di Fabrizio Lorusso

  “Vorrei che le scarpe di mio figlio mi portassero fino a lui”

“Per una madre è molto difficile vedere l’alba, il tramonto e vedere che tuo figlio non c’è”

Genitori dei 43 desaparecidos della scuola di Ayotzinapa

“Sono passati tre anni e non abbiamo nessuna risposta concreta, questo vuol dire che il governo non ha interesse ad arrivare alla verità sui nostri figli e punta a stancarci, ma non ci arrenderemo”, esordisce per telefono, Cristina Bautista, madre di Benjamín, uno dei 43 studenti desaparecidos della scuola di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero. La notte tra il 26 e il 27 settembre 2014 un gruppo di studenti della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, che si trovava nella vicina città di Iguala, subì una serie coordinata di aggressioni dalla polizia e da membri dell’organizzazione criminale Guerreros Unidos. I giovani erano andati a Iguala per raccogliere fondi, occupare temporaneamente alcuni pullman e così poter partecipare alla manifestazione che si tiene ogni anno a Città del Messico per ricordare la strage del 2 ottobre 1968 in cui l’esercito aprì il fuoco su migliaia di studenti riuniti in Plaza Tlatelolco e fece oltre 300 vittime. L’attacco, preceduto da un’attività di supervisione dei movimenti dei ragazzi da parte delle autorità mediante il Centro di Controllo C4, durò più di quattro ore e vi presero parte direttamente la polizia locale, la federale, quella statale, la ministeriale e l’esercito, le cui unità presenziarono i fatti, non intervennero mai in difesa degli studenti e invece si dedicarono a vessarli e minacciarli.

“E’ un gran dolore come madre, come padre, vedere che arriva il compleanno di tuo figlio e non sapere niente di lui, non potere abbracciarlo, ed è l’amore che abbiamo per ciascuno di loro che ci tiene svegli e ci fa continuare per chiedere un castigo per i responsabili”, spiega Cristina in un’intervista per questo articolo.

Il bilancio della “notte di Iguala” è stato brutale: sei morti, tra cui tre studenti, quaranta feriti, una città e un paese traumatizzati, e infine 43 studenti desaparecidos, cioè vittime di sparizione forzata da parte degli apparati di sicurezza statali. Volevano diventare maestri in zone rurali, indigene, marginali e per molti di loro iscriversi alla magistrale era l’unica opzione di vita.

La tradizione delle scuole normali messicane viene dagli anni ’20 e ‘30 del Novecento, quando s’istituirono con un carattere “socialista” per formare insegnanti che poi diventavano un riferimento fondamentale per l’organizzazione sociale, oltreché educativa, delle comunità. Col passare degli anni, di fronte all’autoritarismo del sistema politico dominato dal partito egemonico PRI (Partido Revolucionario Institucional), alla militarizzazione dei territori e alla strategia antinsurrezionale del governo, specialmente nel Guerrero, e poi al neoliberalismo imperante, portatore di ulteriori disuguaglianze, le normali rurali sono diventate fucina di ribellioni e alternative popolari osteggiate da tutti i governi fino a quello attuale.

Nelle settimane seguenti il “caso Ayotzinapa” ha fatto il giro del mondo e ha esposto il governo del presidente messicano Enrique Peña Nieto allo scrutinio internazionale e alle critiche di una società indignata che ha articolato un movimento imponente nelle piazze.

“Nello stato del Guerrero è scoppiata una vera e propria insurrezione col movimento per i 43, con quello per boicottare il voto nel 2015 e coi gruppi armati di polizia comunitaria”, spiega Ludovic Bonleux, autore del documentario Guerrero da poco uscito nelle sale messicane (link trailer).

Per tutto il 2015 le “Giornate di azione globale per Ayotzinapa” hanno tenuto accesi i riflettori trovando il sostegno e la solidarietà di migliaia di persone, collettivi e organizzazioni in Messico e fuori. L’anno seguente, senza tregua, i genitori e i solidali del movimento, sebbene meno presenti sui media esteri, hanno continuato a realizzare picchetti, incontri con le autorità, manifestazioni, carovane in Europa, Stati Uniti e America Latina

Ma mentre per le strade si chiedeva “verità e giustizia per i 43” al grido di “vivi li han portati via, vivi li rivolgiamo”, il titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Jesús Murillo, s’occupava di fabbricare in fretta e furia una narrazione tossica, la cosiddetta “verità storica”, favorevole al governo Peña.

