di Franco Pezzini

H. G. Wells, La storia di Mr Polly, trad. di Caterina Ciccotti, pp. 199, € 14, Meridiano Zero, Bologna 2017

H. G. Wells, Fiamma viva, trad. e cura di Elisabetta Motta, Postfazione di Carlo Pagetti, pp. 200, € 14, Edizioni della Sera, Roma 2017

Il nome di Herbert George Wells (1866-1946) evoca in genere qui in Italia il ricordo di alcune opere eccellenti di fantascienza, come ‘La macchina del tempo’ (1894/1895), ‘L’uomo invisibile’ (1896), ‘La guerra dei mondi’ (1897/1898) o – in seconda battuta nella vulgata, al di là dell’importanza – ‘L’isola del dottor Moreau’ (1895/1896), ‘I primi uomini sulla Luna’ (1900/1901), ‘La guerra nell’aria’ (1908). Il che non appare improprio, si tratta di opere seminali per il fantastico novecentesco, di grande impatto sull’immaginario (si pensi al celebre sceneggiato radiofonico con Orson Welles, 1938, che per verosimiglianza scatenerà il panico, o ai numerosi adattamenti su schermo) e oltretutto dal respiro assai ampio. Però è pur sempre una scelta molto limitata a fronte della quantità di ottimi romanzi varati dallo scrittore britannico, e di tutto il resto della sua opera.
Il vittoriano Wells, memore delle grandi speranze di un’epoca, assiste a due guerre mondiali, vede la società cambiare in Inghilterra e nel resto del mondo, incassa delusioni e crolli di identità politiche; e quando muore ha quasi esaurito le batterie di speranza dopo infinite battaglie, considerato da tanti – anche colleghi scrittori, anche con giudizi frettolosi e ingiusti – un illuso che avrebbe fatto meglio a farsi la sua carriera di narratore senza tante ubbie. Ovviamente le posizioni socialistiche di Wells vanno collocate in un certo tipo di mondo e di laboratorio ideale, ma la forza critica dei suoi scritti, la genuina passione e l’altrettanto autentica sete di giustizia sociale – declinate in un impegno schieratissimo e limpido, l’uomo Wells è di assoluta trasparenza – mostrano una ricchezza che va oltre gli aspetti talora didattici: anche quando quelli ci sono, il narratore accoglie il lettore sempre un passo più avanti. Come a ricordare il potere liberante, di macchina per pensare della letteratura che non si esaurisce mai nello specifico progetto perseguito o nelle teorie di un’epoca, ma apre come porte – legittimamente – ulteriori domande e provocazioni.
A sovvenire a tale visione nostrana un po’ parziale e comunque schematica dell’opera di Wells giungono ora in traduzione, quasi in contemporanea, due suoi romanzi: due (mi ripeto) ottimi romanzi, tra loro parecchio diversi ma in realtà collegati da un unico approccio umanistico, nel senso di una riflessione sull’uomo e le sue agenzie formative, e che possono dire parecchio anche oggi.
‘La storia di Mr Polly’ (The History of Mr. Polly, 1910), cui Caterina Ciccotti dedica una traduzione divertitamente effervescente e complice – anche nei funambolismi lessicali del protagonista – è una commedia di grande godibilità e già all’uscita di notevole successo: portata al cinema nel 1949 da Anthony Pellisier, con John Mills nel ruolo di Polly, e poi anche in trasposizioni televisive (BBC 1959, 1980, 2007), sfugge nondimeno alla logica buonista e a letture conservative. Il protagonista Polly – il nome femminile, come ogni tanto gli fanno notare, risulta qui ovviamente un cognome – è un antieroe, un uomo senza qualità che tende a farsi portare dalla vita, un proto-Zeno Cosini più svagato e ruspante, e frutto di un certo tipo di società piccoloborghese che Wells guarda con la sua lente critica. George Orwell definisce questo romanzo “una commedia anarchica”.
Ecco dunque le stonate esperienze di Polly come studente e poi dipendente; le grottesche, esilaranti manfrine del funerale del padre – che gli porta un temporaneo benessere economico – e del matrimonio con Miriam (dopo un corteggiamento di lei e insieme delle due sorelle, con scelta più o meno accidentale tra le tre: inevitabile ripensare a Zeno); l’apertura di una fallimentare attività economica e un goffo tentativo di suicidio, con improbabile accreditamento a eroe locale… Eventi che condurranno Polly a scardinare i binari entro cui si è cacciato con il suo non-scegliere; ad affrontare prove dove invece dovrà (in certa misura e non troppo, Wells è molto concreto) prendere decisioni di petto; a confrontarsi a quel punto col passato e, ormai liberato, a trovare una sorta di rinascita altrove.
