di Gioacchino Toni

corto maltese poetica stranieroStefano Cristante, Corto Maltese e la poetica dello straniero. L’atelier carismatico di Hugo Pratt, Mimesis, Milano – Udine, 2016, 152 pagine, € 14,00.

Il “non-essere-mai-parte” è una caratteristica che accomuna un po’ tutti i personaggi di Hugo Pratt esaminati dal saggio di Stefano Cristante. Si tratta di personaggi che esprimono caratteri complessi e contraddittori, irrequieti e sradicati, che si discostano dal cliché dell’eroe senza macchia difensore dei deboli e nemico dei criminali. Sono tali personaggi prattiani a comporre quella che nel testo viene definita “la poetica dello straniero”.

Nell’opera Junglemen, che vede la collaborazione tra Hugo Pratt ed Alberto Ongaro, il personaggio su cui concentra l’attenzione il saggio è quello di El Muerto, leader di una banda criminale che si scontra con i soldati che, in Nuova Guinea, fronteggiano le tribù native. Le storie raccontate si focalizzano sull’antagonismo tra l’ufficiale David Foran ed El Muerto, personaggio, quest’ultimo, decisamente misterioso. Si tratta di un individuo che ha assunto varie identità nel corso del tempo, non di rado incline ad atteggiamenti dispotici ma che, a sua volta, è stato vittima di soprusi che hanno accresciuto il suo rancore sociale. El Muerto è un disadattato che, avendo conosciuto il mondo, è in grado di mimetizzarsi all’interno dei diversi ambienti in cui viene a trovarsi, non è un vero e proprio disertore, è piuttosto un simulatore, «un tipo di criminale che popola zone estreme del mondo, dove il comportamento umano deviante assume le forme di un’estrema distanza dalle convenzioni sociali, sganciando il criminale da ogni vincolo affettivo e sentimentale. […] La legittimazione all’azione fornita dal rancore indiscriminato verso la società moderna e occidentale è dunque più forte persino dell’appartenenza etnocentrica» (p. 89). Secondo Cristante sono già ravvisabili in questo personaggio alcune tematiche, come lo sradicamento esistenziale e l’incomprensione dello straniero, che ricompariranno nella produzione prattiana successiva.

Dalla collaborazione tra Hugo Pratt e Hector Oesterheld, dal 1953, nascono invece le storie del sergente Kirk. In questo caso la poetica dello straniero muta: «anche Kirk è un personaggio tormentato, ma il suo orizzonte è disegnato su aspirazioni e valori positivi. Kirk è un “soldato blu” che non accetta l’idea che il suo servizio nell’esercito sia di sostegno a un genocidio» (p. 91). Siamo di fronte ad un disertore che abbandona il suo esercito per non prendere parte ai massacri perpetrati nei confronti del “popolo rosso”. Kirk, vivendo a contatto con i nativi, impara a conoscerli per quel che sono, prendendo coscienza delle menzogne della propaganda militare. «Il disertore Kirk entra all’interno di una cultura che non è quella della propria gente. Si avvicina ad essa e la trova ancorata a valori cui lui stesso tende, e che vanno in direzione opposta alla frenetica corsa alla conquista territoriale e alla rapida edificazione di una monocultura colonizzatrice» (p. 91). Kirk rinnega la propria provenienza/appartenenza etnica e sceglie un altro punto di vista, accettando di contaminarsi con le culture indigene che, a loro volta, si rivelano tante e differenziate, irriducibili alla stereotipo unificante ed appiattente caro al “mondo bianco” da cui proviene. Kirk da una parte viene stigmatizzato della sua gente d’origine e dall’altra fatica ad essere pienamente accettato dalla popolazione indigena. «Con Kirk la “poetica dello straniero” […] ha una svolta radicale rispetto all’inquietante devianza di El Muerto […], collocandosi in una zona creativa ai confini di una nuova pedagogia, i cui effetti saranno ancora presenti nei personaggi della saga americana di fine XVIII secolo Ticonderoga, altro prodotto della collaborazione tra Pratt e Oesterheld» (p. 93).

Nei quattro episodi che compongono la serie Anna nella jungla (dal 1959), prima produzione in cui Patt è autore unico, gravitante attorno alla protagonista Anna Livingston, compare un personaggio, il veneziano Luca Zane, su cui si sofferma l’analisi di Cristante. Si tratta di un “tipo fatto a modo suo”, comandante di un battello navale nell’Africa sud-orientale alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale. Zana è straniero rispetto all’ambiente in cui si trova a vivere (nella prima edizione argentina si chiama Tipperary O’Hara ed è irlandese, nella successiva edizione diviene il veneziano Luca Zane), inoltre non è stanziale. Si tratta di una figura di avventuriero, sottolinea lo studioso, non particolarmente definito, nel suo far da spalla alla protagonista e, nel suo essere un personaggio sostanzialmente positivo, si rivela adatto ad una serie per lettori adolescenti. Zane, pur non particolarmente ricercato nell’abbigliamento, anticipa nei pantaloni bianchi e nel cappello da capitano il look che sarà proprio di Corto Maltese. Pur essendo le tribù con cui viene a contatto spesso pericolose, Zane non sembra averne paura facendo affidamento al suo pragmatismo di combattente; come altre figure di “straniero prattiano” «sa ciò che occorre sapere per evitare di soccombere in un ambiente ostile in mezzo ad antropologie tribali» (p. 95).