“Il governo messicano ha cominciato a tessere una versione ufficiale che potesse coprire per sempre la realtà dei fatti accaduti quella notte”, precisa Anabel Hernández, giornalista messicana autrice dell’inchiesta “La vera notte di Iguala”.

Dopo i sei anni di guerra militarizzata al narcotraffico e i 100mila morti provocati dal suo predecessore, Felipe Calderón, Peña s’era impegnato dall’inizio del suo mandato, nel dicembre 2012, a proiettare all’estero l’immagine di un paese alle soglie “del primo mondo” e rispettoso dei diritti umani.

Ayotzinapa ha distrutto il suo programma politico e propagandistico, basato su una netta spinta alle riforme neoliberiste, la continuazione della strategia militare contro i narcos, l’attrazione degli investimenti stranieri come panacea e la proiezione turistica e sportiva del Messico, e ha evidenziato invece una realtà nazionale drammatica: oltre 50 milioni di poveri, indici di disuguaglianza crescenti, sette femminicidi al giorno, una strage imparabile di giornalisti, 32mila desaparecidos e 105mila omicidi dolosi in quattro anni e mezzo di governo.

“Andiamo avanti a gridare per le strade, ogni giorno realizziamo attività culturali o di protesta in varie parti, facciamo rumore per la presentazione in vita dei nostri figli e spero che in Italia la gente resti informata sulla nostra lotta”, chiede Cristina.

Lo Stato messicano è chiaramente indicato come colpevole di fronte alle vittime e all’intera società per non aver saputo o voluto restituire, vivi o morti, ai genitori i propri figli e all’opinione pubblica una verità consistente dei fatti. Al momento nessuno degli oltre 100 accusati e incarcerati per il caso è stato processato, tanto meno condannato.

Attualmente le petizioni del movimento dei genitori dei 43 desaparecidos si riassumono nei punti enunciati dal comunicato “4 strade imprescindibili per la verità e la giustizia”, che altro non sono che le piste abbandonate deliberatamente dalla Procura Generale e dal governo in questi tre anni e che hanno impedito un vero chiarimento delle responsabilità.

Le loro richieste si basano sul secondo e ultimo rapporto del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Internazionali (GIEI) della CIDH, consegnato il 25 aprile dell’anno scorso all’opinione pubblica e al governo dopo un anno di ricerche. Gli esperti hanno attestato che la versione governativa non regge ed è stata costruita mediante la tortura degli indiziati e la manipolazione delle prove. Le loro conclusioni sono simili a quelle di Anabel Hernández, in prima linea nel contestare la versione ufficiale costruita da Murillo e dal direttore dell’Agenzia per le Indagini Criminali, Tomás Zerón.

“Questi due personaggi hanno inventato la cosiddetta ‘verità storica’, facendo credere che gli studenti della scuola normale sono stati sequestrati e bruciati nella vicina città di Cocula per ordine di un semplice e piccolo sindaco, quello di Iguala, José Luis Abarca, da un gruppo di poliziotti senza armamento né formazione sufficiente e da un piccolo gruppo criminale che era operativo nella zona”, ha spiegato la giornalista in un’intervista telefonica.

La cremazione di 43 corpi nella discarica di Cocula era tecnicamente impossibile, secondo le perizie dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense ed esperti delle principali università del paese, ma la Procura ha insistito nel voler imporre questa versione.

“I militari, i poliziotti federali e del Guerrero hanno orchestrato questo crimine, ho prove contundenti del fatto che l’esercito ha sparato direttamente quella notte contro i pullman degli studenti perché stava lavorando per un boss importante a capo delle operazioni nella regione per recuperare un carico di eroina da 2 milioni di dollari e il governo messicano era a conoscenza di tutto ciò”, conclude Hernández.

