 1849, prove di democrazia e socialismo nel Risorgimento, Odradek, 2017, pp. 192, € 20,00.

Se perfino la città più cinica, fatalista e scanzonata del mondo (come almeno vuole il luogo comune) ha avuto la sua rivoluzione, allora l’aspirazione a una vita e a un mondo migliori saranno sempre e ovunque un obiettivo realisticamente perseguibile. A sostegno di questa asserzione ottimistica adesso abbiamo La Repubblica Romana, il nuovo libro di Roberto Carocci. Si tratta di una lettura storica agile e piacevole, dotata di una consistente sezione documentale e un’attenzione particolare al dettaglio sociologico. Obiettivo dello studio: indagare quanto quegli eventi risorgimentali stabilissero “i presupposti per un approdo più apertamente socialista”.
La società romana prerivoluzionaria era caratterizzata da un’economia stagnante e antiquata, con pochi centri produttivi, alti indici di disoccupazione e pauperismo. L’attività capitalistica era confinata nelle commesse pubbliche e la borghesia era stata costretta a riversarsi in alcune attività professionali emarginate dalla casta clericale saldamente arroccata a presidio della pubblica amministrazione. Le classi subalterne sopravvivevano con redditi insufficienti, la criminalità era diffusa e le controversie si risolvevano comunemente con lo “zaccagno”, il coltello da tasca. Delazioni e torture erano all’ordine del giorno e farsi crescere la barba poteva bastare per finire nelle liste nere della repressione papalina.

Eletto al soglio pontificio nel 1846 Giovanni Maria Mastai Ferretti inaugurò alcune timide riforme liberali che, lungi dal risolvere i problemi di fondo della formazione economico-sociale romana, consentirono il dispiegarsi di una soggettività popolare e plebea basata sull’alleanza tra artigiani e i ceti professionali. Nel giro di qualche anno, mentre in Europa dilagavano i moti rivoluzionari del 1848, i cortei e le manifestazioni passarono dai plausi alle riforme a rivendicazioni sempre più pressanti, fino a trasformarsi in assalti alle proprietà dei ricchi e in cortei armati cui partecipavano gli stessi che li avrebbero dovuti reprimere, cioè i carabinieri.
Dopo il punto di non ritorno costituito dall’allocuzione con la quale il papa rinunciava alla causa dell’unità italiana, gli eventi precipitarono: il 16 novembre 1848 a piazza del Popolo manifestanti e soldati fraternizzarono riunendosi poi in assemblea a piazza della Cancelleria, dove si approvò un programma di riforme democratiche e il proseguimento della lotta per l’unità nazionale. Il papa, protetto dalle guardie svizzere, dichiarò di non volersi piegare alla forza. Di notte si mise in testa un cappello tondo da semplice prete e sul naso un paio di occhiali verdi. Camuffato in questo modo fuggì a Gaeta da dove scomunicò gli insorti e chiese aiuto alle potenze straniere.
A Roma si svolsero elezioni a suffragio “universale” maschile, fu eletta un’assemblea costituente e dichiarata la repubblica con a capo un triumvirato esecutivo. Ne erano membri Giuseppe Mazzini, il repubblicano Aurelio Saffi e il più moderato Carlo Armellini. Nell’Urbe dilagò la festa, il carnevale repubblicano fu più allegro e colorato del solito, anche se gli aristocratici evitarono di farsi vedere. A sostegno della tesi della correlazione tra l’emergere della soggettività di classe e di genere, la giornalista statunitense Margaret Full notò invece “Parecchie donne piacenti, vestite tutte di bianco, che portavano irriverenti il berretto rosso della libertà”.
Carocci mette bene in evidenza come la storia della Repubblica Romana sia stata connotata da una potente capacità d’autorganizzazione civica ben simbolizzata dalla figura di Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio. Si tratta del famoso carrettiere e agitatore popolare che nella pellicola In nome del popolo sovrano è interpretato da Nino Manfredi. Nei circoli politici che sostenevano il processo rivoluzionario, inoltre, erano presenti posizioni ben più radicali del repubblicanesimo democratico, quali quelle dichiaratamente comuniste sostenute ad esempio da Giovanni Battista Niccolini.
La repubblica revocò la censura preventiva, abolì la giurisdizione vescovile sull’istruzione, distribuì ai contadini le terre delle congregazioni religiose, destinò i palazzi ecclesiastici ai senza casa, impose un prestito forzoso ai ceti benestanti, promosse azioni a favore dei disoccupati, rese libero il culto e laico lo stato, rivitalizzò l’economia con le commesse militari per la guerra d’indipendenza e con la liberalizzazione delle licenze d’esercizio.

Il Regno delle Due Sicilie, la Spagna, la Francia e l’Austria risposero tuttavia all’appello di Pio IX. La Repubblica Romana fu aggredita su tutti i fronti. I francesi sbarcarono a Civitavecchia e sottoposero la città a incessanti bombardamenti. La resistenza dei romani e delle romane fu eroica. Quest’ultime non accettarono di esser confinate nei tradizionali ruoli di cura: costruirono barricate fiorite, raccolsero sassi per scagliarli contro l’invasore, fabbricarono cartucce, disinnescarono bombe inesplose e, come durante la Rivoluzione francese e la Comune di Parigi, si travestirono da uomo per poter imbracciare il fucile e combattere. Il 4 luglio l’assemblea costituente votò la resa, ma non prima di aver approvato una costituzione molto avanzata che promuoveva il “miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”, precorrendo quindi gli aspetti sociali dell’articolo 3 della costituzione italiana del 1948.