di Marc Tibaldi

fumagalliGrateful dead economy. La psichedelia finanziaria” di Andrea Fumagalli (AgenziaX, pp. 190, € 15,00) analizza in maniera innovativa le tre parole-chiave al centro del dibattito politico del nuovo millennio: il concetto di comune, lo spirito open-source e il ruolo delle monete alternative. Il titolo e la copertina sono molto accattivanti e potrebbero far sembrare il libro una trovata da subvertising, ma non è così. Eccentrico, sì, è un libro eccentrico, nel senso migliore del termine, utilizza la metafora dei Grateful Dead, non solo per rendere omaggio a uno dei gruppi musicali che più ha inciso sulla cultura alternativa, ma per discutere criticamente l’evoluzione dello spirito libertario negli Usa, nato negli anni sessanta e riapparso nelle ultime due decadi nell’ideologia libertarian, fondata sull’antistatalismo e il primato dello spirito del self-made man. Per usare un termine della musica, possiamo dire che i sei capitoli son ben mixati, non c’è spaccatura ma conseguenzialità, e lo spirito del libro va oltre i suoi dichiarati intenti: infatti l’incontro di ambiti apparentemente lontani, l’immaginazione, la sperimentazionee l’innovazione, non possono che arricchire lo spirito critico e l’efficacia delle lotte. Un tempo la psichedelia era sinonimo di creatività e sovversione, ma ora regnano l’impotenza e la depressione sociale. Forse è perché la finanza e la mercificazione economica si sono appropriate non solo del corpo ma anche dei cervelli, dei sensi e dell’eros, costringendoli a vivere una vita di elemosina e precarietà? Lo abbiamo chiesto all’autore.

Cos’è la psichedelia finanziaria e qual è la relazione tra i Grateful Dead e la proposta della moneta alternativa commoncoin?

Jerry Garcia e i Grateful Dead sono stati – con tutti i loro vizi e virtù – un tentativo di sviluppare una cooperazione sociale. Questo tentativo ha accompagnato la transizione tra la controcultura degli anni Sessanta al cyber-controcultura degli anni Novanta. Oggi, l’esperienza della costruzione di un esodo costituente – un’azione capace di misurarsi con l’esistente e creare modelli alternativi – fa tesoro dello spirito innovativo della controcultura, cercando strade che non ricadano nei limiti di quelle esperienze.

Cosa avrebbe pensato Jerry Garcia del tuo libro?

Gli sarebbe piaciuto, spero! Lui è stato un ottimo imprenditore sociale, un ottimo esempio di quello che oggi va di moda con il termine “sarin economy”, non gli è mai interessato arricchirsi. I Grateful Dead non hanno mai fatto proclami rivoluzionari ma non hanno mai rinnegato nulla. Pensavano, come molti nel movimento contro-culturale, di essere altro. Non hanno mai vietato le registrazioni e la produzione di bootleg per un atteggiamento di condivisione, ma anche perché avevano capito che lo sviluppo del mercato avrebbe creato automaticamente più seguito dei loro concerti.

Una domanda che esula dai contenuti del libro. Spesso fai riferimento allo spirito libertario americano che attraversa gli anni Sessanta e arriva ai giorni nostri, spesso in bilico tra la scelta anarco-capitalista e quella individualista. È un filone di pensiero che viene da lontano, da Tucker a Thoreau, da Owen a Jefferson, passando da Whitman. Ma secondo te lo spirito libertario sociale e ribelle degli IWW è definitivamente morto?

Credo che lo spirito libertario individualista americano andrà a esaurirsi. Lo spirito libertario è sempre stato bianco. Quelle che sono state le minoranze della popolazione americana non si sono mai potute permettere di avere uno spirito libertario individualista, che in fondo è uno spirito borghese. Le proiezioni demografiche ci dicono che i bianchi diventeranno minoritari rispetto al melting-pot statunitense. Lo spirito libertario potrebbe intaccare le altre componenti sociali, ma – se è vero che la connotazione comunista potenzialmente è tanto maggiore quanto maggiore è la condizione di subalternità e di libertà – nello stesso tempo, proprio per la tradizione, la cultura, la storia dello sfruttamento che queste componenti hanno subito e subiscono potrebbe assumere qualche connotazione comunista.

Il progetto della commoncoin è più una continuazione dell’esodo della nave spaziale di Blows Against the Empire, il celebre disco dei Jefferson Starship con Jerry Garcia tra gli ospiti, oppure della riflessione di Marx, nella celebre lettera a Vera Zasulic, sull’importanza delle comuni agrarie della Russia pre-sovietica?

Io recupero la rifessione di Marx sulla Comune, sul mito della frontiera americana, sulla questione dell’accumulazioneoriginaria e su come negli Usa le forme di conflitto nel mondo del lavoro assumano una forma diversa di quelle in Europa, proprio perché c’è sempre la possibilità della via di fuga rappresentata dalla frontiera. È una forma di esodo che trova continuazione nelle comuni della controcultura degli anni Sessanta e  nel cyberspazio delle contro culture dei Novanta. Queste esperienze dimostrano però che le forme di alternatività al capitalismo sono destinate a diventare canali di innovazione del capitale, se non si dotano di una struttura economica.

