di Alberto Prunetti

prodan.jpgA volte per vedere le cose nella maniera migliore bisogna guardarle da fuori e da lontano. Le Malvinas sono argentine o inglesi? Quante volte vi sarete posti il problema con mesto disinteresse, a meno che non siate attenti cultori della storia di quelle isole occupate con un colpo di mano nell’Ottocento da alcune navi inglesi? Colgo però l’occasione del trentesimo anniversario della guerra delle Malvinas per raccontare una storia e per aprire nuove possibilità d’azione alla diplomazia del governo Monti: le Malvinas sono italiane. Del resto, ormai a Buenos Aires lo sanno tutti. Anzi, la storia è così vecchia che non la raccontano quasi più. Eppure è una storia che ci riguarda, o almeno che riguarda un nostro connazionale che ha conquistato le Malvinas sfidando inglesi e argentini durante la guerra e la dittatura. Roba che ci vuole un fegato così, e il nostro ce l’aveva, tanto che morì di cirrosi a 34 anni. Come abbia fatto il cantante rock italiano Luca Prodan a conquistare le Malvinas, lo dirò alla fine di questo articolo. E’ una storia paradossale, un modo geniale per uscire dall’angolo di un dilemma in un momento storico tragico. Era il 1982. La Thatcher aveva bisogno di consenso per spezzare le reni al Regno Unito e imporre il suo liberismo conservatore, mentre il dittatore Galtieri doveva inventarsi un evento spettacolare per riunire l’identità argentina attorno ai militari golpisti, con lo stesso successo ottenuto pochi anni prima con i mondiali di calcio.

Due forme autoritarie si contendevano le isole Malvinas mentre ognuna accusava l’altra di colonialismo. Nel mezzo infuriavano le follie della guerra, descritte poi in maniera drammatica e anti-idealista in un libro-capolavoro, Scene da una battaglia sotterranea, di Rodrigo Fogwill (edizioni Sur). La fame. L’esercito dei militari golpisti che non riusciva neanche a garantire il cibo per le proprie truppe. Gli ufficiali si tenevano la carne, i sottoufficiali mangiavano patate e i soldati semplici dovevano accontentarsi di un semplice brodo, quando c’era. A quel punto cominciavano a rubare e chi veniva beccato a rubare veniva torturato
La follia della guerra soffiava su tutti i campi: anche su quello della sinistra, al punto che i Montoneros, il partito rivoluzionario costretto alla guerriglia e alla clandestinità, ormai decimato dai sequestri, arrivò pateticamente a offrire la propria collaborazione volontaria per combattere nelle isole.
La guerra, una truffa, una truffa ai danni del popolo. Con lo stesso cinismo, quelli che avevano sequestrato i propri cittadini parlavano di libertà per gli abitanti delle Malvinas, mentre cercavano solo di allungare la propria degenza terminale nella Casa Rosada; con lo stessa violenza con cui torturavano i prigionieri politici, i militari golpisti torturavano i propri soldati, che arrivarono a odiare i propri ufficiali più dei nemici inglesi (come raccontato egregiamente nel libro di Fogwill).

No, dalla lucida follia del militarismo meglio starne fuori, meglio fare come Luca Prodan.

Luca Prodan, chi era costui? In Italia è sconosciuto, in Argentina è un mito, forse la più famosa icona rock degli anni successivi alla dittatura. Il tano Prodan era un italo-scozzese cresciuto musicalmente in un esilio volontario a Londra sulla scia dei Joy Division e arrivato in Argentina negli anni grigi della dittatura militare per sfuggire alla morsa dell’eroina. Aveva fondato una band che cantava in inglese e alla batteria picchiava sul rullante una ragazza anglosassone. Ma la propaganda di guerra si strinse anche addosso ai gruppi musicali.

Aprile 1982. La batterista dei Sumo torna in Gran Bretagna: in quei giorni a Buenos Aires essere inglese, donna e batterista è troppo. Le radio smettono di trasmettere canzoni in inglese: bisogna cantare in spagnolo. Anche un caffé storico, il Britanico, è costretto a cambiare nome e si trasforma nel “Tanico”, con un processo di italianizzazione forzosa (tanos sono gli italiani d’Argentina). I Sumo però dal vivo continuano nel loro rock-post punk in inglese. Non potrebbe fare altrimenti Prodan. In un concerto memorabile Luca si presenta sul palco con uno scolapasta in capo. Appena qualcuno da sotto gli rinfaccia di cantare nella lingua degli yanqui, lui risponde:
“Sí, yo canto en inglés pero soy italiano, men
y ¿quieren que les diga algo?
las Malvinas son italianas.
¿Saben por qué tengo este colador en la cabeza?
Porque los italianos van a bombardear,
pero con fideos, tengo colador para agarrarlos”.

Ovvero: “Sì, io canto in inglese ma sono italiano, gente. E volete che vi dica una cosa? Le Malvinas sono italiane. Sapete perché mi sono messo in capo uno scolapasta? Perché gli italiani stanno per bombardare, ma con gli spaghetti. Mi sono messo lo scolapasta per afferrarli”

In questa dichiarazione surreale c’è una lucidità paradossale, la capacità di chiamarsi fuori dalla follia del militarismo e del patriottismo. Perché in fondo le Malvinas sono di chi ci vive, come precisa lo stesso Prodan durante un’intervista: “chiedete per strada a uno qualsiasi se andrebbe a vivere alle Malvinas. Vi dirà di no. Sono un emblema, in Argentina come in Inghilterra. Solo uno scozzese pazzo vivrebbe laggiù (…). Per me la terra è della gente che ci vive, che ha il suo pezzo di terra e se ne prende cura per tutto l’anno.”.

E l’humor di Prodan – renitente alla leva italiana, arrestato a Roma per il suo girovagare antimilitarista — continuerà a colpire. Sapete che la bandiera argentina non si può lavare? Non so perché, è una tradizione militare argentina: lavarla significherebbe disonorarla. Al punto che quando una volta al mese dalla cima dell’obelisco di Avenida 9 de Julio depongono la bandiera e la sostituiscono con una pulita, a quel che mi è stato detto, quella vecchia viene distrutta. Ma mai lavata. In un brano enigmatico, Prodan canta: “Yo quiero a mi bandera, yo quiero a mi bandera/ Planchadita, planchadita, Planchadita” (Voglio bene alla mia bandiera. Stirata per bene). Il nostro aveva iniziato a cantare in spagnolo, ma forse i militari lo preferivano quando si esprimeva in inglese e non faceva la centrifuga alla bandiera in lavatrice.

In conclusione, gente, stabilito che le Malvinas sono italiane, diamoci da fare per onorare il talento geopolitico di Luca, forse il migliore musicista rock italiano della sua generazione vissuto all’estero, emblematicamente tra Londra e Buenos Aires… facciamo di Prodan il simbolo di un pacifismo moderno e antimilitarista con cui l’Italia possa mediare e placare i bollori di questo anniversario, riattizzati dai governi di Argentina e Regno Unito… dobbiamo cogliere certe opportunità diplomatiche, no? E allora perché non mandiamo in missione uno dei nostri sottosegretari agli esteri? Che so, prendiamo De Mistura, che sta seguendo il caso dei marò in Kerala… ve lo immaginate davanti all’ambasciata britannica mentre distribuisce namasté a mani giunte con uno scolapasta in capo e una maglietta dei Sex Pistols sotto la giacca, urlando “Le Malvinas sono italiane”? Trionfo del genio italico e grande fratellanza dei popoli.