Il pigro, perplesso antieroe si salva, in fondo, per non aver mai smesso di sognare: tramite libri che lo spingono a fantasticare senza troppo impegno, e tramite lo stesso uso dell’invenzione linguistica, che per definire la realtà gli fa continuamente partorire neologismi sghembi quanto poi le vicende che lo smarcheranno. La storia di Polly è quella della conquista di una libertà che ha anche connotati di definizione identitaria: e il sereno tramonto dell’ultimo capitolo sembra ricordare che non è mai troppo tardi per raggiungerla.
Gioiello di comicità postvittoriana, The History of Mr. Polly presenta aspetti di critica sociale piuttosto morbidi, ma interessanti: e tra questi le pagine dedicate al modo in cui il Nostro si forma. O piuttosto non si forma: attraverso una scuola che sembra fatta apposta per sedare ogni passione. Tratteniamo per ora questa considerazione.
Certo, la “commedia anarchica” non è una storia di Natale alla Frank Capra, in una visione senza sconti su un mondo insieme amaro e buffo, molta ironia con un velo di malinconia. Si è citato come possibile maschera di Polly l’assai più tardo Mr Bean: eppure il romanzo potrebbe essere interpretato ancor meglio, per chi li ricorda, dai due protagonisti della serie tv inglese comica e acidula George e Mildred (1976-1979), qui perfettamente immaginabili nei panni di Polly e di Miriam. Che per inciso sono cugini: e anche il primo matrimonio di Wells, terminato con un divorzio, era stato con una cugina, nel Mondo piccolo vittoriano in cui si corteggiava a chilometro zero.
Un registro ben diverso ha il secondo testo wellsiano ora apparso: l’atipico e coraggioso ‘Fiamma viva’ (The Undying Fire, 1919) proposto da Edizioni della Sera nella splendida collana I grandi inediti diretta da Giorgio Leonardi, ben curato da Elisabetta Motta e arricchito da una Postfazione di Carlo Pagetti – dove invece prevalgono toni drammatici. Anche se dall’inizio il lettore ha motivo d’intuire che il finale non sarà tragico, perché la storia gioca a calco – in modo non banale – del biblico Libro di Giobbe: e fin dal famoso prologo in Cielo, forse con una strizzata d’occhio alla rilettura offertane da Goethe. Nel nostro caso, bersaglio della sfida di un Satana che “trae un uguale piacere tanto nel citare le Scritture quanto nel fare le statistiche” è il povero Job Huss, già appassionato direttore della moderna scuola di Woldingstanton, dove ha cercato di dare ai ragazzi una formazione all’uomo assai più che agli affari – e possiamo immaginare cosa penserebbe di stage aziendali e quiz Invalsi. Job viene colpito nel lavoro (una serie di spaventosi incidenti nell’istituto cui tiene tanto), nella famiglia (il figlio scomparso in guerra, la moglie che ora lo disprezza) e nella stessa salute: e per colmo di fatica, come il Giobbe biblico, deve vedersela con una serie di personaggi che intendono spiegargli la vita – e cancellare, per inciso, il suo sforzo di anni nella scuola, per espropriarla a più moderne logiche economiche. A ispirare Job Huss è la figura di Frederick William Sanderson, destinatario dell’unica biografia scritta da Wells (The Story of the Great Schoolmaster, 1924) e suo caro amico: non solo un direttore scolastico illuminato e innovativo, ma un uomo di grande spessore e profondità. Quando muore, il suo successore si affretta a cambiare linea, e Wells l’attaccherà frontalmente.
