di Sandro Moiso

notav Questa mattina all’alba è scattata in Val di Susa, contro il movimento No TAV, un’operazione di polizia, ancora una volta a seguito di un’inchiesta del pm Rinaudo, che ha portato a numerose perquisizioni, 2 arresti in carcere, 9 arresti domiciliari con restrizioni e per tutti gli altri obblighi di firma, per lo più quotidiana. Tra i coinvolti ci sono da segnalare la storica trattoria del movimento, La Credenza, Nicoletta Dosio (obbligo di firma) e una simpatizzante ultra-settantennne, Marisa Meyer; quest’ultima inquisita per “supporto logistico” poiché essendo impedita nella deambulazione il 28 giugno 2015, durante la manifestazione “incriminata”, si trovava sul furgone affittato come sempre dai manifestanti.

Diventa difficile non comprendere da subito, anche per il più sprovveduto degli osservatori, che tale operazione è la risposta più immediata con cui un regime giunto sull’orlo del baratro, grazie ai risultati dei ballottaggi di domenica scorsa, cerca di protrarre ancora, per poco tempo, la sua protervia, la sua arroganza e la sua violenza nei confronti di chiunque voglia non soltanto opporsi ad una delle grandi opere inutili, ma anche agli intrecci affaristico-finanziari che hanno accompagnato la deriva economica e sociale degli ultimi anni e di cui proprio il governo Renzi e il PD sono i principali, anche se non unici, responsabili.

E’ quasi inutile sottolineare, ma è comunque necessario ripeterlo, che tale sconfitta elettorale, in una città cardine per il potere PD e bancario come Torino, è destinata ad aprire un autentico vaso di Pandora. Quarant’anni di governo cittadino (sostanzialmente del 1975 in poi) non sono passati senza lasciare traccia. Dall’affratellamento tra gli interessi della FIAT e del PCI e della CGIL alla fine degli anni Settanta e seguenti (sconfitta della lunga lotta operaia del 1980 compresa), alle Olimpiadi invernali che hanno lasciato la città ammanettata mani e piedi ai debiti contratti con Intesa-San Paolo (il primo istituto bancario per ordine di importanza e grandezza a livello nazionale), dalla nomina dell’ex-sindaco Sergio Chiamparino alla direzione della Fondazione dello stesso istituto alle recenti nomine volute da Fassino alla direzione dello stesso (e che la Appendino ha già dichiarato di voler azzerare), senza contare i legami con i vertici del sindacalismo confederale locale, le Coop rosse e tutto ciò che riguarda la non-realizzazione, ma costosissima, della linea TAV, tutto è destinato ad implodere e ad esplodere nei prossimi mesi.

I primi effetti si vedranno già a partire da venerdì 24 nella Direzione del Pd e di cui già da ieri si avvertono i primi sintomi: minoranza Dem contro renziani, Cuperlo contro Renzi ed una parte della stessa minoranza, la vecchia guardia (D’Alema – Bersani) contro i volti nuovi e in lotta tra di loro, ma anche all’interno del cerchio magico renziano stesso. Già si parla dell’eliminazione/epurazione di Matteo Orfini e della vice-segretaria Debora Serracchiani e della loro sostituzione con Zingaretti o Martina (l’attuale responsabile nel governo per le politiche agricole). Una lotta a coltello di tutti contro tutti che minerà ulteriormente la posizione di Matteo Renzi, sia come Segretario del partito che come Premier, e del suo governo di regime.

In realtà, però, la vittoria pentastellata, che rimane comunque straordinaria ed epocale in una città come il capoluogo piemontese, ha delle basi che affondano le proprie radici anche nel tessuto economico e produttivo di una società e di un’area industriale che ha patito enormemente nell’ultimo decennio l’abbraccio mortale, anche per le piccole medie imprese, tra Fiat (sempre meno presente sul territorio, ma sempre egualmente vorace), banche ed amministrazione pubblica.

Una Fiat che ha fornito sempre meno lavoro alla filiera dell’automobile così radicata sul territorio, ma che fin dagli anni Ottanta/Novanta si è spostata (forse prima in Italia tra le grandi aziende) sempre più sul mercato delle grandi, e talvolta fallimentari, operazioni finanziarie, prive di frontiere e di ricadute positive sul tessuto economico-sociale locale e nazionale.

Banche che hanno speculato enormemente, con perdite talora disastrose e guadagni privati altrettanto giganteschi, ma che hanno reso sempre più difficile per i piccoli e medi imprenditori ottenere i crediti di cui avevano bisogno per i rinnovamenti necessari al mantenimento della competitività sul mercato. L’abbassamento del costo della manodopera per il sistema produttivo capitalistico non è tutto: il job-act favorisce l’iper-sfruttamento dei lavoratori e l’interesse delle imprese straniere ad investire in Italia, ma non le imprese che del e sul mercato nazionale devono vivere.

