di Franco Ricciardiello

33_truffaut_ardant.jpgPiù che hitchcock-hawksiana, sostiene Gilles Deleuze in L’image-mouvement, la nouvelle vague fu hitchcock-marxiana. “Proprio come Hitchcock, essa voleva pervenire alle imagini mentali e alle figure di pensieri. Ma, mentre Hitchcock vi vedeva una specie di complemento che doveva prolungare e portare a compimento il sistema tradizionale percezione-azione-affezione, essa vi scopriva al contrario un’esigenza che bastava a spaccare l’intero sistema, a tagliare la percezione dal suo prolungamento motore, l’azione dal filo che l’univa a una situazione, l’affezione dall’aderenza o dall’appartenenza a personaggi. La nuova immagine non sarebbe dunque un compimento del cinema, ma una mutazione.”
Truffaut sostenne che l’idea di “Finalmente domenica”, destinato a rimanere il suo ultimo film, venne da un impermeabile bianco, immagine-feticcio alla Humphrey Bogart, che l’ha consegnato all’immortalità in classici come “Il grande sonno” di Howard Hawks (The Big Sleep, 1946) e “Casablanca” di Michael Curtiz (1942).

Tutto ha inizio mentre Truffaut visiona i giornalieri di “La signora della porta accanto” (La femme d’à côté, 1981): la scena in cui Mathilde, interpretata da Fanny Ardant, si aggira di notte in una casa vuota con indosso un trench bianco sembra un film polar. Truffaut ha già intenzione di dedicarsi a un nuovo film di quella che lui chiama la sua serie noire, e sarà il quarto dopo “Tirate sul pianista” (Tirez sur le pianiste, 1960), “La sposa in nero” (La mariée était en noir, 1967) e “La mia droga si chiama Julie” (La sirène du Mississippi, 1969), tre lungometraggi ispirati all’estetica di Alfred Hitchcock, che molti registi della nouvelle vague considerano un maestro. Su Hitchcock, François Truffaut ha anche scritto un bellissimo libro-intervista che rappresenta il migliore omaggio al grande regista inglese. Come nel primo dei quattro film, Truffaut ha intenzione di tornare a una pellicola in bianco e nero che secondo lui è già di per sé una costituente del noir; inoltre vuole girare il film molto in fretta, nell’arco di poche settimane, perché vuole una resa estetica da film di serie B. La sua ispirazione ideale è forse “L’uomo ombra” (The thin man, 1934) di W.S. Van Dyke, che ha portato sullo schermo il romanzo di Dashiell Hammett; a questo seguiranno ben cinque sequel fino al 1947, tre dei quali diretti ancora da Van Dyke. Può anche darsi che Truffaut pensi a una attualizzazione della coppia William Powell/Myrna Loy, ma il personaggio interpretato da Fanny Ardant non ha molto da spartire con la sua omologa americana, tuttavia qualcosa del fair play giallo-rosa rimane, un qualche grado di leggerezza che aggiunge sostanza al plot.
Truffaut non ha un attore-feticcio, anche se la coppia Gérard Dépardieu e Jean-Louis Trintignant avrebbe potuto con il tempo diventare ciò che il duo Cary Grant / James Stewart è stato per Alfred Hitchcock: Dépardieu ha lavorato come protagonista nel due precedenti film di Truffaut, Trintignant nell’ultimo, e forse la serie sarebbe continuata senza la morte prematura del regista. Tra l’altro, è facilissimo vedere in Trintignant un alter-ego di Truffaut, considerata la prodigiosa somiglianza fisica: statura, pettinatura, corporatura, persino lineamenti. Secondo ogni logica quindi l’uomo dall’impermeabile bianco di “Finalmente domenica” dovrebbe essere Jean-Luis Trintignant: è come se il regista mettesse lui stesso lo spolverino sulle spalle. Però c’è quell’immagine di Fanny Ardant che si aggira nella casa notturna, quasi una premonizione: sarà lei infatti a indossare il trench, e automaticamente i panni del detective.
In seguito Truffaut confessa a Trintignant di non essere completamente soddisfatto dalla sceneggiatura (che lui stesso ha scritto insieme a Jean Aurel e a Suzanne Schiffman, lavorando su un romanzo giallo dell’americano Charles Williams, The long Saturday night), ma ai suoi occhi il testo ha un indubbio pregio: l’azione ruota intorno a un personaggio femminile, la protagonista che indaga, caso piuttosto raro nella letteratura noir.