In Wheeling (dal 1962) si incontra Simon Girty, personaggio liberamente ispirato ad un protagonista della Guerra d’indipendenza americana. Si tratta di un individuo ambiguo, figlio di genitori appartenenti ad etnie diverse. «La figura del mezzosangue che ci è stata consegnata dalle letterature occidentali nel XIX e dal XX secolo è destituita di ogni pienezza esistenziale e racconta individui insoddisfatti e macerati dagli svantaggi della duplice appartenenza: inaffidabili per la cultura bianca dei coloni e per quella del popolo rosso. Potenziali traditori. E tuttavia fondamentali per gli uni e per gli altri, perché in grado di comunicare linguisticamente e culturalmente con le due parti e perché in grado di spiegare e di anticipare le mosse di entrambe» (p. 97). Girty, nelle storie di Pratt, odia gli indipendentisti americani perché lo hanno relegato in un ruolo subalterno all’interno dell’esercito, inoltre vede positivamente l’intenzione degli inglesi di bloccare la colonizzazione del West. «Simon Girty, che si sentiva più a proprio agio con gli indiani che con i bianchi, dovette ritenere prioritario tutelare il popolo rosso da nuove invasioni» (p. 99).

Nel 1967 viene pubblicato il primo episodio di Una ballata del mare salato ed ha inizio l’avventura di Corto Maltese ma, sottolinea Cristante, tale personaggio non nasce dal nulla, rappresenta per certi versi il punto di arrivo di una poetica che abbiamo visto partorire personaggi complessi ed intriganti. «Corto è inizialmente un pirata, seppure differente dallo stereotipo classico del criminale dei mari. Rispetta la vita umana e non si lascia andare all’ira e alla rabbia. Parla con parsimonia, con un lessico appropriato e dimostrando di prediligere battute ironiche e a volte taglienti» (p. 102). Si tratta, anche in questo caso, di uno straniero, seppure diverso dalle altre figure di straniero presentate da Pratt nei lavori precedenti, uno straniero che subisce nel corso della narrazione, già all’interno della prima avventura, una complessa evoluzione: «la figura del pirata presto si ridimensiona a favore di un’irregolarità non criminale. Più che un mal-vivente, Corto Maltese è un diversamente-vivente: le sue coordinate non sono determinate dal malaffare, ma da una ricerca d’intensità che si incarna nell’avventura […] Corto Maltese, pur obbligato all’azione, è un personaggio che pensa e riflette, quasi stesse metabolizzando i propri cambiamenti necessari. È straniero anche in questo: rifiuta le assolutizzazioni del suo ruolo, rigetta l’appartenenza sia verso l’associazione criminale cui ha in precedenza aderito (l’organizzazione del Monaco) sia verso le autorità militari e burocratiche» (p. 102). Quando Corto Maltese ha a che fare con “non stranieri” «non li usa opportunisticamente come fanno i pirati né li disprezza come i militari. Al contrario, Corto stabilisce duraturi legami con essi, meritandosi il trattamento che si riserva ai migliori amici, in particolare a quelli diventati tali nonostante siano diverse l’etnia e la cultura» (p. 102). Corto è un personaggio che palesa la sua caratteristica di essere votato alla contaminazione e ciò risulta evidente anche quando si trova a doversi battere; conosce, infatti, il pugilato, la capoeria brasiliana ed alcune arti marziali.

«La patria di Corto Maltese, salvo il riferimento contenuto nel suo nome, non è mai citata, né si parla esplicitamente delle sue esperienze biografiche, eccetto per talune allusioni […] Il tipo di straniero incarnato da Corto sembra quindi l’apolide, il senza-patria, nello stesso tempo lontano e vicino a ogni cultura, capace di tradurre i propri pensieri in qualsiasi lingua utile senza mai appartenere a nessuna lingua, a nessuna comunità. Nell’evoluzione interna al personaggio […] Corto dimostra una certa dose di cinismo, accompagnata però da una progressiva ribellione verso il modo di comportarsi delle autorità e da un’evidente disposizione positiva verso i ribelli, gli incompresi e i maltrattati» (pp. 103-104). Ma, soprattutto, Corto Maltese rappresenta, secondo Cristante, «lo straniero che si è liberato dagli stereotipi dello straniero: non ispira diffidenza negli altri ma mistero, non esprime pregiudizi ma curiosità antropologica» (p. 104).