Lo strangolamento dell’economia locale, specchio dell’andamento dell’economia nazionale, ha visto così la simultanea rivolta del voto delle periferie, delle imprese commerciali (soprattutto piccole, contro cui l’amministrazione di “sinistra” ha giocato la carta di favorire sempre più la grande distribuzione e gli iper-centri commerciali) e degli imprenditori locali medio-piccoli, rispecchiando così la stessa reazione che inizia ad esserci a livello nazionale e di cui lo scontro sul Referendum, le spaccature in seno alla Magistratura (Piercamillo Davigo contro il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone) e molti altri segnali sono già la manifestazione politico-istituzionale.

Ha ragione su una cosa Matteo Renzi: una parte significativa della società italiana chiede un rinnovamento. Peccato che quel rinnovamento non sia quello sbandierato dal Presidente del consiglio e dalle sue veline di ogni genere e colore di capelli. Il rinnovamento dovrà andare in tutt’altra, o quasi, direzione. Del Tav e delle sue promesse alla società che produce non interessa proprio nulla: servono di più linee locali efficienti e trasporti pubblici in grado, attraverso il rinnovamento, di dare più lavoro alle aziende del settore. Mentre le Coop sono diventate strutture per la raccolta dei risparmi e la speculazione finanziaria e sempre di più fanno parte di quella grande distribuzione che ha monopolizzato ormai gran parte della distribuzione italiana ed internazionale. Da tempo, se non per gli allocchi che ancora ci credono, hanno detto addio alla tradizione cooperativistica del movimento operaio e non per nulla il loro Presidente (Giuliano Poletti) è diventato uno degli artefici del job-act.

Chiara Appendino ha già da questi primi giorni dimostrato che non vorrà giocare in contro piede ma in attacco, su tutta la linea del fronte: dall’Istituto bancario San Paolo al tavolo del TAV, mentre anche altri comuni della provincia (ad esempio Pinerolo) sono caduti, al ballottaggio, nelle mani di amministrazioni a 5 Stelle. Tira aria di bufera e per ora l’unica risposta che il governo e il PD sanno dare è quella repressiva.

D’altra parte, nonostante le continue dichiarazioni sui voti che la Destra avrebbe fornito ai 5 Stelle, il Partito di Renzi sa benissimo che proprio la diminuzione degli elettori che hanno partecipato al ballottaggio dimostra proprio che chi voleva votare a destra spesso non è andato a votare, mentre le 25 mila schede elettorali richieste, al Comune di Torino da cittadini che non sono mai andati a votare o che non votavano più, nel corso delle due settimane intercorse tra la prima e la seconda tornata elettorale hanno allarmato per tempo il PD sulle vere intenzioni dell’elettorato torinese.

Un’ultima osservazione va fatta, a sostegno di quanto fin qui detto, proprio sulla figura dell’Appendino: bocconiana e figlia della buona borghesia, sarà sicuramente sottoposta, se il buongiorno si vede fin da questo primo mattino d’estate, a fortissime pressioni, in particolare proprio sulla questione del TAV. Al governo di una città metropolitana, che nelle intenzioni del PD doveva avere un ruolo guida per il Piemonte, a partire dalla figura del sindaco, si troverà davanti ad ostacoli, minacce e ricatti di ogni tipo. Proprio per questo però, al di là dei facili e vacui slogan da manifestazione come quell'”Onestà!” gridato dai grillini per le vie della città subalpina nella notte della vittoria, la questione della lotta alle corruttele per i sindaci pentastellati si porrà davvero, da Roma a Torino, come una questione di vita o di morte. E la loro azione dovrà essere per forza di cose davvero implacabile, ben al di là delle questioni meramente etiche, morali e retoriche. D’altra parte la neo-eletta ha conquistato le periferie della città (Barriera di Milano e Vallette ad esempio) lasciando sul terreno e al PD solo i voti della Crocetta, il quartiere più tradizionalista della borghesia torinese medio-alta e più conservatrice. Vorrà pur dire qualcosa.

Lo scontro è solo all’inizio, ma già, con le operazioni di polizia di questa mattina, il Governo e i suoi rappresentanti hanno dimostrato quali saranno le argomentazioni che saranno usate nel tentativo disperato di impedire l’affermazione di quelle novità che il Premier sbandiera opportunisticamente, ma che in realtà combatte in nome di interessi che non sono certo quelli della maggioranza assoluta dei cittadini. Renzi is dead, God save the Renxit!

E, naturalmente, appuntamento per tutti coloro che potranno esserci questa sera all’assemblea popolare che si terrà a Bussoleno alle ore 211


  1. Qui di seguito la dichiarazione rilasciata oggi da Nicoletta Dosio che potrebbe anticipare alcune decisioni della serata: “Che sia chiaro, io non accetterò di andare tutti i giorni a chiedere scusa ai carabinieri, non accetterò che la mia casa diventi la mia prigione. Decidano loro, tanto la nostra lotta è forte, lottiamo per il diritto di tutti a vivere bene, lottiamo non solo per la nostra valle ma per un mondo più giusto e vivibile per tutti. Noi non abbiamo paura e non ci inginocchiamo davanti a nessuno, e quindi io a firmare non ci vado e nemmeno starò chiusa in casa ad aspettare che vengano a controllare se ci sono o non ci sono. Siamo nati liberi e liberi rimaniamo! Liberi ed uguali!
    https://www.youtube.com/watch?v=EqQ6MvZ_rxY