La moneta del comune potrebbe essere lo strumento che consente di fare un esodo senza diventare un esodo destituente che costruisce il proprio orticello fuori dalla società – anche perché non c’è più un fuori oggi – ma un esodo costituente che crei le basi per una relazione e autoorganizzazione fra progetti di produzione alternativa e conflittuale. Creare una struttura in grado di permanere e contaminare – in questo senso costituente – l’ambiente circostante. Keynes diceva che la moneta cattiva scaccia quella buona, ecco, la moneta del comune deve essere la moneta cattiva che si incunea nei rapporti monetari tradizionali e che crea delle premesse per sviluppare delle alternatività qui e ora invece di aspettare la presa del Palazzo d’Inverno o che lo stesso capitale si renda conto che sta andando verso l’autodistruzione. 

Sia nel tuo libro, sia nel programma della Conferenza di Roma sul comunismo (che si svolgerà nel gennaio 2017; info: www.communism17.org), manca totalmente l’ipotesi di un pensiero che prenda in considerazione la strategia e la pratica rivoluzionaria. Un concetto non secondarioanche nel pensiero di Marx.

È una questione che mi sono posto. Al di là di un volontarismo idealistico dobbiamo tenere presente che la rivoluzione la si può fare solo se viene individuato un soggetto di riferimento. Senza soggetto rivoluzionario non c’è possibilità di rivoluzione. Dobbiamo continuare a cercare un soggetto o individuare più soggetti? E ovviamente questo tema rimanda alla definizione di classe. Al momento le trasformazioni del rapporto di sfruttamento capitale-lavoro, il cambiamento dei processi di sussunzione del lavoro nel capitale,  ovvero il modo in cui il lavoro è subordinato al capitale non sono più definibili in maniera del tutto omogenea. Non si può più parlare di classe sociale inserita nei rapporti capitale-lavoro, ma di condizione sociale. Infatti non usiamo la definizione classe precaria ma condizione precaria. Certe volte il concetto di classe viene declinato sulla percezione della condizione di lavoro all’interno della propria vita, come se vita e lavoro fossero separate. Oggi questo non è più possibile, la condizione sociale, la condizione di lavoro e la condizione di vita vengono a sovrapporsi e questo fa si che il processo di omogeneizzazione è molto più complesso perché non basta la presa di coscienza. La presa di coscienza rimanda al fatto che siamo individui, differenti da altri individui, e sviluppiamo una presa di coscienza esterna a noi. Questo è impossibile perché non c’è più nulla di esterno a noi, allora la coscienza diventa processo di soggettivazione. Questa è una delle validità dell’insegnamento operaista, il fatto che il soggetto rimane l’elemento costituente la classe. All’epoca era l’operaio-massa, oggi l’operaio-massa esiste ancora ma non è più il centro unico della valorizzazione. La valorizzazione oggi deriva dallo sfruttamento delle economie di rete e delle economie di apprendimento. La produttività come indicatore dello sfruttamento economico sono l’apprendimento, le relazioni e la riproduzione sociale. Al momento attuale i soggetti che lavorano in questi segmenti non sono in grado di definire un soggetto rivoluzionario. Deve completarsi ancora un processo di soggettivazione venga percepito in modo tale da metter in moto un’identificazione del soggetto rivoluzionario. Allora lì forse si potrà creare una classe. 

Dobbiamo rassegnarci a togliere dall’agenda politica – presente e futura – ogni prospettiva rivoluzionaria?

Mi chiedo se non sia possibile procedere attraverso forme di esodo in grado di assediare il capitale, che è cosa diversa da trasformarlo dall’interno, trasformazione oggi più improponibile che la stessa rivoluzione. È necessario dotarsi delle competenze migliori per affrontare la frontiera tecnologica. Bisogna essere in grado di creare degli algoritmi altrettanto potenti di quelli utilizzati dal capitale. Per esempio, in questo periodo sto seguendo – da osservatore – le lotte dei riders di Foodora: le comunicazioni digitali tramite algoritmi diventano le forme che definiscono anche giuridicamente le forme di comunicazione dei rapporti di lavoro. È possibile sviluppare un contro-algoritmo che decida la distribuzione delle commesse in maniera più consona alle esigenze dei riders? O è meglio creare un algoritmo che fa opera di sabotaggio? Le competenze tecnologiche forse è meglio utilizzarle per creare alternatività qui e ora, anche se non è da escludere l’intervento sui rapporti di forza.

Non è forse nella differenza tra “avanguardia” (movimento che crea un’egemonia per arrivare alla rivoluzione) e “controcultura” (movimento che vuole cambiare la vita e solo di conseguenza il mondo) già insito l’abbandono della rivoluzione – intesa in senso marxista – a favore di una transizione o di pratiche che farebbero crollare il capitalismo dall’interno?

