Einaudi Stile Libero Big, Torino 2017, pp 552, € 21

di Mauro Baldrati

Il lettore di thriller di solito è paziente e incline al perdono. Deve esserlo. L’autore di questo genere letterario ha una trama da portare avanti, talvolta con variabili di difficile gestione. Per quanto si dia da fare per pianificarla, per prevedere svolte e colpi di scena, spunta sempre qualcosa, durante la narrazione, che spariglia tutto. Eccolo allora incartato, coi personaggi impigliati in una rete che non aveva previsto, e non sa, non riesce a capire come mai sia arrivato a quel punto morto; come mai abbia permesso ai suoi eroi di insabbiarsi così.

Per uscirne spesso è costretto a ricorrere a espedienti facili che fanno sospirare il lettore preparato, che mugugna, mentre legge: “Va beh. Però, che palle.”
Un espediente molto usato è il caso. L’eroe della storia, l’investigatore, o l’agente del controspionaggio, sono “piantati” nella loro ricerca e non trovano risorse aggiuntive per arrivare all’epilogo. Sembrerebbe una sconfitta.

Allora l’autore, attraverso il cosiddetto narratore onnisciente, crea il miracolo. Il personaggio-narratore, dopo pagine e pagine di ricerche avventurose, è arrivato al capolinea. Ma non ha trovato l’assasino, né il terrorista, né il capo della congiura. E non si vede una via d’uscita. Allora che fa l’onnisciente? Fa spuntare un personaggio-comparsa, che non ha alcune rapporto col testo, per esempio un mendicante cieco o storpio che si rivolge al personaggio-narratore e pronuncia una frase misteriosa, tipo quartina di Nostradamus, che crea la svolta. Il nostro ha un’illuminazione e si precipita in un luogo dove risolve finalmente l’arcano.

Il lettore, che un po’ si è divertito, un po’ ha sonnecchiato nel testo, sospira. “Eh, ma dai, poteva pure andare dalla fattucchiera a farsi leggere le carte.”

Ma la storia è così. Gestire un testo, perdipiù di impostazione thriller, o “crime”, è operazione molto complessa. Gli avversari della scrittura di genere, soprattutto gli autori di classificazione “elevata”, che sbuffano per certi successi dei “gialli”, dovrebbero riflettere sul fatto che al tecnico del thriller non sono concesse troppe licenze letterarie, né cambi improvvisi di registro, come invece può permettersi l’elevato, in quanto artista puro. Devono sbrogliare matasse che si ingarbugliano da sole durante la narrazione, nonostante l’autore abbia tracciato linee d’azione e preparato schemi. Il lettore deve avere pazienza. Deve perdonare.

Però c’è un limite. L’autore non deve esagerare coi sotterfugi e i trucchi. Se ciò avviene il lettore si sente preso in giro, e potrebbe tracciare una bella croce sul nome di quell’autore: “Mai più”.

Gli scrittori americani di successo, che possiamo identificare come industriali (vendono milioni di copie, hanno ghost-writer che raccolgono dati, fanno ricerche, sopralluoghi), ci stanno attenti. Non che siano esenti da queste scappatoie, ma cercano di evitare le facilonerie, e di solito ci riescono, anche se il pericolo è sempre dietro l’angolo.

Alcune scappatoie comode non le disdegna neanche Don Winslow, autore industriale tra i più preparati e coraggiosi. Ha da poco pubblicato Corruzione, che fa seguito all’ottimo Il Cartello. Il sergente Malone, che “batte” le strade di New York infestate dal crimine, quando deve trovare alla svelta un certo trafficante si rivolge a un informatore, un tossico che rintraccia subito, nei vicoli di Manhattan, il quale sa sempre tutto, conosce i nascondigli segreti dei boss o le date di certe consegne di droga o armi. Una specie di Nsa ambulante. E lo salva regolatmnte dallo stallo.

Fatta roba, pensa il lettore, quando è stato agganciato dalla vicenda, ma non si scandalizza più del dovuto. La storia deve pur andare avanti, meglio qualche faciloneria di decine di pagine di contorte spiegazioni.

Anche perché il problema di questo libro non è il ricorso ai sotterfugi (banali) da parte dell’onnisciente che deve disimpegnarsi, ma le prime 222 pagine. Ovvero quasi la metà del libro. Il che non è proprio un dettaglio.

Winslow deve avere pensato di preparare il terreno, far sfilare i personaggi, le loro storie personali, il sistema in cui sono inseriti. Però se l’è presa comoda. Fin troppo. Tutta la parte iniziale sembra una riedizione dell’ispettore Callaghan, le dure strade di NY popolate di spacciatori, stupratori, assassini, rapinatori, con dovizie di particolari, accanimenti narrativi. Perdipiù pare di assistere anche a un inserimento di Rocky, con varie vicende sentimentali nel contesto del mondo sporco, violento e corrotto. Così dobbiamo seguire Malone, che guida una task foce che ha il compito di tenere sotto controllo la violenza di strada, nei suoi contatti, nelle sue peregrinazioni nei locali, e nelle case della ex moglie, della nuova fidanzata, delle famiglie dei colleghi, con descrizioni dei figli, dei barbecue, che rendono la lettura lenta, accidentata e dispersiva. Ma possibile, si chiede il lettore esigente, che sia tutto così?