Il fatto è che, appunto, il mondo è cambiato: se The History of Mr. Polly era uscito nel 1910 della morte di Edoardo VII, in un contesto non idilliaco ma ancora capace di tranquillità rurale, nove anni dopo The Undying Fire reca addosso la cappa dei lutti di guerra. Che a Wells appare però insieme un precipitato di tutti i mali e i dolori conosciuti dall’uomo (persino nelle sue corse avanti tecnologiche, come nelle terribili descrizioni offerte nel romanzo della morte nei sommergibili) e insieme dal resto delle specie viventi, in un mondo dove la ferocia erompe ovunque esondando da ogni facile spiegazione devozionistica. La Residenza “Vista sul Mare” – squallida pensione dove si consuma il dramma di Job, malato e angariato dai contraddittori – si svela così davvero luogo di contemplazione di quel mare che nella Bibbia è simbolo di forze cosmiche avverse e tout court di male (“e il mare non c’era più” profetizza l’Apocalisse, 21, 1, a proposito dei cieli e terra completamente rinnovati). Mentre nel dibattito attorno a Job le riflessioni dell’antico autore biblico si trasfondono ora in visioni scientificamente argomentate sulle dinamiche della natura, sulla storia paleontologica e le basi di un’etica. Di fronte a Job e ai suoi contraddittori è inevitabile pensare alla lettura di un altro mistico blasfemo (così lo definirono, a torto) e libertario, William Blake, nei febbricitanti mandala delle sue tavole di illustrazione del Giobbe: similmente anche The Undying Fire è una sorta di mandala dove tutto l’universo – indipendentemente dalla nostra abitudine a ripartire per discipline – è presente e richiamato al paradosso vertiginoso di un non-ordine dove lavorare. Il sottotitolo A Contemporary Novel si riferisce così insieme al dramma di quel 1919 in cui i sogni ottimistici del Ballo Excelsior sembravano cancellati a suon d’iprite, e insieme alla presa di coscienza più generale di un’epoca contemporanea, dove una nuova serietà di lettura della realtà deve urgentemente accompagnarsi a una visione costruttiva del futuro.
Comunque né l’accanimento – la cifra-Satana – con cui la vita sembra colpire il povero Job, né gli attacchi dei contraddittori riusciranno a piegare il vecchio direttore; a far estinguere in lui la fiamma immortale del titolo, quella fiamma viva di speranza che Wells identifica non nel Dio del catechismo, ma in quello “in formazione” di un umanesimo divinizzato. Un Dio limitato e umile, ma che continua a lavorare, impegnato in una lotta che un giorno vedrà il suo trionfo. In questione non è dunque un discorso puramente teologico, ma una riflessione spalancata a un intero panorama etico, filosofico e scientifico. E per procedere in questa lotta che un giorno terminerà con la vittoria, la via principale – argomenta Job/Wells – è quella della formazione/istruzione, un tema a lui tanto caro da fargli dedicare The Undying Fire “to All Schoolmasters and Schoolmistresses and every Teacher in the World”.
Certo, per capire a fondo lo spirito del romanzo e la guerra dei mondi che evoca, al di là della sua contingenza storica, occorre aver incontrato – almeno una volta, almeno per un po’ di tempo – un profilo d’insegnante ben diverso da quello teorizzato dalle “Buone scuole” renzioidi. Cioè quel tipo di maestro che forse non accumula con sussiego punti ministeriali, ma in concreto ti cambia la vita; e che, grazie a ciò che brucia dentro di lui, aiuta a liberare in te – fuori da ogni retorica, non c’è niente di alato – una qualche fiamma che poi continuerà a bruciare. Persone che sanno contagiare con la loro passione (e sappiamo dall’esperienza diretta, magari dei nostri figli, quanto ciò oggi non sia affatto scontato), e diano senso al lavorare sodo con motivazioni ben diverse dalla competizione becera, ormai ben rappresentata anche tra i ragazzi. Persone che sanno scommettere sugli allievi senza nascondersi dietro normative “che legano le mani” (ma che invece qualche volta possono andare al diavolo, perché la legge è fatta per gli uomini e non viceversa). Persone che sanno riconoscere e non ignorano con soave distrazione i grovigli nella pancia di allievi bambini o adolescenti, le loro ribellioni o quel senso di giustizia che alla loro età forse (per fortuna) non è ancora spento; ma che insieme non si esauriscono nella giulebbe di insegnanti-chiocce, e il fuoco non temono di lasciarlo accendere. Persone, ancora, che non si autocelebrano in libri sulla scuola da leggere in salotto, non premiano i buonismi funzionali a un sistema, non si accontentano delle verità premasticate… Chi ha conosciuto simili persone – ciascuna con il suo specifico, la realtà è varia – capisce il senso del romanzo di Wells. Per gli altri, mi dispiace moltissimo.