Questo mese si sono moltiplicate le attività dei movimenti che sostengono i genitori di Ayotzinapa e il 26 è stata realizzata la XXXVI Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa, anche se il terremoto del 19 settembre ha cambiato i piani. C’è stata quindi una camminata silenziosa a Città del Messico e in decine di altre città messicane. I genitori dei 43 hanno portato tutti i prodotti di prima necessità raccolti alle vittime del terremoto del quartiere Xochimilco. “Capiamo il vostro dolore perché da tre anni non sappiamo nulla dei nostri 43 figli, per questo e perché i nostri fratelli a Città del Messico hanno aperto le porte della città alla nostra lotta, abbiamo deciso di ristrutturare il nostro piano di azione e sospendere alcune attività che erano in programma”, ha annunciato il Comitato dei Genitori dei 43 studenti. Intanto per il 26 è prevista una camminata di protesta nella capitale e poi si riunirà ancora l’Assemblea Nazionale Popolare nella Normale di Ayotzinapa per cercare nuove strategie.

“Per noi il 26-27 non è tutto, la battaglia continua sempre perché abbiamo detto che andremo avanti fino a conoscere il dei nostri figli, perché altrimenti passa l’idea che non succede mai niente, che il governo uccide, fa sparire la gente, la imprigiona e non gli si dice niente”, annuncia Cristina. “Non ci stanchiamo di ripetere il nostro reclamo come un disco rotto e ora ci concentriamo sui 4 punti che il GIEI ha chiesto d’indagare allo Stato messicano”, ribadisce.

Il primo punto riguarda il ruolo del 27° battaglione dell’esercito di stanza a Iguala, il cui intervento la notte del 26 settembre non è stato indagato, né sono state ispezionate le caserme in cui, secondo alcune ricostruzioni plausibili della stampa e dei testimoni, potrebbero essere stati portati alcuni degli studenti.

Il secondo punto chiede indagini specifiche, basate su una serie di prove scartate quasi di default dalla Procura, sul gruppo di 25 alunni che sarebbe stato condotto a Huitzuco, a mezz’ora di macchina da Iguala, da agenti delle polizie federale, locale e ministeriale. Nessun poliziotto di queste corporazioni è stato arrestato o interrogato al riguardo.

La Procura, da mesi, presumibilmente sta analizzando i tabulati telefonici di un migliaio di cellulari, diciassette dei quali sono degli studenti e sono stati utilizzati anche dopo la loro sparizione forzata, per cui si chiede di rendere noti i risultati completi sulla localizzazione geografica e sui contenuti delle chiamate.

Infine s’esige un’indagine sulla pista del traffico di droga tra Iguala e Chicago come possibile movente dell’aggressione. Inizialmente la Procura aveva parlato di soli quattro autobus sequestrati dagli studenti, ma poi sono emerse prove dell’esistenza di un quinto pullman che, a insaputa dei ragazzi, sarebbe stato carico di eroina, il che potrebbe aver innescato la persecuzione armata da parte delle polizie colluse con i narcotrafficanti dell’organizzazione Guerreros Unidos a Iguala.

David Fernández, rettore dell’università Iberoamericana nella capitale, ha affermato che “il caso Ayotzinapa è paradigmatico perché permette di capire cosa è successo e succede nel paese: il costo del discredito che ha pagato il governo messicano per non aver indagato sulla sparizione dei 43 studenti è inferiore al prezzo che dovrebbe pagare se venisse a galla la verità”.

Il reclamo della società per le violazioni dei diritti umani, che spesso si configurano come crimini di lesa umanità, continua a riecheggiare in tutti gli angoli del Messico e del mondo grazie all’azione e al coraggio dei genitori dei 43 studenti e di tutti gli altri desaparecidos a cui non importa quanto possa essere alto il prezzo della verità e della giustizia.

P.S. Per chi volesse informarsi in modo completo sul caso Iguala-Ayotzinapa e sugli eventi della notte del 26 settembre 2014 consiglio la Piattaforma Ayotzinapa, da poco inaugurata da Forensica Architecture, in collaborazione con l’Equipe Argentina di Antropologia Forense e il Centro per i Diritti Umani Miguel Agustìn Pro Juárez, i quali hanno concepito un sito interattivo per mappare ed esaminare le diverse narrative presenti sulla notte di Iguala. Il progetto vuole ricostruire per la prima volta la totalità dei fatti notti che hanno avuto luogo quella notte per fornire uno strumento forense che coadiuvi le indagini sul caso.   

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