santonidi Vanni Santoni

[Pubblichiamo un estratto da Terra ignota, il nuovo romanzo fantasy scritto da Vanni Santoni (Mondadori, 2013, euro 17)] A. P. 

A Val sembrò che la vista gli si fosse improvvisamente annebbiata, e sentiva dentro un calore inconsueto, e il legame tra sé e Ailis, e anche quello tra sé e l’eremita, che ora gli sembrava di conoscere già da prima, gli apparivano come cose tangibili, come corde o legacci fatti della materia di cui è fatta l’anima. Ebbe un capogiro:
— Fjere…
— Sì?
— Mi sento un po’ strano.
— Vedrai dopo che avrai sbadigliato.
— Sbadigliato? — esclamò Val, e proprio mentre lo diceva, un irrefrenabile sbadiglio gli montò dal petto alla gola e al volto, e giusto prima che lo sbadiglio stesso gli facesse chiudere gli occhi, vide che anche Ailis sbadigliava.
Quando li riaprì, tutto era diverso. Ailis era lì accanto a lui e reggeva il Ramo d’Oro, che adesso emanava un chiarore simile a quello di un mazzo di candele, ma Fjere e Fen erano scomparsi. Il sentiero non sembrava più quello dove erano fino a un attimo prima, né era sicuro che quelli tutto intorno a lui fossero alberi o colonne o chissà cos’altro. Anche l’odore che aveva l’aria era diverso. Mosse un braccio, si guardò la mano. La sua stessa posizione nello spazio pareva in qualche modo differente, e la mano sembrava pulsare. Di certo, pensò avvicinandosi a una grossa foglia piena di gocce di rugiada, la realtà ha una grana diversa. Da sotto al cespuglio (ma poi, era davvero un cespuglio?) spuntò una faccia. Somigliava un po’ a quella di un suo antipatico biscugino di Ejdam, però gli occhi erano più grandi e acquosi, lontani tra loro, e le sopracciglia erano tanto folte da sembrare una spazzola. La faccia gorgogliò una orribile risata e scomparve di nuovo nel terriccio. Val, atterrito, guardò indietro. Nel profondo del buio alle sue spalle luccicavano minuscole particole.

Dove si trovavano? Dov’era Fjere? Ailis gli sorrise, non più spaesata di quanto non fosse stata fin lì. Da dietro un alberello pieno di bubboni emerse una figura. Non era che una testa, con sotto due gambette storte come quelle di un nano, e portava un cappello rosso con una piuma d’oca, dal quale usciva un ciuffo di capelli neri. Aveva un’espressione tra l’indifferente e l’impertinente e veniva verso di lui. Val sguainò la spada tremando, mentre quella cosa gli si avvicinava: — Stai lontano!
Ma l’essere non arretrò, e anzi Val si rese conto che altri uscivano fuori dal buio tutto intorno a lui: un bambino con la testa di topo e ali grigie e scintillanti come quelle di una falena; un naso umano, grosso come una zucca, che si spostava su zampe da ragno; una lumaca con piccoli volti di vecchia sulla cima delle corna; una giovinetta scheletrica con i piedi rivolti all’indietro e un imbuto in testa; un gobbo con una bocca di rana al posto del viso e un fallo spropositato e pieno di bozzi…
— State lontani! — gridò Val. Strappò il Ramo d’Oro di mano ad Ailis. Tenendo il ramo nella sinistra e Alta-e-chiara nella destra, li vorticò in ogni direzione. Gli esseri arretrarono un poco, ma ben presto ripresero ad avanzare ridacchiando. Allora Val si mise il ramo alla cintola e afferrò Ailis per il polso e mollando fendenti a casaccio si mise a correre, avanti lungo il sentiero, e corsero a perdifiato finché gli esseri non furono lontani dietro di loro.
Quando si fermarono, Val vide che Ailis aveva qualcosa tra i capelli: era un bruco, e appena lo notò, sul dorso si schiuse un occhio umano, tutto circondato di setole. Lo spazzò via con la mano e sentì una puntura come quella di un’ape. Lo pesticciò, e quando alzò il piede non c’era più traccia di alcunché. Fu allora che si accorse che il lembo di sigillo che dalla camicia si intravedeva sul collo di Ailis non c’era più. La spogliò e avvicinò il Ramo d’Oro per fare luce. A guardar bene, il sigillo c’era ancora, ma era ormai quasi del tutto scolorito. Lo toccò, ma non rimase inchiostro sul suo dito.
— Dobbiamo andare avanti, Ailis. Altre scelte non ne abbiamo.
Procedettero nel buio, lungo il sentiero, cercando di non far caso ai volti spaventosi che di tanto in tanto si materializzavano tra gli alberi o sotto i cespugli, e imparando a scappare ogni qual volta quelle cose “interstiziali”, come le aveva chiamate Fjere, uscivano dalle ombre e venivano verso di loro. Val capì che con Alta-e-chiara poteva ferirle, anche se la loro consistenza era vaga, qualcosa a metà tra la schiuma e la tela di ragno, e anche quando le distruggeva, dopo poco si riformavano.
Arrivò tuttavia il momento in cui gli spiriti uscirono in massa: c’erano tutti quelli che Val aveva visto fin lì, e molti altri: scolopendre irte di orecchie, gambe autonome, saltellanti, e funghi stridenti e teste di fanciullo con ali di passero, e un cinghiale col velo da sposa a cavallo di un pesce con l’armatura, e ancora nani col becco come gli uccelli e bambine senza gli occhi che si alzavano le gonne ridendo e altre che vomitavano astragali e monete, e sopra questa moltitudine si stagliava un’ombra più grande, e più buia dell’oscurità stessa in cui si trovavano: la temperatura si raffreddò di colpo, ed ecco, proprio davanti a Val e Ailis, in mezzo al sentiero, un uomo gigantesco, tutto nero e avvolto in una cappa essa pure nera, alto otto braccia o anche dieci, e attraverso il cappuccio non si vedeva un volto, ma soltanto il niente più profondo, come se vi fosse il fondo stesso del cielo, un luogo dove anche la luce, e con essa tutto ciò che di caldo e buono c’è al mondo, andava perduta.