La trasformazione di Corto Maltese da pirata a “gentiluomo di fortuna” che «insegue il suo percorso esistenziale nel fiume della storia collettiva» (p. 106), lo porta a mostrare una sorta di pseudo-indifferenza che nasconde però, di avventura in avventura, un accumulo di esperienze che, sul finire delle puntate, tende a concentrarsi in quello sguardo posato verso l’orizzonte in cui si specchia l’Io irrisolto del personaggio. Soprattutto a partire da Favola di Venezia (1977) il personaggio tende a trasformarsi in viaggiatore erudito, tanto che lo troviamo intento a maneggiare l’Utopia di Tommaso Moro (che però non riesce mai a terminare perché gli procura sonno), a recitare a memoria qualche verso di Kubla-Kahn di Coleridge o ad interessarsi di letteratura esoterica.

Pur aderendo fino in fondo all’ambiente in cui si trova, Corto Maltese non riesce a restarvi a lungo, ha bisogno di allontanarsi, di battere altre strade, altri mari, altri libri ed altri sogni. «Lo straniero apolide ha una sola patria possibile, e questa è Venezia. Una città dove nessuno, nemmeno i nativi, può avere radici, perché la terra dove piantarle è in realtà acqua. Seguendo un’ovvia metafora, Venezia è in realtà “sogno”. La dimensione onirica di Corto Maltese, così presente nelle sue avventure, parte da qui, dall’origine veneziana del suo autore. Il sogno è un elemento importante della costruzione della poetica dello straniero: Corto Maltese sogna spesso, sia negli interstizi creati dal delirio febbricitante indotto da un grave ferimento, sia nel regno del sonno magico […] Il sogno è parte organica della morfologia prattiana, e contesto in cui la poetica dello straniero – in questi casi straniero anche a se stesso – tende all’astrazione. Corto diventa una forma in perenne precisazione, il cui significante è uno stato di oscillazione tra realtà e irrealtà, che il sogno ben interpreta» (pp. 109-110).

I personaggi proposti da Hugo Pratt oscillano tra l’essere stati sradicati dalle loro origini forzatamente o volontariamente e, nel caso di Corto Maltese, suggerisce Cristante, si tratta di una situazione intermedia; ha un passaporto ma si comporta da apolide. «Quanto più la condizione sradicata del personaggio è percepita come una violenza, tanto più l’atteggiamento dello straniero sarà connotato da aggressività (Jesuit Joe, El Muerto). Kirk e Luca Zane sembrano invece aver messo in gioco un certo equilibrio caratteriale dovuto al relativismo cui li ha condotti la pratica di culture diverse. Corto Maltese perfeziona questo atteggiamento, sapendo entrare in intimità con esponenti di culture situate a latitudini opposte perché in grado di coglierne tratti comuni, e perché vaccinato contro i pregiudizi. Non dà per scontato che l’erudizione sia prerogativa occidentale, e che un dancalo seminudo non possa recitare a memoria versi bellissimi e offrire un tè. Non ha nemmeno lo stupore di Koinsky per questi accadimenti, indicatore di un – pur blando – paternalismo etnocentrista. La figura di Corto Maltese è il modo di Pratt di assecondare la propria natura di eterno straniero e insieme di intervenire sulla storia delle idee della modernità. Fornendo un punto di vista eccentrico, spostando la storia in scenari desueti e talvolta nascosti e marginali, facendo emergere rabbie e inquietudini, perseguendo una maggior comprensione delle nature umane, usando la scorciatoia dell’avventura per mettere in risalto riferimenti letterari e culturali, Pratt delinea una poetica dello straniero che si fonda su una filosofia critica della modernità» (p. 115).

«Anche i folli hanno la loro parte in commedia. Tanti personaggi vivono una condizione di estraneazione, e si rifugiano in un proprio linguaggio e in una propria grammatica avventurosa, talvolta quasi commovente […] sono tutti stranieri, anche a se stessi. Hanno rotto la connessione con il loro spazio-tempo, e sono capitati in una terra di mezzo dove ogni mossa li avvicina alla fine. Corto Maltese intercetta questa forma estrema dello straniero: percepisce l’estraneazione come possibile esito del malessere connaturato alla condizione del nomade e dello sradicato, tenta di stabilire dei ponti comunicativi, di trasmettere empatia» (p. 116). Dunque, continua Cristante, l’estraniato rappresenta lo straniero estremo e Corto Maltese guarda all’estraniato con un misto di commiserazione e di curiosità, consapevole che «la frontiera della razionalità adattativa che lui pratica è aperta al magico e all’irrazionale» (p. 116). Corto Maltese, secondo lo studioso, può essere visto come l’incarnazione di un confine culturale: «se l’immigrato è […] “uno che vive in due mondi”, anche il personaggio di Pratt lo è: egli però non oscilla tra la vecchia e la nuova patria, ma tra l’assenza di patria (apolidia) e la realtà aumentata di cui sono fatte le sue avventure. L’apolidia confina con il cosmopolitismo: pezzi di identità sono cuciti sull’abito e sull’estetica di Corto Maltese, ma non impediscono un contatto con il nativo, né con i viaggiatori, né con gli espatriati. La realtà avventurosa consente di piegare la condizione apolide alle istanze dell’avventura, per il cui buon fine è necessaria una spiccata capacità di adattamento» (p. 127).