Hyéres, Provenza. Durante una battuta di caccia mattutina, l’agente immobiliare Julien Vercel (Jean-Louis Trintignant, che all’epoca delle riprese ha 52 anni) nota l’auto dell’amico Massoulier abbandonata in una strada di campagna; chiude la portiera e spegne i fari, quindi si reca al lavoro nella propria agenzia in città. Qui, sobillato dalla gelosia della moglie, ha un alterco con la nuova segretaria Barbara (Fanny Ardant, all’epoca 33 anni). Sopraggiunge un’auto della polizia, il commissario lo informa che Massoulier è stato assassinato con un colpo di fucile del calibro che a quanto pare usa solo Vercel, e sull’auto sono state trovate le sue impronte. L’intervento dell’avvocato Clément provoca il suo rilascio: il professionista e amico lo riaccompagna in auto a casa, ma qui Vercel scopre il cadavere della moglie Christine assassinata. Decide di darsi alla clandestinità, però ha bisogno di aiuto: raggiunge di nascosto la sua segretaria Barbara, attrice dilettante, che sta provando insieme a una compagnia amatoriale in cui recita anche il suo ex-marito, e quasi la rapisce.
Barbara lo segue nei locali dell’agenzia, sotto il trench bianco che lui le ha prestato indossa il costume di scena, una calzamaglia bianca e un giustacuore da paggio rinascimentale. Vercel le impone di credere alla sua innocenza; ha intenzione di recarsi a Nizza, all’albergo dove la moglie è rimasta nelle ultime notti. Barbara lascia però che il suo principale si addormenti per la stanchezza e gli prende le chiavi dell’auto, intenzionata a sostituirsi a lui nell’indagine. La ragazza lascia la vettura alla gendarmeria all’aeroporto, in modo che possa essere ritrovata, e prosegue in taxi. Giunta in hotel, riesce a occupare la stanza lasciata libera dalla signora Vercel subito prima di tornare a casa e finire assassinata.
Durante la notte un uomo penetra nella camera d’albergo, Barbara si sveglia e prima che fugga riesce a strappargli un biglietto da visita di un’agenzia di investigazioni private. La ragazza, che ha decisamente iniziativa, fa irruzione dal detective, il quale rifiuta di rivelarle chi l’ha incaricato di sorvegliare la signora Vercel, ma le dà a intendere che di solito sono i mariti a mettere le mogli sotto controllo.
A Nizza Barbara scopre anche che non esiste il locale di bellezza nel quale avrebbe lavorato Christine Vercel prima del suo recente matrimonio: all’indirizzo c’è invece un equivoco night, L’Ange Rouge. Tornata a Hyéres, viene schiaffeggiata da Vercel innervosito perché la ragazza ha voluto fare di testa sua. Ricevono una telefonata anonima da una donna che accusa Vercel di essere un assassino, la defunta moglie di avere una relazione con Massoulier e Barbara di essere l’amante del suo datore di lavoro. Vercel freme dalla voglia di agire; telefona a un cinematografo di proprietà del defunto Massoulier e riconosce nella voce della cassiera l’autrice della telefonata anonima. L’intrepida Barbara si reca sul posto e scopre che anche qui a Hyères, accanto al cinematografo, c’è un night club chiamato L’Ange Rouge. Prende subito l’iniziativa, si traveste per l’occasione da prostituta — gonna attillata con spacco e camicetta annodata sotto il seno — e riesce a introdursi nell’Ange Rouge. Qui assiste casualmente all’omicidio del proprietario Louison ma non distingue l’assassino: comprende però che si tratta di qualcuno ricattato da Louison e dalla cassiera del cinematografo, che è stata amante di Massoulier prima che questi iniziasse la relazione con Christine Vercel.
Barbara torna dal suo capo, gli confessa di essere innamorata di lui e scopre di essere corrisposta. Vercel vorrebbe telefonare all’avvocato e costituirsi, ma riesce a convincerlo a lasciarla andare in avanscoperta. Trova le prove che Christine era anche l’amante dell’avvocato Clément. A questo punto conduce la polizia al nascondiglio di Vercel, che viene trascinato in gendarmeria. Sopraggiunge l’avvocato, Barbara fa irruzione nell’ufficio del commissario, rivelando che l’agenzia investigativa di Nizza possiede ancora la busta con cui ha ricevuto l’incarico di pedinare Christine Vercel, con una perizia si può facilmente scoprire a chi appartiene la macchina da scrivere: si capirà poi che è uno stratagemma concordato con il commissario. L’avvocato Clément si assenta un attimo, la polizia lo sorprende mentre telefona all’agenzia investigativa per chiedere di distruggere la busta. È lui che ha ucciso per gelosia Christine e il suo nuovo amante Massoulier, facendo ricadere la colpa su Vercel. Ha dovuto poi liberarsi di Louison e della cassiera, soci dei due assassinati, che lo ricattavano.
