di Alessandro Villari

OrsettoRobot.jpgRiprende coscienza e apre gli occhi. Risulta ben presto che gli occhi sono l’unica parte del corpo che sia in grado di muovere: il resto rifiuta caparbiamente di obbedire ai comandi del cervello. Se potesse, la prima cosa che sposterebbe al momento sarebbe la mano, una qualsiasi, magari con il supporto del braccio corrispondente, perché rimuova qualunque cosa sia che preme dentro la bocca impedendogli di respirare e di emettere suoni. Ma la mano non si muove. Solo gli occhi si agitano tanto che pare stiano per uscire dalle orbite: così potrebbero almeno toccare ciò che ha intorno, dal momento che il buio completo e uniforme rende inutile la facoltà della vista. Che pensiero stupido. Sta soffocando. Nulla che sia in grado di fare può impedirlo. Il panico che segue a questa improvvisa consapevolezza non fa che accelerare il processo: come una fiamma, il cervello brucia il poco ossigeno rimasto ordinando freneticamente al braccio di levarsi, al fiato di chiamare aiuto, a tutto il corpo di scuotersi. Invano. Infine si spegne.

Poche ore dopo, la mattina di Natale, un grido lancinante squarcia il tranquillo risveglio dell’abitazione: a lanciarlo è Lorena quando, stanca di aspettare che il marito si svegli e risponda alle sue sensuali provocazioni, lo gira verso di sé scoprendone il volto cianotico e, come sappiamo, defunto. Nel giro di mezzora il posto è più affollato di un bar sport il lunedì mattina: medici, infermiere, domestiche e poliziotti si aggirano intorno al letto che accoglie il cadavere come un sudario. Presto sarà trasportato all’obitorio per l’autopsia. Una psichiatra assiste l’ispettore incaricato delle indagini mentre rivolge alla donna, visibilmente traumatizzata, le domande di rito. Un vicolo cieco, riflette il poliziotto: la moglie del defunto è di gran lunga troppo gracile per averlo soffocato, del resto nessun indizio sembra indicare che quella sia l’ipotesi più probabile. Anzi,nessun indizio c’è proprio, meno che mai della presenza di altre persone nella stanza, quella notte. Ma tutto può essere, quella morte, meno che naturale. Suicidio? Nemmeno a pensarci, chi mai sceglierebbe di andarsene così? Quel poveraccio deve aver sofferto le pene dell’inferno prima di lasciarci la pelle. Senza contare che “quel poveraccio” era Stefano Giobbi, uno degli uomini di maggior successo del pianeta, ammirato fino alla venerazione in tutti gli angoli del globo. Oltre che ricco sfondato, ovviamente. Perché mai uno così vorrebbe suicidarsi? Un vicolo cieco, appunto. Pensieroso, l’Ispettore Cluson sfoglia sulla sua tavoletta elettronica vecchi articoli di giornale dedicati alla vittima, sperando che da qualche parte si accenda una lampadina.

Averi & finanza, 7 gennaio 2001:
L’ASTRO NASCENTE DI STEFANO GIOBBI
Il giovane imprenditore è l’artefice del rinnovamento della produzione e dell’immagine dell’azienda, vero segreto del rilancio della F.lli Giobbi S.p.A.: da carrozzone parastatale ad azienda di culto dell’hi-tech.

Il Soldo24Ore, 5 marzo 2006:
WHISTLINE-GIOBBI: PROSPETTIVE DI UNA NUOVA PARTNERSHIP
La multinazionale finanziaria acquisisce il pacchetto di controllo della società italiana ed entra nel CdA.

Milano Borsa, 14 ottobre 2008:
LA CRISI NON COLPISCE F.LLI GIOBBI S.P.A.
Annunciata l’apertura di un terzo stabilimento a Nova Gorica (Slovenia). La ristrutturazione aziendale porterà maggiori dividendi ai soci.

Il Corriere della Notte, 8 novembre 2010:
GIOBBI: “PAVIA NON SI TOCCA”
Il presidente onorario della F.lli Giobbi S.p.A. rassicura i dipendenti in lotta contro la minacciata chiusura dello storico stabilimento. Ora la cassa integrazione in attesa della nuova linea di prodotti.

Il Comune Pavese, 20 giugno 2011:
LA F.LLI GIOBBI RIAPRE I CANCELLI
Ma nello stabilimento pavese si produrranno soltanto gadget tecnologici. Trasferita a Nova Gorica la produzione dei computer. Per oltre due terzi dei dipendenti continua la cassa integrazione in attesa di una ricollocazione.

Cluson ricorda bene questi ultimi avvenimenti. Poco più di un anno prima Stefano Giobbi aveva risolto uno stallo tra azienda e sindacati che durava da mesi. Quando nell’estate successiva i dipendenti avevano realizzato che due terzi di loro avrebbero comunque perso il posto, di nuovo Giobbi, pur senza avere più alcuna carica operativa in azienda, era venuto davanti ai cancelli dello stabilimento. Con un discorso scopiazzato dall’apologo di Menenio Agrippa — ma osannato da tutti i media principali — era incredibilmente riuscito a convincere gli operai che l’azienda operava per il bene comune e che i sacrifici erano inevitabili. In fondo era questo quel che Giobbi aveva sempre fatto: prendere idee vecchie, colorarle un po’ e venderle nel migliore dei modi.
Certamente tra quanti hanno perso il posto — e forse anche tra gli altri — qualcuno avrà avuto un motivo per desiderare la morte di Giobbi, ma per quanto si scervelli Cluson non riesce a capire come possa aver raggiunto l’imprenditore nel suo letto senza lasciare alcuna traccia. Ci penserà domani: è la mattina di Natale e non ha ancora scartato i regali con la sua famiglia. All’idea un sorriso gli si dipinge sul volto finora teso e cupo.

“E questo che cos’è? Un cuscino? A forma di orso?”
“Un cuscino a forma di orso che mi permetterà finalmente di dormire senza il tuo sottofondo di grugniti! Si chiama ‘Sonno Profondo’. Guarda, prima di dormire ti attacchi questa specie di molletta al dito, misura il tuo livello di ossigeno e ha un sensore sonoro: quando il livello scende troppo e aumenta il rumore la molletta ti trasmette delle sostanze per reintegrare l’ossigeno e il braccio dell’orso ti accarezza il viso in modo che ti giri di fianco. Tutte le impostazioni si possono regolare al computer, e c’è anche una ricarica della sostanza da utilizzare. L’hanno messo in vendita giusto in tempo ieri: sarai il primo a provarlo! Dopo Stefano Giobbi, naturalmente.”
“Stefano Giobbi? Che c’entra?!”
“Lo producono qui a Pavia, gli operai in segno di ringraziamento hanno regalato personalmente il prototipo al loro presidente. L’ho letto questa mattina sul giornale.”
Ecco la lampadina. Cluson prende Il Comune Pavese di oggi e legge il trafiletto. C’è anche una foto dell’orso e del foglio che accompagnava il dono: sopra ci sono le firme di tutti i dipendenti, circa un centinaio, curiosamente disposte in circolo.