Credo che le controculture siano un superamento delle avanguardie. In campo artistico l’avanguardia presuppone la capacità di evidenziare una capacità individuabile, in qualche modo misurabile (chi misura e quale misura è un problema di potere). Le avanguardie artistiche sono utili al capitale come le avanguardie politiche sono utili alla formazione di gerarchie. Le controculture possono essere  sussunte, ma hanno creato una condivisione sociale che permane nella coscienza collettiva. Oggi la creazione di ricchezza materiale, artistica, relazionale e sociale non può essere più creata individualmente, anche la ricerca tecnologica è sempre il frutto di una ricerca di gruppo, di una cooperazione.

Da questa angolazione il situazionismo è stato il movimento di transizione tra avanguardie politiche e artistiche e controcultura.

Paradossalmente la capacità di valorizzazione delle grandi imprese, dei mercati finanziari, all’interno della valorizzazione sociale sono quelle che devono selezionare la pseudo-avanguardia. La selezionano e la inglobano. Ma dal punto di vista dei movimenti rivoluzionari, meno si seleziona avanguardia e meglio è. Meno avanguardia c’è, meglio è, perché altrimenti nella complessità e nella frammentarietà si sposta l’attenzione su un soggetto e si perde la potenza della cooperazione sociale, della cooperazione sociale che interessa a noi. 

Nel libro parli dell’importanza della psichedelia creativa: innovazione, sovversione, immaginazione, contro la psichedelia paranoica della depressione e dello sfruttamento.

La costruzione di un circuito finanziario è un problema essenzialmente tecnico. La moneta è uno strumento. L’evoluzione tecnologica ci permette oggi di creare una moneta ex-nihilo e caricarla su un supporto finanziario. Dagli accordi di Bretton-Woods del 1971, la moneta non ha più un elemento di materialità, è puro segno, è creata virtualmente. La tecnologia permette di farlo anche a noi, ma dobbiamo essere capaci di rendere appetibile questa moneta. Ci sono monete complementari(come il Sardex, che verrà quotato in borsa e che ha vari finanziamenti bancari e finanziari) che non sono monete alternative, anzi la maggior parte non lo è. Hanno la finalità di fluidificare la liquidità all’interno del sistema di produzione delle imprese, mantenendo inalterato il meccanismo di sfruttamento sottostante. Sono un aiuto al capitalismo. La moneta essendo uno strumento deve essere accompagnata da un fine. Se una moneta è buona o cattiva, lo si deve valutare dal fine per cui è stata creata. La moneta del comune è finalizzata a rendere sostenibile, replicare e garantire l’attività anticapitalista in termini di remunerazione, finanziamento delle attività alternative e autoproduzioni, e di circuito. La moneta del comune non deve finanziare lo scambio tra imprese o persone, ma le attività alternative al sistema del capitale. Come si fa? Le persone devono essere messe in condizione di operare con finalità alternative al capitale. Queste alternative devono avere le gambe per stare in piedi e garantire alle persone un reddito. La moneta del comune deve essere una moneta capace di sostenere servizi sociali, reddito indiretto e reddito diretto.

Come si combinano elementi di teoria marxista autonoma e sapere hacker? Come si  costruisce un circuito finanziario alternativo e ci si riappropria del comune senza farsi recuperare dal capitale?

Sia i movimenti controculturali degli anni sessanta che quelli cyber hanno cercato di creare le premesse per un mondo liberato e autodeterminato. Ma ciò che è mancato è la definizione di una cassetta degli attrezzi in grado di garantire questa autonomia, di sviluppare una consapevole autodeterminazione dell’individuo sul piano culturale e politico ma anche la possibilità di dotarsi di sostenibilità economica e finanziaria, condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché le iniziative alternative siano in grado di autosostenersi senza correre il rischio di essere sussunte. I primi elementi di questa cassetta degli attrezzi sono costituiti dall’implementazione di una moneta alternativa, in grado di definire un circuito monetario-finanziario alternativo, non assimilabile a quello capitalistico, non condizionato dalle oligarchie finanziarie, ma finalizzato a creare le basi per una psichedelica  finanziaria dal basso; e dall’introduzione di un reddito di base incondizionato, inteso come remunerazione della vita messa a valore, finanziato dalla stessa moneta alternativa. Una sperimentazione che val la pena di tentare.

 

Andrea Fumagalli è docente di Economia Politica all’Università di Pavia. Le sue ricerche vertono sui temi della precarietà del lavoro, sul reddito di base e sulle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. La sua ricerca scientifica è sempre stata accompagnata da un forte impegno nei movimenti sociali – Chainworkers, San Precario, MayDay, … –  e nelle lotte contro le nuove forme di sfruttamento. Oltre a Grateful dead economy, tra i suoi libri ricordiamo: L’Antieuropa delle monete, con Lapo Berti, Manifestolibri; La moneta nell’impero, con Christian Marazzi e Adelino Zanini, Ombre Corte; Bioeconomia e capitalismo cognitivo, Verso un nuovo paradigma di accumulazione, Carocci; Lavoro male comune, Bruno Mondadori; inoltre ha curato Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari del postfordismo in Italia, con Sergio Bologna, Feltrinelli; La crisi economica globale, con Sandro Mezzadra, Ombre corte; La moneta del comune, con Emanuele Braga, DeriveApprodi.