Nell’ultima scena, Vercel e Barbara si sposano. Sotto il vestito bianco, è evidente la rotondità del ventre di Fanny Ardant, che aspetta da Truffaut una figlia, Joséphine.
Il film è stato girato a Hyères, vicino Tolone, ma la città non viene mai nominata: tra l’altro rappresenta un documento sul centro storico prima del suo ammodernamento, che ha luogo subito dopo. “Finalmente domenica!” ha un ritmo incalzante, con poche pause, come se Truffaut volesse replicare un cervellotico intrigo alla Raymond Chandler da sdipanare come un gomitolo. La resa estetica è impeccabile, “a metà tra Alfred Hitchcock e Robert Doisneau” è stato scritto, malgrado la dichiarata intenzione da film di serie B. Il personaggio interpretato da Fanny Ardant è tra i più indimenticabili del cinema francese. Il film inizia ammiccando proprio a lei, in quel prologo che è anche un’autocitazione: la coreografica passeggiata di Barbara sul lungomare di Hyères-Plage durante i titoli di testa è un omaggio a “L’uomo che amava le donne” (L’homme qui amait les femmes, 1977), il sedicesimo lungometraggio di Truffaut. Sembra di sentire sotto i tacchi di Barbara le parole di Bertrand Morane: “Le gambe delle donne sono compassi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi.” Più avanti invece la citazione si fa esplicita: Barbara si accorge che il suo capo osserva con interesse le gambe delle passanti dalla finestra del nascondiglio seminterrato, e passeggia ostentatamente due volte fuori dai vetri così che lui possa spiarla senza riconoscerla. È di nuovo il principio di Bertrand Morane messo in pratica: “Ma cos’hanno tutte queste donne, cos’hanno in più di quelle che conosco? Ebbene, in più hanno proprio il fatto di essere delle sconosciute.”
Se il film possiede una rigorosa coerenza estetica, non si può dire altrettanto della sua plausibilità. Scrive Umberto Mosca: “ci troviamo di fronte al principio (hitchcockiano) secondo cui il piacere della visione deve essere più forte dell’analisi e della verosimiglianza.” Anche a una visione superficiale, la scansione dei tempi non torna, la prima notte dura quasi 48 ore, ma a Truffaut più che una struttura formale impeccabile interessa la resa fotografica della pellicola, l’atmosfera. Il buio, la luce scarsa, lavorano a favore dell’enigma; la mancata concordanza dei tempi lo rende surreale, la notte lo rende onirico. Truffaut si oppone alla coproduzione televisiva che vorrebbe un film a colori, impone di non lasciare circolare durante la lavorazione anteprime del materiale girato, e alla fine ha ragione perché “Finalmente domenica!” ha immediatamente un grande successo.
Forse ancora più della volontà di fare un noir, è da notare la determinazione di Truffaut a non scadere negli stereotipi del film d’azione, quello che anestetizza la sensibilità estetica degli spettatori americani: i film alla James Bond per intenderci — ma dal 1983 a oggi la qualità del film d’azione è andata ulteriormente peggiorando, al punto che lo spettatore non riesce a apprezzare un ritmo differente dal thriller hollywoodiano: emozioni semplici e forti in un plot studiato per convogliate l’attenzione (e le aspettative) unicamente su alcune scene spettacolari, a discapito del progetto d’insieme. Truffaut invece vuole riprodurre l’effetto degli scrittori pulp che con pochi mezzi e poco tempo a disposizione riescono a trasformare un giallo in qualcosa di estremamente personale. E questo obiettivo è perfettamente centrato — basti considerare il modo in cui riesce a far ruotare la vicenda intorno a Fanny Ardant, o meglio a Barbara, trasformata in un campionario completo della donna nel noir: schiaffeggiata come una vamp viziata, elegante come una diva, travestita da ragazzo, femminile con i tacchi alti, prostituta disinvolta, intraprendente ai limiti dell’intrepido, orgogliosa ma protettiva verso il suo uomo, persino esibizionista poco vestita sotto il classico impermeabile da maniaco; e malgrado questo sfoggio di sottile seduzione, lo spettatore si rende conto che tra i due protagonisti potrebbe nascere qualcosa soltanto quando la telefonata anonima lo insinua apertamente. Tanto di cappello, François.
Vivement Dimanche! rimane l’ultimo film di Truffaut. Nell’estate del 1983, durante la promozione della pellicola, gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Si sottopone con ritardo a un intervento chirurgico di asportazione, e muore il 21 ottobre 1984 all’ospedale americano di Parigi, a Neuilly sur Seine.