Ailis ebbe un sussulto e si toccò la schiena. Era troppo buio per controllare, ma Val capì che doveva esserci un problema col sigillo. Gli spiriti interstiziali si avvicinarono; l’uomo nero sembrava ancora più grande, adesso, e alzava un braccio, e nel buio della cappa si scorgeva una mano dalle dita lunghe e artigliate. Tremando, Val gli oppose la spada, e dal buio che era il suo volto uscì qualcosa che poteva assomigliare a una oscena risata.
— Una ragazza — disse Ailis.
— Ailis! Cosa hai detto? — gridò Val, mentre l’Uomo Nero diventava ancora più grosso e spaventoso, ed era a un passo dal ghermirli.
— C’è una ragazza della mia età — disse Ailis tutta seria, pensosa, quasi, e Val stava già gridando perché l’artiglio enorme dell’Uomo Nero era su di loro, così come gli spiriti, che ridevano scoprendo denti piccoli e appuntiti come quelli dei pesci.
Si sentì un rumore come di vetri che si infrangono, e da uno squarcio nel cielo uscì Fen, le zanne terribili in vista e gli occhi gialli che brillavano anche più del Ramo d’Oro, e si avventò al collo dell’Uomo Nero, e l’Uomo Nero crebbe di dimensioni, ma anche Fen cresceva, e lottavano, il morso del lupo che si stringeva sul collo dell’Uomo Nero, e l’Uomo Nero che cercava di staccarselo di dosso; si azzuffavano e si ingrandivano mentre dallo squarcio nel cielo filtrava ora la luce delle stelle, e gli spiriti interstiziali la fuggivano spostandosi sul bordo del sentiero e nel sottobosco, e intanto l’Uomo Nero e Fen lottavano rotolandosi a terra, sempre più grandi, sempre più grandi, più alti dei più alti alberi e delle colline stesse, avvinghiati come un solo enorme nodo, e Val allora prese Ailis per il polso e si mise a correre per il sentiero, che adesso si vedeva bene, bianco in mezzo al sottobosco, e corsero con tutte le loro forze finché non dovettero fermarsi per tirare il fiato, e fu allora che si accorsero che il cielo, di cui si vedevano piccole porzioni tra le fronde sopra di loro, aveva di nuovo le stelle, anche se sembravano muoversi e allargarsi e ruotare su se stesse come vortici, e si trovavano in mezzo a un vasto prato, pieno di cerchi di minuscoli funghi, fiori bianchi simili a trombe e arbusti dalle bacche nere e lucide. E videro che tutte le fronde sopra di loro erano adesso rami di un unico albero, un immenso biancospino in mezzo a quel prato a forma di scodella.

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