Manca una storia avvincente, sembra di vivere alla giornata con Malone, anche se notiamo che è tutto uno scambio di bustarelle, che Malone intasca volentieri, oppure le consegna ad altri poliziotti, a un superiore di grado. E dai dialoghi – molto americani, pieni di “vaffanculo”, “te lo ficco in culo”, “stronzo”, “che cazzo vuoi?”, lo slang di strada che piace tanto ai lettori puritani americani (e anche ai colonizzati dell’Impero) – sappiamo che la bustarella è la norma, che tutti sono coinvolti, perché vogliono la vita facile, adorano andare nei ristoranti di lusso, negli alberghi di lusso, proprio come i chiassosi mafiosi italiani, o quel ne resta, visto che le nuove mafie, in particolare quella dominicana, li stanno detronizzando. Tutti corrotti, perché quello è il sistema. E il sistema si basa su una sorta di accordo: noi poliziotti permettiamo a te, mafioso, di esercitare il gioco d’azzardo, le protezioni, la prostituzione (di cui, tra l’altro, tutti usufruiscono, poliziotti in prima fila, talvolta anche come magnaccia), però non spacci eroina nelle “mie” strade. E mi paghi anche la percentuale. In questo modo si configura una pace sociale, dove tutti pappano e al contempo le strade non sono infestate dall’eroina e dagli omicidi. In questo accordo sono coinvolti anche gli ufficiali, i capi della polizia, che ovviamente intascano bustarelle più consistenti.

Non c’è alternativa, sembra. Il crimine esiste ed esisterà sempre, per cui è meglio venire a patti, per salvaguardare un minimo di legalità e di tranquillità.

Per cui, durante le 222 pagine iniziali, in gran parte descrittive, prive di tensione, entriamo in questa dinamica duplice, ma anche ambigua. Malone infatti è un duro, un “re” di Sud Manhattan temuto e rispettato, che sembra procedere su due binari: quello della corruzione e quello parallelo dell’eroismo, della generosità, dell’onore, anche se disonora di continuo il suo ruolo e il corpo a cui appartiene. Ma in realtà non lo disonora, perché quello è il mondo, e non c’è alternativa possibile. Si è corrotti, ma corrotti onesti. Eppure sì, lo disonora ogni giorno, essendo un predatore vorace e insaziabile, anche se pare devolvere una parte dei fondi neri per la ex moglie e i figli, per la distribuzione dei tacchini la notte di natale nei quartieri poveri; ma già che c’è mette da parte i soldi, li nasconde in luoghi segreti, li tiene per i momenti difficili. E intanto emerge il ventre molle della società americana: tutto costa una follia, l’università per i figli, l’assicurazione sanitaria, la casa, ogni cosa è fuori portata della classe media. E Malone, e i suoi due pard, non vogliono sottostare a questa miseria. Vogliono il meglio per sé e per le loro famiglie.

Forse Winslow ha cercato di sperimentare, creando un personaggio border line tra corruzione ed eroismo, crimine e guerra allo stesso. Ma il risultato non è del tutto soddisfacente. Infatti se guardiamo all’eroe, nonostante sia “sporcato”, non possiamo non dubitare di lui quando viene fuori un lurido affare di eroina che lo coinvolge in prima persona. Viceversa, se Malone non è altro che un criminale non riusciamo a spiegarci l’empatia che ci lega a lui, alla sua sincera volontà di garantire ad ogni costo la pace sociale nelle strade, per il bene di tutti (lui compreso).

Poi, da pag. 223, la storia finalmente decolla. C’è un colpo di scena, anche se preparato con l’introduzione/spoiler (appena apriamo il libro troviamo Malone in galera, a riflettere sulla vita, gli eventi e se stesso, per cui durante la lettura sappiamo che le cose si metteranno male per lui, tanto che finirà al gabbio). Parte la vicenda con una trama che spacca, per cui il lettore resta attaccato alla pagina in una narrativa tesa che è il vero regalo dei romanzi “crime”. Il gioco si fa sempre più duro, Malone si trova a combattere anche contro i suoi colleghi, sempre più isolato, sotto accusa, mentre la terra gli frana sotto ai piedi e la linea di confine tra adattamento al sistema e crimine puro sembra spezzarsi.

E viene fuori, sempre più inquietante, la vera corruzione, quella di alto livello, quella protetta nei palazzi del potere e negli appalti, una melma putrida che coinvolge tutti, il capo della polizia, il sindaco, i giudici corrotti, i palazzinari.

Un’aria irrespirabile, mefitica, si sprigiona dalle pagine, e sembrerebbe un romanzo dove tutto è male, dove tutto si decompone e non c’è speranza né riscatto.

Ma queste atmosfere terminali non sono per gli americani moderni di successo, per quanto astuti e scafati essi siano. E’ troppo forte il richiamo della giustizia nonostante tutto. Lo è in loro in quanto autori individuali, ma soprattutto lo è nel pubblico di massa. Così seguiamo Malone nella catarsi finale, prevedibile nella corsa verso la conclusione che procede a rotta di collo, col fiato sospeso.

Col consueto talento di narratore di serie A (quando vuole? Quando gli riesce?) Don Winslow sfreccia verso il baratro, verso il recupero della natura ancestrale del “bravo poliziotto”, e noi cerchiamo di stargli dietro, anche saltando qualche paragrafo (per esempio le eccessive descrizioni toponomastiche, quasi che W volesse dimostrare ad ogni costo che conosce NY come le sue tasche), per raggiungere quello che deve essere, quello che sarà, quello che è.

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